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07/03/2022

Economia etica e Economia collaborativa (Sharing economy).
Tribute to the Economist International
di Antonio Romano

 

Quale società possiamo ipotizzare ed anche progettare dopo la società industriale? Fondamentalmente il superamento della società industriale lo dobbiamo immaginare nel senso socioeconomico dello sviluppo. Oggi più di ieri, si è compreso molto bene che lo sviluppo di un territorio, di una regione, ma soprattutto di uno stato passa attraverso una serie di variabili, molte delle quali riferitesi ai provvedimenti, regole e leggi che vengono prodotte. In verità esiste anche una scuola di pensiero che vede in poche regole e meno Stato una ipotesi di sviluppo alternativo al pensiero dominante. Nuovi modelli di sviluppo sono già in corso di sperimentazione in diversi paesi del mondo, ma nessuno finora, ha progettato lo sviluppo in senso socioeconomico il che presupporrebbe, finalmente, raggiungere una produzione/distribuzione più equilibrata nel merito. Infatti, fino ad oggi questi modelli di sviluppo non si discostano molto da quello che gli anglosassoni chiamano “drag economy”.

In altre parole, più che progettare e fare cultura per una nuova economia etica che sia condivisibile e che sia socioeconomica, si va avanti per trascinamento, ovvero non si progetta nulla e si lascia che l’economia precedente sperimentata, riesca a orientare la società attraverso l’innovazione, cercando soluzioni che siano quanto più evolute possibili.

Purtroppo, le società e gli stati nazionali che compongono l’universo della popolazione terrestre sono ben lungi dall’ essere omogenee NELLE PRODUZIONI, NELL’ETICA E NELLE LOGICHE DISTRIBUTIVE; pertanto, ancora oggi stanno percorrendo strade diverse. Poi ci sono da superare le differenze ideologiche/organizzative degli stati del mondo che ovviamente hanno legislazioni diverse, libertà diverse, fiscalità diverse, regimi amministrativi e politiche diverse. Dunque, non esiste una scuola di pensiero che concretamente amplifichi il concetto di economia etica e ci si limita, purtroppo, a parlarne in forma indefinita o ancor peggio ideologica.

La potente democratizzazione dei processi comunicativi avvenuti con i social media, non ha visto una crescita altrettanto potente dell’economia in senso etico. Il freno nella stragrande maggioranza dei casi è rappresentato degli interessi degli Stati nazionali, sempre più avidi di risorse e di burocrazia, dunque di potere. L’etica socioeconomica avrebbe bisogno di essere lasciata libera di ricercare ed applicare quelli che sono i principi che sono alla base di questa scienza: creare condizioni di felicità lavorativa e di remunerazione alle popolazioni.

Oggi la combinazione fra la produzione su base locale delle risorse, la progettazione condivisa e la distribuzione globalizzata, ci indica una strada per un etico sviluppo socioeconomico. Inoltre, lo sviluppo local collaborativo di questo nuovo modello di produzione lo rende accessibile, lo rende propedeutico a un’economia sempre più etica. Dunque, una economia dove l’azione è orientata alla soddisfazione di valori etici dei produttori e dei consumatori, dove l’obbiettivo è l’inserimenti degli stessi valori nei processi produttivi. A questo punto l’elemento etico diventa un fattore di efficienza, aumenta la motivazione degli attori economici e fortifica l’adesione a dei valori comuni.

Si è iniziato a parlare di Economia Etica da quasi 50 anni, ma in effetti non si è fatto tantissimo in concreto. Gli Stati nazionali si sono introdotti in questo processo di eticità dell’economia con interventi episodici, disorganizzati, squilibrati e solo a volte, con interventi inappropriati e parziali (Welfare più o meno spinti). Tali interventi come detto prima, sono stati creati per raggiungere un maggiore controllo sociale da parte dello stato, nonché un maggiore potere politico e pubblico sulla società sottostante. Lo scambio sociale tra Stato e persona è sempre stato a sfavore della socioeconomia, dunque dell’economia etica. Questo processo avrebbe bisogno di essere progettato, gestito, acculturato ed educato, da processi formativi che dovrebbero toccare tutta la “moltitudine sociale” nonché le sovrastrutture burocratiche pubbliche.

Come in tutti i periodi di transizione, ci sono diversi “anelli mancanti” (Stato, leggi, regole nazionali, consuetudini, midset ideologici, ecc.) che riducono e a volte fanno sembrare utopica una trasformazione della attuale Economia post-Industriale in una migliore e più giusta Economia Etica. Una accelerazione dei processi porterebbe velocemente a ridurrebbe i tempi per giungere alla “socioeconomia diffusa”: ovvero all’unisono sviluppo economico e sociale dell’umanità.

Prof. Antonio ROMANO


 


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