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Libri

Il caso "Forze Nuove"

di Ettore Bonalberti

 

La Lunga marcia nel deserto

Nel Marzo del 1993 la casa editrice Cinque Lune (storica casa editrice della DC) pubblicò il suo ultimo libro. Nasce così il primo libro di Ettore Bonalberti intitolato: Il Caso "Forze Nuove"- Dal preambolo alla quarta Fase-un contributo alla storia della DC, con prefazione di Franco Marini che era subentrato, dopo la morte di Carlo Donat Cattin, alla guida della corrente di Forze Nuove.

 

EXCURSUS STORICO
Il periodo oggetto dell' analisi di questo saggio è quello che va dal 1980 (l'anno della celebrazione del 14° Congresso Nazionale della DC, il Congresso detto del "Preambolo") all'anno 1992, ossia quello delle elezioni del 5 e 6 Aprile che rappresentano l'autentica svolta storica della Repubblica e l'avvio della " Quarta Fase" della storia repubblicana dell'Italia.

Il criterio essenzialmente orientativo ed euristico adottato, ossia quello di una periodizzazione suddivisa in quattro fasi della storia di questi ultimi cinquant'anni, comporta un riferimento ai momenti "forti" di sviluppo della nostra vicenda nazionale, quelli che più correntemente vengono così indicati anche nel dibattito politico e nella stessa analisi politologica italiana:

- il Centrismo, che coincide, in larga parte, con l'età degasperiana e della ricostruzione post-bellica. Esso copre un periodo che possiamo situare dal tempo del 4° Governo De Gasperi ( Maggio 1947-Maggio 1948), il primo guidato dallo statista trentino dopo la fine della collaborazione tra la DC ed i partiti della sinistra marxista che insieme avevano partecipato al CLN, fino alla fine degli anni '5O;

- il Centro-sinistra, che, opportunamente, è stato suddiviso in due parti: dal 1962 ( anno della celebrazione del Congresso Nazionale di Napoli della DC: quello in cui, a grande maggioranza, sotto la guida di Moro, la DC sceglie l'alleanza con il PSI e con gli altri partiti di ispirazione laica e socialista o, per dirla con lo stesso Moro, ci si orienta verso "l'allargamento dell'area democratica") al 1976, l'anno di svolgimento delle elezioni politiche nelle quali la DC, guidata da Zaccagnini, evita per alcuni pochi punti percentuali il sorpasso da parte del PCI di Berlinguer; e il periodo del Pentapartito, che va dal 1980 al 1992, ossia quello che costituisce l'oggetto specifico di questo libro: la stagione iniziata al 14° Congresso della DC a Roma con il "preambolo" di Donat Cattin, Forlani e Bisaglia e che si concretizzò nel ritorno all'alleanza organica e, per molti aspetti "preferenziale", tra la DC ed il PSI: alleanza e conseguenti governi che vennero chiamati della "Nuova Alleanza Democratica";

- la "Solidarieta' nazionale", ossia il periodo che va dal 1976 al 1980 durante il quale, nell'emergenza economica ed istituzionale, aggravata dal fenomeno del terrorismo, si consumò il tentativo, alla fine fallito, di una diretta associazione del PCI nel governo del paese ed in cui si verificò il più feroce tentativo di attacco al cuore dello Stato da parte delle Brigate Rosse, con il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro.

Il termine di "Terza Fase" fu coniato per la prima volta proprio da Aldo Moro nella riunione del Consiglio Nazionale della DC del Luglio 1975, quello che seguì alla batosta elettorale del Referendum sul divorzio del 1974 e, soprattutto, delle elezioni amministrative del Giugno 1975 nelle quali, al voto delle regionali, la DC scende al suo livello minimo storico del 35,3% ed il PCI raggiunge la cifra massima del 33%. Moro in quel Consiglio Nazionale che vedrà l'elezione a sorpresa di Benigno Zaccagnini alla Segreteria del partito, dopo che i dorotei misero in minoranza il segretario Fanfani,aveva detto tra l'altro:" C'è stata una vittoria dell'opposizione. Essendo la DC logorata da trent'anni di esercizio del potere è comprensibile...che ci si rivolgesse verso la più potente delle opposizioni... Il grande disegno che abbiamo concepito nel 1962 e per il quale una netta maggioranza del popolo italiano si sarebbe ritrovata nel quadro della collaborazione tra cattolici e socialisti, con l'apporto determinante di altre forze democratiche, è stato, se non vanificato, certo duramente colpito. E' difficile dire che cosa accadrà. L'avvenire non è più in parte, nelle nostre mani..... Bisogna guardare avanti con coraggio e dignità. Due momenti della nostra storia sono passati e si apre un nuovo capitolo. E' cominciata una terza, difficile fase della nostra esperienza".

E "Terza Fase" Donat Cattin volle chiamare la rivista da lui diretta negli ultimi nove anni della sua vita, proprio al fine di analizzare quella stagione che si era aperta dopo il fallimento dell'esperienza del centro-sinistra e della solidarietà nazionale , con grande difficoltà di ricomposizione degli equilibri politici. Essa costituiva il tempo di una ricerca complessa, sul piano culturale prima ancora che politico e degli schieramenti, tanto più difficile poichè ci era venuto a mancare nel partito l'intelligenza e la guida politica di un uomo come Moro; una fase che si è, in ogni caso, consumata con la stagione decennale del pentapartito che si esaurirà nell'Aprile del 1991(formazione del VII Governo Andreotti) e, soprattutto ed in maniera definitiva, con i risultati sconvolgenti sul piano degli equilibri politici, delle elezioni generali di quest'anno.

E', come si è detto, una schematizzazione meramente orientativa dato che, come sempre succede nei percorsi storico-politici, in ciascuna delle fasi così semplificate e specie nei momenti che separano una fase da quella successiva, le distinzioni non solo non esistono nella realtà, ma non sono mai così nette e specifiche.

In ogni caso trattasi di uno schema sufficientemente rappresentativo della storia post-bellica italiana.
Ciascuno dei quattro periodi in cui si sono voluti suddividere questi primi cinquant'anni di storia sono spesso caratterizzati dai personaggi più autorevoli che, a livello di leadership di governo o di partito, hanno finito con il legare il proprio nome, in maniera talora determinante, ai diversi momenti di questa stessa storia.

Così, se la fase del centrismo è, soprattutto anche se non esclusivamente, quella legata alla personalità di Alcide De Gasperi, ossia a colui che guidò per alcuni decisivi anni il partito che ebbe la maggioranza assoluta il 18 Aprile del 1948 e, poi, ininterrottamente quella relativa sino all'Aprile di quest'anno; quella successiva del primo centro-sinistra è l'età di Fanfani, Moro, Nenni, Rumor, Saragat, La Malfa e De Martino ed ancora quella decisiva, non solo per la storia della DC, dell'avvento del doroteismo.
Analogamente la fase della solidarietà nazionale è, prevalentemente, legata alle personalità di Moro, Zaccagnini ed Andreotti sul fronte della DC ed a quella di Enrico Berlinguer su quello del PCI.
Ed, infine, il periodo che costituisce più direttamente l'oggetto particolare di questo saggio, "dal Preambolo alla Quarta Fase", è quello che vede in prima piano le personalità di Donat Cattin, Forlani, De Mita e Andreotti per la DC e di Bettino Craxi e Spadolini sul fronte socialista e laico.
"Il caso di Forze Nuove" è proprio il tentativo di ricostruire, attraverso documenti, articoli e scritti provenienti dall'interno di questo gruppo, la storia di un movimento e di una corrente organizzata dentro la Democrazia Cristiana che dal 1964, anno della sua costituzione, si è mantenuta, con alterne e complesse vicissitudini, vitale ed essenziale nella ormai lunga storia politica della DC.



L'ETA' DI DE GASPERI
Non si potrebbe comprendere il senso autentico del capolavoro storico-politico di De Gasperi se non si tenesse conto, da un lato, delle condizioni internazionali in cui si collocava il caso italiano e, dall'altro, della specificità del tutto particolare di una nazione che, seppur inserita all'interno del mondo occidentale, in virtù delle scelte compiute dai Grandi alla conferenza di Yalta, vantava, altresì, la presenza del più forte partito comunista dell'Occidente: il più grande partito comunista al mondo, dopo quelli dell'URSS e della Cina, per capacità di consenso elettorale liberamente e democraticamente acquisito, e per organizzazione di quadri e di militanti inseriti stabilmente nel partito e nelle organizzazioni sociali di diretta emanazione del partito stesso.

E' all'interno di questa realtà effettuale che si concretizzano le scelte degasperiane decisive, destinate a garantire alla DC un ruolo fondamentale e centrale per gli equilibri politici dei successivi decenni:

-il coinvolgimento di tutto il mondo cattolico su una politica democratica di moderato riformismo e, dunque, l'azione da lui svolta per garantire l'adesione della Chiesa alla rinascente democrazia italiana. Di qui il tentativo, in larga parte riuscito, di mobilitare l'unità dei cattolici attorno alla DC;

-la scelta atlantica ed europea da una lato, con tutte le implicazioni di ordine economico e sociale che esse comportavano e, dall'altro, quella delle alleanze con i partiti di ispirazione laica, liberale e del socialismo democratico, quale base dell'equilibrio centrista anche dopo e nonostante la maggioranza assoluta conquistata dalla DC nelle elezioni del 18 Aprile 1948.

Sono queste le fondamentali scelte degasperiane destinate a caratterizzare la realtà di un partito che, proprio in virtù delle stesse, finirà con il rappresentare e rappresenterà oggettivamente, l'alternativa democratica, fondata su un vasto consenso popolare, al polo comunista che egemonizzava specularmente ed in maniera indiscutibile l'area delle forze di opposizione di sinistra del Paese.

Un'opposizione che per molto tempo non mancherà di caratterizzarsi nel senso di una autentica alternativa al "sistema di potere dominante" con continui richiami alla costruzione di una futura società "democratica e socialista".

Divisione del mondo in blocchi; presenza di un fortissimo partito comunista che, per molti anni, conserverà i caratteri di partito rivoluzionario di derivazione terzinternazionalista, legato indissolubilmente alle direttive del Cominform; politica delle alleanze al centro, anche come conseguenza di un sistema elettorale fondato sulla proporzionale rigida: sono questi gli elementi entro i quali si impernia la figura e l'opera politica straordinaria di Alcide De Gasperi che, possiamo a buon diritto, annoverare tra i grandi Padri della Patria e, sicuramente, tra i massimi esponenti politici di tutta la nostra storia unitaria.

Se sul fronte politico De Gasperi lega indissolubilmente il suo nome e la sua epoca a quella del centrismo( la prima fase, secondo la nostra periodizzazione) su quello del partito, l'età di De Gasperi è il tempo in cui si assiste al passaggio del primato dalla prima alla seconda generazione democratico-cristiana e, dunque, all'avvento alla guida della DC di Amintore Fanfani. Una guida, quest'ultima, destinata a segnare profondamente la natura, la struttura organizzativa e gli stessi caratteri di un partito che, pur tra fasi alterne e successivi adattamenti e modificazioni, giunge pressoché inalterato, praticamente sino ai nostri giorni.

E' questo il periodo nel quale (1954-1960), da un lato, si assiste al progressivo indebolimento dell'esperienza centrista che vede ridursi i margini numerici e politici della propria rappresentanza e, dall'altro, ad una profonda trasformazione dei caratteri organizzativi e strutturali della Democrazia Cristiana.

Se sul piano dell'evoluzione politica assistiamo, dunque, all'avvicinamento delle posizioni tra democristiani e socialisti, i quali ultimi, specie dopo i fatti di Ungheria del 1956, si distaccano sempre più dalle politiche frontiste precedenti (un avvicinamento questo destinato a sfociare nella successiva alleanza che caratterizzerà le due seguenti fasi politiche, intervallate dalla breve stagione della solidarietà nazionale), su quello più specificatamente interno alla Democrazia Cristiana i mutamenti che interverranno saranno molto incisivi e destinati a sopravvivere per molti anni a venire, segnando in maniera indelebile tutta la storia del partito dei cattolici democratici sino ai nostri giorni.

E', insomma, la DC di Fanfani e del gruppo di "Iniziativa Democratica" che si impone: ossia di quel gruppo costituitosi all'interno della DC e formato da esponenti della seconda generazione del partito che caratterizzerà questa importantissima stagione destinata a creare, con il ricambio generazionale, le condizioni per l'avvento del centro-sinistra. Essa contribuirà, altresì, a rafforzare la stessa futura egemonia della Democrazia Cristiana la quale , per molto tempo, permarrà al centro di un sistema politico di tipo tolemaico , poichè vedrà ruotare intorno ad essa tutte le altre forze politiche di governo, o aspiranti tali, del Paese.

Se da un lato, si assisterà ad un frequente passaggio di mano alla guida dei governi, dopo la stagione degasperiana di ininterrotta guida dell'Esecutivo (Dicembre 1945-Luglio 1953)( si succederanno, infatti, ben dieci Governi prima della costituzione del primo governo organico di centro sinistra;praticamente dal Governo Pella dell'Agosto 1953 sino a quello presieduto per la terza volta da Amintore Fanfani dal Luglio 1960 al Febbraio 1962, il cosiddetto governo delle "convergenze parallele") dall'altro assistiamo alla radicale trasformazione della struttura e della stessa natura del partito. Infatti da partito dei "notabili" e dei "Comitati Civici", caratteristico dell'epoca degasperiana(durante tale periodo le strutture del partito restarono deboli rispetto a quelle del mondo cattolico), la DC sarebbe diventata, con Fanfani, il partito organizzato di massa e moderno, sottratto ai condizionamenti dei grandi centri di potere economici e finanziari della Confindustria e della Confagricoltura, poichè direttamente coinvolto nella gestione dei grandi Enti Statali , Parastatali e delle Partecipazioni Statali.

Di qui l'introduzione di quei meccanismi di occupazione del potere che finiranno con l'originare molti dei mali che, più tardi, sfoceranno nella degenerazione delle Tangentopoli di così drammatica odierna attualità.

Quella fanfaniana era la scelta per un partito organizzato e di massa, su base centralistica ed a struttura rigida e diffusa su tutto il territorio, che corrispondeva ad una particolare ed efficiente concezione propria del leader aretino, ereditata in parte dalla sua precedente esperienza dossettiana e già presente tra le file di "Iniziativa Democratica". Essa ben si adattava alla realtà di un paese in cui, alla fine degli anni cinquanta, mancato alle elezioni politiche del 1953 l'obbiettivo del premio di maggioranza voluto da De Gasperi ( un premio, si badi bene, che doveva essere attribuito al partito od alla coalizione dei partiti che avesse superato la soglia del 51% ; dunque, solo una forsennata ed iniqua campagna di stampa orchestrata dai partiti della sinistra aveva potuto qualificare quella legge elettorale come "Legge Truffa") la Democrazia Cristiana doveva fare i conti con un partito comunista organizzato su basi gramsciano-leniniste al suo interno e rigidamente schierato a favore dell'Unione Sovietica a livello internazionale, attraverso un legame non solo e non propriamente di tipo esclusivamente "ideologico"....

Ne derivò una struttura del partito, per molti aspetti, speculare a quella propria dei partiti centralistici di ispirazione marxista (ed in ogni caso lontanissima dalle idee che del partito avevano avuto Sturzo e De Gasperi). Tuttavia al metodo del centralismo democratico, proprio dei partiti leninisti, si sostituì un'originalissima prassi politica del tutto specifica della realtà democratico-cristiana: quella delle correnti organizzate e dell'utilizzo sistematico e ad ogni livello del manuale Cencelli.

E questo diventerà lo strumento regolatore delle spartizioni degli incarichi di potere nel governo e negli enti ad esso in qualche modo collegati . Ciò, più che nella fase di gestione fanfaniana (1954-1960) si introdurrà significativamente dopo l'ottavo Congresso Nazionale della DC (Napoli-1962) e si concretizzerà in quello successivo di Roma del 1964, dato che, con l'introduzione della proporzionale,si riconobbe a pieno titolo l'esistenza delle correnti organizzate.

Questa dell'utilizzo del manuale Cencelli fu una pratica che, introdotta a Roma con riguardo alle questioni del governo centrale, finirà sciaguratamente con il diffondersi nelle Regioni, Province e Comuni, a mano mano che si attuava il decentramento politico ed amministrativo. La vita del partito, intanto, si riduceva sempre più alla verifica delle posizioni di rappresentanza congressuale di ciascuna corrente.

Queste, infatti, finirono soprattutto con l'essere impegnata ad acquisire potere,quale precondizione per il controllo delle possibilità finanziarie necessarie per acquisire quote di tesseramento e di rappresentanza, a loro volta indispensabili per la spartizione del potere. E così avanti, all'interno di un circuito sempre più incontrollabile e perverso .

Naturalmente questa fortissima sterzata in senso centralistico ed autoritario alla guida del partito da parte di Fanfani, non mancò di suscitare reazioni e forti malumori all'interno della DC, specie tra coloro che mal sopportavano, accanto ai metodi rigidi di conduzione del partito, le grandi aperture, con talune venature neutraliste, in politica estera, e/o quelle assai più significative in materia di politica economica e sociale.

Aperture queste ultime che, oltre tutto, favorivano un processo di avvicinamento tra le istanze del riformismo di ispirazione cristiano sociale e quelle socialiste e, dunque, preparavano l'avvento del centro-sinistra.

E' in questo quadro dalle forti tinte chiaroscure che si materializza la fine dell'esperienza di "Iniziativa Democratica" e si prepara la rivolta dorotea della Domus Mariae.



L'AVVENTO DEI DOROTEI
Quella storica riunione nel convento delle suore dorotee di Roma che sancì, di fatto, la messa in mora della leadership fanfaniana sul partito e vide nascere quello che costituirà per tutti gli anni a venire il fulcro attorno al quale ruoterà con la DC l'intero sistema politico italiano per molti anni, ossia il gruppo doroteo, si svolse durante i lavori del Consiglio Nazionale convocato a Roma alla Domus Mariae il 14 Marzo 1959 per decidere sulle dimisssioni di Fanfani dalla Segreteria politica. Una parte consistente di "Iniziativa Democratica" riunitosi nel Convento delle suore Dorotee ( per questo poi il gruppo prenderà il nome di "doroteo") decise di non respingere le dimissioni di Amintore Fanfani e di proporre alla Segreteria politica Aldo Moro, che all'interno di Iniziativa Democratica era stato, per la verità, vicino all'esperienza dei dossettiani e che, certo, anche negli anni successivi sarà il meno organico al gruppo doroteo stesso.

Fu, in ogni caso, lì che nacque e si consolidò la storia non solo di un gruppo, ma di un movimento, di una cultura, di un modo di concepire la politica all'interno della Democrazia Cristiana e nel rapporto con gli altri partiti, di cui ancor oggi scontiamo le conseguenze e per certi aspetti condividiamo tuttora le responsabilità.

La nascita della corrente dorotea, infatti, non solo rappresentò la formazione di un gruppo che per molto tempo conserverà intatta l'egemonia ed il dominio all'interno della DC (con forti ricadute sui governi e nel potere da essi derivato), ma determinò anche l'instaurarsi di talune prassi e comportamenti destinati a consolidarsi nel tempo.

Venne insomma a costituirsi un sistema che è fatto insieme di potere, di un certo costume e di una certa mentalità che si diffonderà con la rapidità di un'epidemia dentro e fuori della DC e che verrà chiamato, per lo più spregiativamente, "doroteismo".

Che cosa sia stato, cosa esso abbia realmente rappresentato e rappresenti nella storia della DC e delle altre forze politiche e nel Paese, è materia che esula dal presente libro. E' opinione dell'autore che, tuttavia, esso dovrebbe essere attentamente studiato su base interdisciplinare poichè, ad un certo punto, si è verificato che dal "doroteismo" finiranno con l'essere contagiati molti altri movimenti politici, di governo e di opposizione.

E così molti uomini e gruppi, dentro e fuori della DC, giungeranno a considerare la politica come una mera gestione del "potere per il potere", assolutamente sganciata da particolari e definiti fini ed obbiettivi di ordine etico e sociale che non siano quelli della garanzia della sopravvivenza, comunque e ad ogni costo, nel controllo della cosa pubblica.

Fu questa l'origine di molti dei mali che sfoceranno nella cosiddetta "questione morale " di cui stiamo attualmente pagando un prezzo altissimo e che rischia di mettere in crisi le fondamenta della nostra democrazia e della stessa Repubblica.

Certo in quel Consiglio Nazionale del 1959 si celebrò un momento di drammatica rottura: una rottura tra le più incisive nella storia della DC, tra il gruppo prevalentemente di centro del partito ed una leadership autorevole, ma i cui tratti autoritari non erano più sopportabili da parte della maggioranza "moderata" dei "pallidi salmodianti della Domus Mariae"(secondo la definizione che dei convegnisti darà, di lì a poco, lo stesso Fanfani).

Alla Domus Maria si consumò non solo una rottura profonda del vecchio gruppo di "Iniziativa Democratica" (di fatto aprendo la questione dell'egemonia tra i diversi esponenti della seconda generazione democratico-cristiana), ma si introdussero nuovi elementi, che consolidandosi nel tempo (specie dopo la Segreteria di Aldo Moro e l'assunzione della responsabilità di guida del partito da parte di Mariano Rumor)(Congresso Nazionale di Roma del 1964) , modificheranno profondamente i caratteri stessi della Democrazia Cristiana.

L'introduzione, infatti, del sistema proporzionale rigido nelle votazioni interne di partito che sanciva,di fatto, l'esistenza di gruppi organizzati dentro la DC si accompagnò ad un metodo di conduzione del partito basato sul dominio incontrastato del gruppo di maggioranza pressochè assoluta dei dorotei (dato che godranno per molto tempo del sostegno fanfaniano nonostante tutto) e finirà con il dover registrare, altresì, un pericoloso e progressivo distacco dalle rilevanti conseguenze tra mezzi e fini dell'azione politica.

Sarà qualcosa di diverso anche dalla stessa concezione fanfaniana del partito e della politica; tuttavia proprio da quella concezione e dai suoi frutti i dorotei ereditarono la realtà di un partito rigidamente strutturato in senso centralista e che avrebbe oggettivamente permesso le degenerazioni successive.
Di fatto con il passaggio di mano di Fanfani e l'ascesa alla guida del partito di Aldo Moro in nome e per conto dei "congiurati "della Domus Mariae, si assistette ad un progressivo venir meno di quella politica dei contenuti così cara al Fanfani di "Cronache Sociali" ( la originaria rivista dossettiana che accompagnò quell'importante esperienza politica) ed agli amici della sinistra sociale della DC, quelle più legata alle ACLI ed alla CISL, rappresentate nel partito da Pastore, Donat Cattin e Labor (contenuti di grande apertura sul piano economico e sociale) ed un prevalere, invece, della questione delle alleanze più consona alla concezione politica morotea e della sinistra "politica" DC della Base.

Se ciò, da un lato, faciliterà il complesso evolvere delle disponibilità democratico-cristiane all'incontro storico con i socialisti, anche da parte dei gruppi moderati e più ostili alla politica di centro-sinistra, dall'altro, finirà con lo svuotare quella politica dei suoi contenuti riformatori più autentici, sino allo stesso logoramento di quella formula che pure tanti meriti acquisirà nella storia politica del Paese
I dorotei finirono con l'ereditare un partito strutturato da Fanfani come una macchina efficientissima per contrastare l'avversario storico comunista e per garantire l'occupazione del potere , ma che doveva, tuttavia, restare finalizzato al raggiungimento di grandi obiettivi riformatori di ispirazione cristiano-sociale ed alternativi a quelli marxisti. Essi, invece, lo faranno diventare uno strumento validissimo, soprattutto, per mantenere consenso e clientele secondo quella logica perversa, occupazione del potere-controllo di quote sempre più forti di partito, di cui si è detto prima. E tale logica, lungi dal rimanere materia esclusiva di competenza dei dorotei , finirà con il coinvolgere anche gli altri gruppi presenti nel partito e tra gli stessi alleati di governo.



IL CENTRO-SINISTRA
E' questo uno dei periodi (la Seconda Fase) fondamentali della nostra recente storia.
Preparato da una lunga gestazione su entrambi i fronti interessati, quello della DC e del PSI, all'indomani dei tragici fatti di Ungheria (1956), l'obbiettivo mancato negli anni '20, cioè quello dell'incontro tra popolari e socialisti (e che fu una delle concause che portarono all'avvento del fascismo), ebbe necessità di alcuni anni di preparazione. E furono anni quanto mai complessi e difficili in entrambi i partiti.

Si trattava di superare ataviche resistenze, soprattutto ideologiche, esistenti all'interno della DC.
I socialisti, infatti, erano stati sempre considerati legati alla teoria ed alla prassi marxista del confratello partito comunista ed inoltre, non si erano dimenticate le esperienze vissute nei primi decenni del secolo dagli esponenti della prima generazione democratica-cristiana e dai vecchi popolari. Forte era, inoltre, l'avversione all'apertura nei loro confronti da parte delle gerarchie ecclesiastiche, a Roma come in quasi tutte le diocesi italiane .

Erano purtoppo ancora presenti alla memoria storica e personale di molti protagonisti le sperimentate esperienze dell'anticlericalismo e del massimalismo populista dei socialisti.

Sul fronte di questi ultimi, d'altronde e per ragioni esattamente opposte, si mantenevano intatte le riserve nei confronti di un partito come la DC, da sempre considerato come un insieme di forze conservatrici, reazionarie, clericali ed antioperaie.

Non fu facile, nè per Fanfani, nè per Moro e per la sinistra DC da una parte, nè per Nenni, Mancini, De Martino e Lombardi dall'altra, portare a maturazione un processo che, per quanto riguarda la DC, solo con il Congresso di Napoli (1962) poté dirsi definitivamente acquisito da parte della stragrande maggioranza di tutto il partito.

Nel Partito Socialista dopo una lunga stagione di opposizione a fianco dei comunisti, al Congresso di Torino del Marzo 1955 si decise il distacco definitivo dal PCI ed una significativa apertura verso i cattolici. Distacco ed apertura che si accentueranno dopo i tragici fatti di Ungheria (1956) e le rivelazioni del XX Congresso dell'URSS con il rapporto Kruscev sullo stalinismo e saranno sanciti dal successivo Congresso di Venezia del 1957.

Si è già detto come il prezzo che si dovette pagare per l'accettazione da parte delle forze moderate democristiane del centro-sinistra fu quello di stemperare in maniera considerevole i contenuti riformatori, sul piano economico-sociale, di quella politica.

Il risultato fu, allora, che l'incontro storico tra cattolici e socialisti non poté produrre quei significativi frutti che gli uomini di entrambi gli schieramenti riformatori si attendevano e per i quali si erano così fortemente battuti. Non solo essi si videro emarginati dagli incarichi decisivi ministeriali a vantaggio dei "moderati" di entrambi i partiti, ma dovettero assistere allo svolgimento di una politica spesso retta, in alcuni ministeri chiave, proprio da coloro che quella stessa politica avevano più intensamente avversato.

Tutto ciò finirà con l'introdurre, accanto agli inevitabili contraccolpi politici ed elettorali iniziali (alle elezioni politiche del 1963 si ebbe una perdita consistente di suffragi da parte della DC a vantaggio dei partiti di centro e di destra come il PLI ed il MSI ed il PSI dovette subire nelle elezioni successive del 1968 la scissione dei "carristi" di Vecchietti e Valori, che fondarono il PSIUP, alla sinistra del PSI) una serie di frustrazioni tanto più gravi nel momento in cui, a livello di società civile, stavano maturando significative trasformazioni che esploderanno nei fatti del '68 (moti studenteschi ed operai dell' "autunno caldo").

E' questo il tempo in cui, ad esempio, proprio la sinistra sociale della DC, il gruppo di Forze Nuove che, sin dalla sua origine era il più direttamente collegato alle componenti di ispirazione cristiano-sociale, come la CISL e le ACLI (componenti che proprio in quegli anni maturavano la coscienza della fine di ogni collateralismo, dell'autonomia e della incompatibilità tra incarichi nel sindacato e nell'associazione ed incarichi di partito) teorizzò con Donat Cattin, al Convegno di Sorrento ( 1969) l'ipotesi di una rottura traumatica con la DC. D'altronde, non passeranno molti anni che Livio Labor, al termine di un processo di maturazione e di progressivo distacco delle ACLI dalla DC, con i Convegni di Vallombrosa prima, ed il Congresso di Torino poi ( quello della scelta "socialista" del 197O ) giungerà prima alla costituzione dell'ACPOL (Associazione di Cultura Politica), in stretto collegamento con Donat Cattin e Riccardo Lombardi e, quindi, del MPL (Movimento Politico dei Lavoratori) che si presenterà, senza grande successo, alle elezioni politiche del 1972.

Non fu grave la perdita elettorale in termini assoluti di voti (meno di 120.000) quanto il vedere poi disperdere larga parte di quei quadri di provenienza aclista e democristiana o nel PCI o, e fu la maggior parte, nel PSI.

E fu così che quadri preziosi per il partito dei cattolicidemocratici andarono invece, in molti casi, a formare componenti significative delle leaderships emergenti nelle altre forze politiche alla sinistra della DC.

Politica morotea dei due tempi, nel pieno di una grave crisi economica (prima la sistemazione congiunturale dell'economia e poi le riforme strutturali); grandi scontri sociali per l'esplodere dei problemi della scuola e dell'Università; emarginazione di Aldo Moro dalla guida del governo dopo le elezioni politiche del 1968 (per i denunciati "errori di direzione politica" da parte di Saragat) e conseguente assunzione completa della leadership politica di governo da parte di Mariano Rumor e dei dorotei che già avevano fortemente rinsaldato il loro potere all'interno di un'ininterrotta ed oramai quasi decennale gestione del partito: furono queste , unitamente ad altri fattori più direttamente collegati allo scontro sociale, politico e culturale in atto nel paese, le concause che porteranno il centro-sinistra ad un progressivo ed inevitabile logoramento.

La fine di quella politica verrà decretata( dopo l'esplosione della stagione degli "opposti estremismi" che preparò quella assai più torbida e drammatica del terrorismo), alla metà degli anni'70 con la infelice richiesta da parte del Segretario del PSI De Martino della "politica degli equilibri più avanzati": fu questa scelta che con i risultati delle elezioni politiche del 1976 portò all'affossamento definitivo del centro-sinistra.

Certo quella del centro-sinistra fu una lunga e complessa stagione, nella quale si assistette ad una accelerazione fortissima e su molti piani della società italiana. In particolare su quello dell'affermazione dei diritti civili e di libertà, furono quegli gli anni in cui più forte si espressero i caratteri profondamente mutati di una società che, dopo il centrismo ed il centro-sinistra, aveva sperimentato una delle trasformazioni più profonde sul piano strutturale e sovrastrutturale, conseguenza di un processo di industrializzazione che per intensità, concentrazione nel tempo e nello spazio e controllo della conflittualità sociale, pur con punte drammatiche di conflitto sociale e culturale, non ebbe eguali in tutto l'Occidente industrializzato. E' questo, probabilmente, il più grande merito storico del centro-sinistra, ossia l'aver saputo accompagnare, nella libertà, uno dei processi di trasformazione più grandi di tutta la nostra storia unitaria, con uno spostamento di uomini e di donne dal Sud al Nord del Paese e conseguenti modificazioni di usi, costumi, in una parola, cultura, quali mai si erano avute in tutti i decenni precedenti dell'Unità d'Italia.

E non mancarono, sebbene in taluni casi incomplete e/o tardive, una serie di riforme che contrassegnarono positivamente quella politica:

la costituzione delle Regioni a Statuto Ordinario che era una delle grandi incompiute della Costituzione repubblicana; lo Statuto dei Lavoratori e le conclusione contrattuali dell'autunno caldo alla fine degli anni '6O (sono queste, alcune delle più significative scelte operate in quegli anni e che portano tutte il sigillo di uomini del riformismo cristiano sociale,come Eugenio Gatto e Carlo Donat Cattin, e di quello socialista come il compianto Giacomo Brodolini).

Assieme alla prima riforma sanitaria del Ministro Mariotti (PSI) quelle sopra citate furono alcune delle grandi scelte compiute dal centro-sinistra che avviarono, di fatto, una politica del Welfare State che purtroppo non fu accompagnata da un adeguato sostegno a livello delle politiche tributarie e fiscali.
Con le scelte di Visentini agli inizi degli anni '70 , infatti, l' introduzione del criterio dell'accertamento centralizzato e l'annullamento di ogni capacità impositiva degli Enti Locali, unitamente all'instaurazione di un regime differenziato e palesemente iniquo tra redditi da lavoro dipendente, controllati sino all'ultimo centesimo dal sostituto d'imposta rappresentato dal datore di lavoro, e redditi da lavoro autonomo, assolutamente incontrollati ed incontrollabili si arriverà alle gravi situazioni di ingiustizia fiscale ed all'esplosione del malcontento dei nostri giorni, dato che quelle situazioni di palesi ingiustizie non sono più assolutamente tollerate).

Gli squilibri negativi di quella forbice (costi crescenti delle politiche del Welfare State ed Entrate fiscali squilibrate tra i diversi redditi ed assolutamente inadeguate rispetto ai bisogni da soddisfare) finiranno con l'aggravarsi negli anni successivi (anche quale conseguenza delle scelte che, specie in materia socio-assistenziale e dell'occupazione, saranno ulteriormente esaltate in termini di assemblearismo e di incontrollabilità complessiva, durante il periodo della "solidarietà nazionale") con conseguenze che, proprio in questi giorni, stiamo amaramente scontando

Tuttavia quella del centro-sinistra fu, soprattutto, una stagione di grande maturazione e di trasformazione in senso laicista della coscienza civile del Paese: il Referendum sul divorzio prima (1974) con la vittoria delle componenti laiche ed anticattoliche e quello sull'aborto poi ( ) costituirono la verifica palese di un'Italia completamente cambiata rispetto a quella conosciuta anche solo agli inizi degli anni '60.

E, contemporaneamente , montava, sul piano politico, la forza di un'opposizione comunista che, avendo perseguito scientificamente la lezione gramsciana della conquista sistematica di tutte le "casematte" possibili a livello sovrastrutturale,si trovava a dominare, di fatto, spezzoni significativi ed in alcuni casi pressochè esclusivi dell'editoria, della scuola e dell'Università, del cinema e delle arti, all'interno di una cultura complessivamente egemonizzata dal verbo marxiano.

Tutto ciò si univa alla straordinaria, duttile ed intelligente leadership politica di Enrico Berlinguer che, dopo i tragici fatti del Cile, ragionando sui destini della democrazia nei paesi a capitalismo relativamente maturo, abbandonava la politica della contrapposizione frontale che Longo aveva ereditato da Togliatti, giungendo a teorizzare la necessità di un avvicinamento delle grandi forze popolari,"il compromesso storico", per salvaguardare la democrazia nel nostro Paese.

Contemporaneamente, con la scelta dell'Eurocomunismo prima e, dunque, con l'accentuazione dei caratteri tipicamente nazionali ed europei dell'esperienza comunista italiana, e con la progressiva presa di distanza dalla casa-madre comunista sovietica ("esaurimento della spinta propulsiva della rivoluzione d'Ottobre"- l'URSS intesa come "una società socialista con alcuni elementi di democrazia") era riuscito a conquistare vasti consensi anche tra i ceti medi moderati presenti nell'elettorato italiano.

E fu così che alle elezioni amministrative del 1975 la DC subirà, quasi ovunque, una pesante sconfitta ed in molte Regioni, Province e Comuni, si diffusero giunte-rosse alternative a quelle che avevano visto al governo la Democrazia Cristiana, mentre con la dichiarazione di De Martino sulla necessità di una politica "degli equilibri più avanzati" si giungeva al completo esaurimento di ogni residua capacità di tenuta del centro-sinistra a livello politico e parlamentare.



LA DC DAL 1968 AL 1976
Nella Democrazia Cristiana, dopo le elezioni politiche del 1968 i dorotei, grazie all'intervento di Saragat che denunciò i presunti "errori di direzione politica" del governo, diedero il buonservito a Moro ed ottennero la guida dell'Esecutivo per Mariano Rumor. Al binomio Moro-Nenni dei primi anni del centro-sinistra subentrò così quello formato da Rumor-De Martino.

La guida della DC passa nelle mani di Flaminio Piccoli mentre si accentua il distacco tra Aldo Moro ed i vecchi compagni di cordata dorotei. Nel mondo cattolico si assiste, invece,al grande fermento che, specie sul fronte della sinistra sociale, nelle ACLI e nella CISL, porterà ad una prossima emorragia di quadri e di risorse umane.

Aldo Moro, da un lato, è uno dei più attenti lettori di questi fermenti che agitano la società italiana di quegli anni, e, nel Consiglio Nazionale DC del Novembre 1968 assume una definitiva posizione autonoma rispetto al blocco doroteo-fanfaniano, mentre, sulla sinistra, è soprattutto Carlo Donat Cattin che sente direttamente sul collo il fiato della contestazione montante delle componenti alle quali aveva sempre fatto riferimento, come le ACLI e la CISL.

Forze Nuove, infatti,costituosi come gruppo nel 1964 in un incontro a Firenze che vide la confluenza degli amici della corrente sindacale di "Rinnovamento"" ( già "Forze Sociali" all'epoca di Pastore e del gruppo dei Gronchiani) con quelli della sinistra di Base (Marcora, De Mita, Misasi, Galloni, Granelli) e dei quadri del Movimento Giovanile, questi ultimi quasi totalmente schierati sulle posizioni della sinistra, anche dopo che la Base tornò a ricostituirsi in gruppo autonomo,seppe mantenere intatto il suo carattere di componente più direttamente legata alle espressioni cristiano-sociali presenti all'interno della DC e nel più vasto retroterra cattolico.

La crisi conseguente alla diaspora cattolica post-conciliare e che colpirà, innanzi tutto, le grandi componenti organizzate di ispirazione cristiano-sociale, finirà con il determinare specialmente su questo gruppo di frontiera della DC, le ripercussioni più forti.

Infatti sarà soprattutto Forze Nuove che pagherà negli anni successivi le conseguenze più pesanti, sia in termini di mancato ricambio di energie fresche di provenienza sociale, che di perdita di forze preziose già militanti all'interno della DC e diffuse su tutto il territorio nazionale.

E sarà proprio Forze Nuove che con un' accorata lettera, senza riscontro politico concreto, a firma di Donat Cattin, Bodrato e Vittorino Colombo, evidenzierà, di lì a poco, a Forlani i pericoli seri cui andava incontro il partito se avesse continuato nei metodi di conduzione introdotti nella DC durante la lunga stagione dorotea.

Il distacco da questi ultimi di Aldo Moro, con la sua raggiunta totale autonomia, finì con l'avviare uno specialissimo rapporto tra i leader pugliese ed il sanguigno deputato piemontese; un sodalizio umano, culturale e politico che si spezzerà drammaticamente, solo con l'assassinio di Moro ad opera delle Brigate Rosse.

Nell'11° Congresso della DC svoltosi a Roma alla fine di Giugno del 1969 i dorotei ed i fanfaniani ottengono, ancora una volta, la maggioranza con la quale riporteranno alla Segreteria l'On. Piccoli, ma Moro, con un vibrante discorso accentuò ulteriormente la sua critica alla gestione dorotea della DC.
I giovani che affollavano gli spalti del Palazzo dei Congressi vollero sottolineare la loro entusiastica adesione a Moro, lanciando sui delegati migliaia di volantini beneauguranti.

Moro giudicherà così la gestione dorotea del partito: "chiusa, inerte, carica di diffidenza e di malinteso spirito di difesa, lontanissimo da quel vasto respiro di libertà che dovrebbe caratterizzare il partito".
Veramente con quell'intervento Moro fu riconosciuto come l'unico vero ed autentico leader di tutta la sinistra democratico-cristiana.

D'altronde fermenti nuovi emergevano anche fra gli esponenti della terza generazione. Infatti, nel Settembre di quello stesso 1969, si riunirono in un paesino delle Marche, S. Ginesio, diversi esponenti della terza generazione DC con alla testa Forlani, De Mita e Ciccardini, con il proposito di perseguire un ricambio generazionale alla guida del partito.

E fu così che nel Novembre del 1969, con il distacco dei fanfaniani dalla maggioranza dorotea, viene data la sfiducia in Consiglio Nazionale al Segretario Flaminio Piccoli e la guida del partito passerà a Forlani, con Ciriaco De Mita alla Vice Segreteria.

L' Italia intanto entrava in un periodo di profonde convulsioni, caratterizzate dai fenomeni della contestazione studentesca ed operaia, da un lato, e dalla "strategia della tensione" dall'altro.

Morte dell'agente di polizia Antonio Annarumma nel corso di uno sciopero generale nel Novembre 1969, seguito di lì a poche settimane dai tragici fatti di Piazza Fontana con lo scoppio della bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano.

Protesta e rivolta del "boia chi molla" a Reggio Calabria e tentativo di golpe del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese, già Comandante della X Mas.

E' in questo quadro che monta la reazione di destra che si concretizzerà nel voto a favore del MSI nelle elezioni amministrative del Maggio 1971.

Il punto più basso della vicenda interna democristiana è il momento della successione alla Presidenza della Repubblica di Saragat.

La DC, come già in altre occasioni è successo ed ancora accadrà, è incapace di darsi una candidatura unitaria.

E fatto rimarchevole sarà il mancato via libera, da parte dei gruppi parlamentari, alla candidatura di Aldo Moro; l'unico che, in quella tormenta, avrebbe potuto ricevere i voti di tutta la sinistra.

I dorotei preferirono resistergli, ed alla fine riusciranno ad imporre un loro candidato nella persona di Giovanni Leone, con i voti determinanti del MSI.

Lo spostamento a destra viene registrato con l'interruzione dei governi di centro-sinistra e la formazione di un governo di centro-destra Andreotti-Malagodi, che si presenta in Parlamento senza maggioranza.

Questione relativa al Referendum sul divorzio ( richiesto dal Comitato presieduto da Gabrio Lombardi, nel tentativo di annullare la Legge sul divorzio che aveva votato l'anno prima il Parlamento) che doveva svolgersi nella Primavera del 1972 e difficoltà nell'ottenimento di una maggioranza parlamentare al Governo: sono gli elementi che concorrono a determinare la prima, di una futura lunga serie di interruzioni anticipate della Legislatura.

Un sintomo chiaro delle difficoltà di tenuta di un sistema bloccato, incapace di garantire un'alternanza, stante l'esistenza di una eccessiva frammentazione conseguente alla proporzionale rigida ed alla presenza di un PCI, sino ad allora dimostratosi incapace di aggregare una reale alternativa alla DC.

Dopo le elezioni del 1972 si ricostituisce il governo Andreotti-Malagodi(DC-PSDI-PLI e appoggio esterno del PRI) mentre, ormai, si attendono gli esiti dei due Congressi: del PSI, indetto a Genova per il Novembre del 1972 e quello della DC, convocato per il Giugno dell'anno successivo.

Ricevuto il via libera dai socialisti per la ricostituzione di un governo di centro-sinistra(con il riaffidamento della Segreteria all'On. De Martino) la DC si prepara a celebrare il suo 12° Congresso a Roma, quello che sarà chiamato del "Patto di Palazzo Giustiniani".

E' lì, infatti, nella sede della residenza del Presidente del Senato Fanfani, che " i due cavalli di razza"( così li definirà in Congresso Donat Cattin) stipulano un accordo che prevede il ritorno di Fanfani alla Segreteria della DC, mentre Moro intende spezzare l'egemonia dorotea sul partito.

A Forlani, nel suo intervento congressuale, Fanfani amabilmente, ma con ironia, ricorda che nella vita della DC come in quella liturgica della Chiesa " c'è il tempo delle Quaresime e .....quello delle Resurrezioni", mentre ringrazia "il palafreniere" Donat Cattin per aver facilitato l'incontro tra "il morello pugliese" ed "il pony aretino".

Fanfani tenta un rilancio organizzativo della DC ma, di lì a poco, deve fare i conti con il Referendum sul divorzio che si svolgerà nella primavera del 1974.

La sconfitta tremenda di quella prova (59% di NO contro il 41% dei SI favorevoli all'abrogazione della Legge) aprì una ferita non più rimarginata nel mondo cattolico ( alcune frange significative si erano apertamente schierate sulle posizioni divorziste). Essa, insieme al risultato sconvolgente delle amministrative del 15 Giugno 1975 (con la DC al 35,3% ed il PCI al 33%) porterà alla drammatica riunione del Consiglio Nazionale del Luglio di quell'anno.

Fanfani, messo ancora una volta in minoranza dai dorotei, come già nel 1959, è costretto a lasciare la Segreteria, mentre Moro, con l'appoggio determinante delle sinistre DC (Forze Nuove e Base) riesce a portare Benigno Zaccagnini (allora Presidente del Consiglio Nazionale DC) alla carica di Segretario del partito, evitando, in tal modo, di riconsegnare il partito nelle mani del gruppo doroteo.
E fu proprio in quel Consiglio Nazionale che Aldo Moro pronunciò il suo famoso discorso. sulla "terza fase".

Zaccagnini viene eletto da una maggioranza eterogenea e molti pensano ad una soluzione del tutto transitoria e di breve durata.

In un momento particolarmente difficile per la DC e per il paese Zaccagnini ha il volto pulito e rassicurante dell'onestà; per il suo passato limpido di democratico-cristiano, combattente antifascista per la libertà nella sua terra di Romagna, Benigno incarna la speranza dei giovani e delle forze vive cattoliche e suscita immediatamente le simpatie della gente.

Nel Marzo del 1976 si celebra il 13° Congresso Nazionale della DC al Palazzo dello Sport dell'EUR che ospiterà tutti i successivi cinque congressi della DC, e mentre a favore di Zaccagnini si schierano con i morotei, le sinistre ed i dorotei dissidenti di Rumor e Gullotti,contro si realizza una coalizione denominata DAF formata da Dorotei, Andreottiani e Fanfaniani. Questi ultimi, sulla spinta di Ciccardini, convinti di mettere in difficoltà Zaccagnini, propongono una modifica del Regolamento congressuale per l'elezione del Segretario e fanno votare i delegati del Congresso la norma per l'elezione diretta del Segretario politico da parte del Congresso stesso e non più, come prima era sempre avvenuto, dal Consiglio Nazionale (metodo dell'elezione indiretta).

Era un tentativo di sottrarre la Segreteria ai possibili condizionamenti e voti di sfiducia del Consiglio Nazionale ed anche quello di battere Zaccagnini che si stimava perdente sulla base di una valutazione ..."realistica" dei delegati congressuali.

A Zaccagnini lo schieramento DAF contrappose Forlani e lo scontro fu incerto fino all'ultimo, in un clima infuocato come nei più accesi incontri sportivi ospitati al PalaEur,e con i delegati della sinistra che urlavano a squarciagola :"ZAC,ZAC,ZAC-Zaccagnini".

Vinse Zaccagnini ma di strettissima misura, mentre Moro, all'indomani del Congresso tentò un'immediata ricucitura che porterà Fanfani alla presidenza del Consiglio Nazionale, mentre nella Direzione Centrale le componenti a favore di Zaccagnini risultarono in minoranza.

Sul piano governativo, dopo il 3° governo Rumor, nato all'indomani del Congresso di Roma del 1973 che, almeno formalmente riproponeva la ripresa del centro-sinistra, era seguito il governo DC-PRI (Moro-La Malfa) appoggiato all'esterno dal PSI.

Ma alla fine del 1975, De Martino parlerà della necessità di dar vita agli "equilibri più avanzati", ritirerà la fiducia al governo e con la crisi ed il monocolore DC di Moro, sempre fondato sulla precedente maggioranza, nell'Aprile del 1976, anche per la divisione che si verificò tra i partiti della maggioranza su un altro tema delicatissimo quale quello della legge sull'aborto, si arrivò alla seconda interruzione anticipata della Legislatura.

Buon recupero della DC di Zaccagnini che, nelle condizioni in cui si svolse lo scontro elettorale, ebbe del miracoloso ( DC risalita al 38,7% dei tempi migliori), sostanziale tenuta del PCI e flessione dei partiti minori e della destra.

E' in questo nuovo quadro politico-parlamentare che si apre la Legislatura, mentre, intanto, nel PSI si scatena la rivolta del MIDAS contro De Martino. Craxi, Formica, Signorile, con l'appoggio del "vecchio" Mancini, puntano ad un ricambio generazionale alla guida del PSI, attraverso un'azione caratterizzata da forti elementi di tensione.

Il rifiuto del nuovo Segretario del PSI Bettino Craxi di tornare al centro-sinistra, farà nascere il "governo della non sfiducia", ossia un monocolore DC guidato da Giulio Andreotti che si sostiene con i voti DC e con l'astensione di tutti gli altri partiti dell'arco costituzionale dal PLI al PCI.

La situazione politica precaria è accompagnata da una forte recrudescenza della violenza terroristica dell'Autonomia Operaia e delle BR e dall'incalzare di una gravissima crisi economica (l'inflazione galoppante verso il 20%).

Maturarono così, nel Luglio del 1977, le condizioni per un'"intesa programmatica" tra tutti i partiti che avevano sino a quel momento garantito l'astensione al governo Andreotti.

E' questo il tempo nel quale, con Fanfani reinsediatosi alla Presidenza del Senato,dopo le Elezioni del 1979, Aldo Moro riassume la Presidenza del Consiglio Nazionale della DC e tenta l'operazione dell'apertura ai comunisti attraverso il "governo di solidarietà nazionale".



LA SOLIDARIETA' NAZIONALE
E' questa la stagione breve ed intensa durante la quale si cercò, alla fine senza riuscirvi, di risolvere il problema di garantire gli equilibri politici in una situazione di grave emergenza politica, economica, istituzionale e morale.

Il dilagare del terrorismo dell'Autonomia operaia e del partito armato fa dell'anno 1977 uno dei più insaguinati della nostra storia civile.

E, d'altronde, il 1977 può ben considerarsi come uno dei momenti cruciali di passaggio, squassato com'è tra forme di democrazia consociativa, spinte destabilizzanti e difficoltà a costruire un diverso assetto politico dopo l'esaurimento della formula di centro-sinistra.

Il PCI sembra essere guidato su un' altalenante linea di continui Stop and Go, indeciso come è tra la fedeltà ad una tradizione continuista del "partito di lotta" e le nuove frontiere berlingueriane dell'austerità e del rigore, proprie del "partito di governo" che si intende costruire.

Da un lato esso sente la necessità di accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica e delle altre forze politiche come un partito assolutamente affidabile sul piano della responsabilità e del senso dello Stato e, dall'altra, non perde occasione per tentare azioni di rivincita come quella legata al tentativo di processare sulle piazze la DC per il caso Lockheed; un attacco che provocherà la fermissima e rigorosa risposta di Aldo Moro con il suo magistrale intervento alle Camere riunite.

E sarà proprio Moro, l' inventore della" politica dell'attenzione" ( quella che con Zaccagnini diventerà la politica del "confronto"), con un intervento pronunciato a Bari, a riprendere ed approfondire ciò che già con il suo discorso al Consiglio Nazionale del Novembre 1975 aveva affrontato: il difficile tema della costruzione di una nuova e diversa maggioranza parlamentare, stante l'oggettiva impossibilità di dar vita ad un'alternativa pienamente democratica.

A Bari Moro sostenne che:" tocca alle forze politiche pronunciarsi su un qualche modo di associazione del partito comunista alla maggioranza....Nessuno può, soprattutto oggi, pensare di sottrarsi ad un confronto serio, non superficiale, nè formale, con la massima forza di opposizione".

E' questo il tentativo rigoroso e sofferto di costruire le condizioni che permettano , con la governabilità, la possibilità di instaurare un sistema compiuto di possibile alternanza democratica.

Non c'é cedimento alcuno verso il PCI ma, anzi, la consapevolezza che il confronto deve essere condotto su posizioni di dignità e di forza. E la forza non può che venire dall'unità interna di tutta la Democrazia Cristiana.

Sarà questo il senso dell'appello accorato e decisivo che Moro farà nel suo ormai celebre discorso (il suo ultimo intervento pubblico da uomo libero)ai gruppi parlamentari della DC(28 Febbraio 1978) con il quale egli riuscì a superare le resistenze residue( forti erano quelle di Donat Cattin) ed a far passare il governo della solidarietà nazionale.

E fu così che il PCI, molti anni dopo la sua diretta partecipazione nei governi del CLN, fece parte della maggioranza di governo.

Il giorno in cui Andreotti si presenta alle Camere per l'investitura, 16 Marzo 1978, coincide con quello scelto dalle BR per il rapimento dello statista pugliese che, dopo una prigionia infame durata 55 lunghissimi e drammatici giorni, verrà assassinato dai colpi di una mitraglietta Skorpion sparati da Prospero Gallinari.

Ed anche il monocolore DC di Andreotti che si reggeva sulla maggioranza della solidarietà nazionale avrà vita breve: la dura responsabilità e la difficile collaborazione, che porterà ad una confusa produzione legislativa, specie nei settori socio-sanitari e delle politiche del lavoro, aggravate dal clima pesante dell'attacco terroristico permanente, finiranno con lo spezzare i peraltro esili fili, appena intrecciati dall'abile tessitore assassinato.

Di lì a poco, dopo alcune verifiche in elezioni amministrative parziali per il PCI negative, ed in conseguenza del timore di forti emorragie elettorali sulla propria sinistra, Berlinguer porrà la condizione ultimativa:" o al governo o all'opposizione", nella consapevolezza che la politica di restare "in mezzo al guado"non poteva essere sopportata dalla sua base.

Rifiuto socialista di tornare al centro-sinistra ; richiesta perentoria del PCI, senza subordinate, "al governo o all'opposizione" e contemporaneo permanente veto della DC ad una diretta partecipazione dei comunisti al governo: era lo stallo più completo ed è in questa situazione che Pertini scioglierà (e sarà la terza volta) anticipatamente le Camere, indicendo le elezioni politiche per il Giugno 1979.

Il risultato, seppur non cambia di molto i rapporti numerici tra le forze politiche, porterà, tuttavia, ad un calo netto del PCI e ad un successo dei partiti laici, accanto ad una sostanziale tenuta della DC.

Il rifiuto socialista di alcuni mesi prima va, via via, stemperandosi, con Craxi tutto impegnato a spezzare la possibile convergenza tra la DC ed il PCI ed a conquistarsi un ruolo determinante nei futuri assetti politici.

Dopo un primo governo Cossiga con i comunisti che mantengono ferma la loro pregiudiziale ed anzi accentuano i caratteri della loro opposizione, si giungerà nel Febbraio del 1980 al 14° Congresso Nazionale della DC di Roma,quello del"preambolo, destinato ad avviare la lunga stagione del Pentapartito.



DAL PREAMBOLO ALLA QUARTA FASE
(1980-1992)


LA LUNGA MARCIA NEL DESERTO
Era iniziato un periodo molto difficile per Donat Cattin e per il gruppo di Forze Nuove. Dopo la vittoria al 14° Congresso Nazionale del 198O in cui, seppur di stretta misura, prevalse la linea del "preambolo", Donat Cattin aveva assunto la Vice Segreteria unica del partito a fianco di Piccoli. Fu un momento magico e di grandi speranze, ma brevissima fu la sua durata. Di lì a poco,infatti, scoppiò il caso di Marco Donat Cattin e ,nel giro di alcune settimane, suo padre si dimise dall'incarico mentre nel partito si avviava un periodo confuso ed incerto che, stante anche la proverbiale....... risolutezza di Forlani, sfocierà nella vittoria di De Mita al Congresso del 1982.

Dopo quasi un anno di cura demitiana e l'avvio di un periodo di ricorrenti crisi nei rapporti con i socialisti, privati da oltre quattro anni dell'intelligenza e della guida politica di Aldo Moro, sentivamo, specie noi di Forze Nuove, la necessità di ritornare a disporre di uno strumento agibile di approfondimento e di confronto politico e culturale.

Nacque così "TERZA FASE", che sin dal titolo evocava quella straordinaria e complessa intuizione morotea sugli sviluppi della crisi politica del paese, assunta da noi come programma di riflessione. Così, dopo l'esperienza di "SETTE GIORNI", (la rivista promossa da Forze Nuove alla fine degli anni '6O,, guidata da Ruggero Orfei e Piero Pratesi e vissuta sino ad alcuni mesi dopo la conclusione del Referendum sul divorzio nel 1974)con "Terza Fase" il gruppo ritrovava un nuovo strumento di impegno politico e culturale e tutto il partito, nell'aridità generale di quegli anni sul piano dell'elaborazione culturale, si arricchiva di un momento di confronto assolutamente originale e fecondo..

Infatti, senza una sede istituzionale permanente di dibattito (i Consigli nazionali si erano diradati sino a ridursi a poche convocazioni annuali,quasi sempre legate ad irrinunciabili scadenze statutarie e la stessa direzione centrale venne progressivamente sostituita dal neonato Ufficio Politico)a molti di noi ed anche ad amici di altri gruppi (almeno quelli meno disponibili all'ammaliante richiamo della sirena demitiana)non restava che la rivista ed i nostri annuali appuntamenti di St Vincent quali occasioni, pressoché esclusive, per aperti e costruttivi confronti con le migliori energie intellettuali e politiche del nostro e degli altri partiti. Iniziò, così, una lunga marcia fatta di ricorrenti analisi e di sostanziose proposte in materia politica, istituzionale, economica e sociale, spesso, però, enunciate in mezzo ad un apparente totale disinteresse del partito ufficiale che cercava, in tutti i modi, di creare il deserto intorno a noi. E per sette interminabili anni continuammo a ritessere il filo tra uomini e gruppi, dentro e fuori la DC, nella consapevolezza della necessità di dover cambiare ma, insieme, con la convinzione che il rinnovamento predicato da De Mita era "drogato" e carico di ambiguità trasformiste.

Fin dal suo Editoriale di esordio, nel primo numero di "Terza Fase" del Gennaio 1983, Carlo Donat Cattin si era posto alcune questioni cruciali che, dieci anni dopo, appaiono ancora di bruciante attualità:

- "nell'aggravarsi della crisi morale e politica del Paese, la nostra azione deve caratterizzarsi ulteriormente rispondendo ai numerosi pressanti interrogativi sollevati dalla realtà delle cose.
Essi sono ad esempio:
- come controllare la spesa pubblica e ridare responsabilità agli amministratori locali e centrali senza operare tagli indiscriminati che finiscono sempre col colpire la realtà dei più deboli?
- come assegnare alle Aziende di Stato ed alla grande industria un ruolo trainante senza cedere a spinte assistenziali?
- come ricavare dalla difesa rigorosa delle regole di mercato e dalle realtà economiche operative un modello generale di convivenza pluralista valida per l'intero paese ed in alternativa a forme di regressione corporative ed autoritarie?
- come semplificare e snellire la giungla degli organismi partecipativi assegnando loro poteri reali e competenze nè generiche nè settoriali?
- come, infine, assegnare alle organizzazioni sindacali un ruolo che vada al di là del diritto di veto, rendendole partecipi in maniera attiva e responsabili dello sviluppo complessivo del paese?

Per rispondere, sottolineava Donat Cattin, non basta formulare soluzioni tecniche.Vogliamo andare alle cause, addentrandoci in ricerche e riflessioni non generiche nè evasive. In particolare dobbiamo affrontare almeno questi temi:

il rapporto partiti-società:la storia, in particolare della DC dal 1968 ad oggi;il rapporto società-istituzioni da quelle centrali a quelle periferiche;e, più compiutamente, una rilettura dai punti di vista politico, sociale, culturale ed istituzionali degli ultimi quattordici anni di storia italiana.

In quell'ambito vogliamo approfondire:
-le origini delle contestazioni e dell'esplosione terroristica;
-l'evoluzione della società e dell'economia meridionale;
- l'evoluzione della Chiesa e del mondo cattolico italiano dal Concilio ad oggi."
Era questo l'impegnativo itinerario da lui indicato e su cui abbiamo cercato di sviluppare il nostro confronto politico.



L'EREDITA' DI TRENTO
Come si vede era profonda e drammaticamente a lui vicina la consapevolezza della necessità di comprendere appieno "le origini delle contestazioni e dell'esplosione terroristica". Punto di confluenza e di drammatica discontinuità tra la Seconda e la Terza Fase della storia repubblicana che culminerà nella terribile vicenda del rapimento e dell'uccisione di Aldo Moro,( l'uomo cui Carlo Donat Cattin fu politicamente e culturalmente più legato) il terrorismo, con l'esperienza del figlio Marco, finirà col colpirlo direttamente come uomo, come padre e come leader politico, segnando, anche per lui una lacerante e decisiva svolta esistenziale, umana e politica, da noi tutti vissuta con grande solidarietà e fraterna partecipazione.

E proprio sul quel fenomeno egli mi chiese un primo intervento per Terza Fase. Sapeva delle mia esperienza universitaria vissuta, alla fine degli anni '6O , presso la facoltà di Sociologia all'Università di Trento.

Ero, come si diceva allora, uno studente-lavoratore e, politicamente, tra i pochi democristiani dichiarati e, come tali, riconosciuti in quella sede. Nelle, per la verità rare (ogni volta che ci andavo era un giorno di ferie da richiedere)assemblee studentesche cui avevo partecipato, dovetti inevitabilmente scontrarmi o con le tesi dei miei ex amici delle ACLI, come Marco Boato, o con quelle dei leaders emergenti, come Mauro Rostagno, di lì a poco, tra i fondatori di Lotta Continua.

Erano quelli gli anni, per Mario Capanna "formidabili",per me, molto più concretamente, difficili, nei quali cercavo di combinare le necessità familiari con le esigenze dell'Università ed a contatto diretto con una realtà cattolica tradizionalista e chiusa come quella trentina, letteralmente sconvolta da quel ciclone rappresentato dalla nuova "Libera"Università di Sociologia, voluta, ironia della sorte, dal mio amico democristianissmo e caro Bruno Kessler. A Trento, sotto la guida dei più illustri docenti nelle scienze sociali (Barbano, Ferrarotti, Acquaviva,Ardigò, Andreatta,Alberoni ecc..)si preparavano,tra gli altri, gli animi inquieti anche di alcuni che finiranno tristemente famosi come Renato Curcio e la sua compagna Mara Cagol.

E non mancavano i soliti spiriti ...opportunisti: ricordo alcuni giovani democristiani dorotei da me conosciuti nel Movimento giovanile come tali, passati alla più dura contestazione lottacontinuista e poi rivisti, qualche anno dopo,opportunamente riconvertiti e riciclati nelle stanze pubbliche e private del potere!

Di questa mia esperienza all'Università di Trento ebbi qualche occasione di parlare con Donat Cattin che, per la verità, non aveva in cuor suo, in linea generale, una particolare stima per la sociologia ed ...i sociologi.

Di rigida formazione personalista all'interno di una cultura cattolica impregnata di un rigore del tutto speciale e che, qualche volta scherzando,mi permettevo di definire "giansenistico", Donat Cattin storceva quasi sempre il naso allorché annusava l'odore di interpretazioni dei fatti storici e culturali che, comunque,utilizzassero concetti e categorie proprie dell'analisi marxista.

Tuttavia, rigoroso e concreto com'era, non disdegnava, ovviamente, di interpellare ciascuno di noi per le risorse specifiche di cui eravamo portatori.

Si inquadrano,così ,questi miei primi contributi al dibattito politico su Terza Fase e mi pìace ricordarli come la mia....... eredità trentina. Donat Cattin, d'altronde,sapeva che per incarico della direzione regionale della DC veneta avevo svolto uno studio approfondito sul terrorismo italiano. Mi pare sia doveroso ripartire da lì in questa ricostruzione politico-culturale degli ultimi dieci anni.

Avevo tenuto nell'aprile del 1982 a Montegrotto Terme (Padova) una conferenza il cui testo fu pubblicato integralmente su alcune riviste dell'epoca("Dibattito"n.2/Settembre 1982-"Il Governo""n.3/4 1983).Ricordo che, oltre a diversi studiosi e politici veneti, tra cui il Prof. Merigliano, Magnifico Rettore dell'Università di Padova, a quell'incontro erano presenti l'allora Presidente della Corte d'Appello di Venezia, La Monaca ed il Sostituto Procuratore di Padova, Borraccetti.Questi ultimi interevennero nel dibattito suscitando vivo interesse legato anche al fatto che, proprio in quei mesi, si andava sviluppando quel "teorema Calogero'" sull'Autonomia Operaia che, già allora, faceva tanto discutere.

Donat Cattin dopo un'intervista rilasciata agli inizi del 1983 dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini all'"Espresso" (Gennaio 1983)in cui si rettificava un giudizio attribuitogli su presunte "matrici cattoliche" del terrorismo, mi telefonò chiedendomi di intervenire.
Ne derivò l'articolo uscito sul numero 6/giugno di Terza Fase del 1983:



DI CHI E' FIGLIO IL TERRORISMO,
In una delle sessioni del Consiglio Nazionale della DC tenutesi tra il Gennaio del 1982 ed il Febbraio del 1983 dedicate all'esame ed all'approvazione del nuovo Statuto del partito che avrebbe dovuto recepire le risultanze dell'Assemblea Organizzativa Nazionale della DC svoltasi nel tardo autunno del 1981, Donat Cattin, a nome degli amici di Forze Nuove, aveva presentato un emendamento che si tradusse nell'art.8 del tuttora vigente Statuto con il quale è stabilita l'incompatibilità tra l'iscrizione alla DC e l'appartenenza alla Massoneria.

Nell'estate del 1983, a pochi mesi dall'introduzione delle nuove norme statutarie, erano avvenuti alcuni episodi di denunce a carico di esponenti democristiani della provincia di Savona che si ritenevano appartenenti alla Massoneria.Si era, d'altra parte, a pochi mesi dall'avviata attività della Commissione d'inchiesta parlamentare sulla vicenda della Loggia P2. Donat Cattin mi chiese di approfondire per Terza Fase le questioni relative alla Massoneria. Nacque così l'articolo pubblicato nel n.11/83 della nostra rivista, dal titolo:



CONGIURE PIDUISTE E SEGRETI DA SVELARE
La collaborazione a Terza Fase legata, come detto,più alla mia... eredità trentina che alla diretta esperienza politica, si sviluppò con altri due articoli:

-il primo del Febbraio 1984 , con il quale stabilivo una sorta di confronto tra la mia generazione (quella, per intenderci, nata con l'avvento della Repubblica) e quella dei giovani nati negli anni '6O
- il secondo richiestomi, dopo i tragici fatti di Heysel, lo stadio di Bruxelles in cui si giocò la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool e che si ricorda, soprattutto, per le 38 vittime ed i 4OO feriti tra i tifosi.

Entrambi juventini da sempre, con Donat Cattin avevamo discusso dell'avvenimento in una di quelle nostre cene della tarda notte romana, generalmente consumate dopo le frequenti riunioni di gruppo, soffermandoci più che sul risultato sportivo (inevitabilmente amaro anche per i nostri colori che, pure, avevano prevalso)sui risvolti di costume e di natura psico-sociale che da quei fatti scaturivano.
Di qui l'articolo pubblicato sul n.6/85 di Terza Fase dal titolo:
"DAI RITI COLLETTIVI ALLA STRAGE: PERSA L'OCCASIONE DI RIFLETTERE"



QUESTIONE AMBIENTALE:. . . ALBERI E PESCI
L'altro versante della collaborazione a Terza Fase fu quello più direttamente legato alla mia esperienza ambientalista.

Direttore dell'azienda Regionale delle Foreste del Veneto e responsabile nazionale del Comitato Tecnico scientifico dell'ANARF (Associazione Nazionale delle Aziende Regionali delle Foreste)e Presidente dell'ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica del Mare)da oltre quindici anni mi interesso.....di alberi e di pesci.

Donat Cattin spesso mi prendeva in giro , lui che da vecchio sindacalista cislino, pur sensibilissimo alle nuove questioni ambientali, risentiva di quella concretezza propria di coloro che avevano vissuto la grande esperienza della seconda industrializzazione ed i problemi del passaggio da questa all'automazione ed era, perciò, assai preoccupato dell'andamento dell'economia reale del paese, con un occhio del tutto particolare alle questioni occupazionali.

Aperto come sempre Donat Cattin lo fu verso ogni contributo, sincero e rigoroso, tuttavia, egli era anche scettico su molte affermazioni, talora troppo generiche e schematiche ,che provenivano dall'arcipelago verde .Nel gruppo mi si riconobbe, quasi naturalmente, la funzione di ..".esperto ecologico"di Forze Nuove.

Fui lusingato quando, agli inizi del 1990, il compianto Prof. Alfredo Vinciguerra che era la voce ufficiale dell'Ecologia su "il Popolo"e che seguiva gli articoli che, ogni tanto anch'io, pubblicavo,in tale materia, sul quotidiano del partito, mi chiese di preparare alcune schede per il" Rapporto di Primavera del 1990"(una pubblicazione che annualmente egli curava sulla situazione italiana) e che diventarono il capitolo "Ambiente" del Rapporto di quell'anno. Donat Cattin mi canzonava chiedendomi "dove volessi arrivare" occupandomi già "di mare con i pesci" e di "terra con gli alberi ed i boschi".

Io gli rispondevo che gli......".amici"mi avevano relegato nei boschi: insomma.....imboscato, forse, per non nuocere e destinato ad interessarmi di "viventi non umani" che non hanno voce e che, soprattutto,.... non votano.

Avevo su tale materia carta bianca tanto sulla rivista che negli interventi al Consiglio nazionale della DC. Su un unico punto ed assai qualificante il dissenso tra di noi fu netto e totale: la questione dell'energia nucleare. Da responsabile per lunghi anni del dicastero dell'Industria ed estensore di uno dei primi organici piani energetici del nostro paese per il quale, da subito, chiamò al Ministero dell'Industria uno dei tecnocrati da lui prediletti, con Giovanni Nasi e Giancarlo Lizzeri, il Prof. Giuseppe Ammassari, Donat Cattin fu sempre un nuclearista convinto. Io la pensavo e la penso diversamente ed ebbi modo in un consiglio nazionale della DC che precedette il Referendum specifico di esprimere la mia posizione, in aperto contrasto con la sua e con quella dell'allora responsabile del settore del Partito, l'On. Bruno Orsini.

Donat Cattin sapeva della mia opinione e mi lasciò libero di esporla e di sostenerla apertamente; non mancando, ovviamente, sia in privato che in pubblico, di contrastarla ,anche duramente, con argomenti rigorosi e coerenti dal suo punto di vista.

LA POLITICA ED IL PARTITO
L'ETA'DEL PREAMBOLO
Dopo il 15° Congresso Nazionale della DC celebrato nel 1982,nel quale De Mita prevalse su Forlani, si avviò il settennato del leader avellinese.

Fu questo uno dei periodi più difficili e complessi e per il gruppo di Forze Nuove (l'unico che mantenne pressoché ininterrottamente una posizione di minoranza critica e combattiva)una lunga stagione caratterizzata dai numerosi tentativi, quasi sempre riusciti da parte di De Mita, di spostare con lusinghe, promesse e risarcimenti vari,amici di Forze Nuove sulle sue posizioni.

E fu così che da Biasutti, Santuz, Mannino a Gianni Fontana ed altri, vedemmo amici che avevano condotto con noi tanti anni di battaglie comuni, trasferirsi con i loro voti congressuali nelle file demitiane; e poi, sull'altro fronte, gli ultimi abbandoni di amici come Leccisi e Fausti, da sempre legati a Carlo Donat Cattin, alla fine trasmigrati tra i dorotei di Gava.Da questo punto di vista Forze nuove è stato un indubbio laboratorio di sperimentazione e di .......formazione professionale politica nella DC!

Alle già grandi sofferenze patite sul piano personale e familiare per la tragica vicenda del figlio Marco,con le sue pesanti ripercussioni sul piano politico interno ed esterno alla DC, ogni distacco, ogni abbandono di ciascuno di questi amici erano altrettante gravissime ferite e colpi durissimi vibrati ai sentimenti ed al cuore di un uomo che, nonostante tutto, continuava la sua coerente azione politica dentro alla DC, nelle istituzioni e nel paese.

Ed un manipolo di amici fidati ( Sandro ed Elio Fontana, Luciano Faraguti, Ariuccio Carta, Mario Toros, Ferdinando Russo, Lello Lombardi, Franco Foschi, Riccardo Triglia, Vito Napoli,Gerardo Bianco, Ugo Grippo, G.Franco Rocelli, Emerenzio Barbieri,Pino Pisicchio, Carla Viale, con tanti altri, assieme al sottoscritto) continuò a sostenere e sviluppare, l'azione politica del leader piemontese.Ed insieme a noi, sulla rivista , collaborarono, pure, diversi amici di Forlani, come Franco Maria Malfatti ed Enzo Carra.

Da parte mia contribuivo a quel dibattito nella funzione esclusiva di componente laico, cioè non parlamentare, del Consiglio Nazionale della DC ed in quella di dirigente regionale della DC del Veneto.I miei contributi furono, pertanto, soprattutto legati a quelle due specifiche esperienze politiche personali:quelle di cui ho ricostruito i passaggi più significativi, nell'arco di questi dieci anni che intercorrono dal Preambolo alla Quarta Fase.Di qui gli articoli che, di seguito, ho scelto e che coprono esattamente il periodo che va dal 16° Congresso del 1984 in cui, con grande e lungimirante distacco di Carlo, decidemmo di sostenere "il pur mutevole Scotti" (così lo apostrofò Donat Cattin in quel Congresso, con una di quelle sue battute destinate a restare famose nella storia della DC)in alternativa a De Mita, sino al 18° Congresso del 1989, nel quale, dopo quello del preambolo del 1980, e dopo tre Congressi vissuti sempre nella condizione di quasi solitaria minoranza, si concretizzò l'obiettivo di Donat Cattin, di restituire a Forlani, ossia ad un segretario di "garanzia democratica",la guida politica della DC.

Sono stati questi i cinque anni in cui il gruppo di Forze Nuove ha più sofferto,al centro come in periferia . Spesso ridotti, per usare una felice immagine di Vito Napoli, a combattere come i VietCon nella palude, sott'acqua e con le cannucce in bocca, per respirare e schivare i colpi che da ogni parte venivano lanciati contro di noi.

Gli articoli seguenti spero sappiano testimoniare adeguatamente i pensieri, le ansie e le frustrazioni, specie di chi come noi, amici di Forze Nuove del Veneto, nel giro di pochi anni,avevano dovuto subire ben tre scissioni: da quella di Carlo Fracanzani nel 1976, a quella dei bodratiani con il Convegno del Parco dei Principi e la formazione della cosiddetta area Zac nel 1979,e, infine, quella già accennata di Gianni Fontana nel 1986.

In tal modo il gruppo di Forze Nuove del Veneto, erede della tradizione politica di Vincenzo Gagliardi, Eugenio Gatto, Alfeo Zanini,passò da un ruolo rilevante all'interno della DC Veneta ad uno marginalissimo e del tutto residuale, sempre, comunque, al servizio delle attività politico-culturali del partito,di molte delle quali fu anticipatore e protagonista diretto.

Con il senno del poi e visti i fatti intervenuti dopo il 5e 6 Aprile di quest'anno e l'esplosione, come in Lombardia, anche nel Veneto di Tangentopoli, seppur amaramente, potremmo concludere che......"non tutto il male vien per nuocere" o, per dirla in friulano, come spesso fa l'amico Mario Toros :"Non c'è un mal che nol sie ançhe un ben ...."



LA MORTE DI DONAT CATTIN
Alla morte di Donat Cattin nel Marzo 1991,coerentemente a quell'ideale passaggio del testimone che Carlo aveva effettuato nel Convegno di St. Vincent dell'autunno 199O, il gruppo designò Franco Marini, segretario nazionale della CISL, alla guida di Forze Nuove.

Fu un passaggio delicato che favorimmo in tutte le maniere, convinti come eravamo e come siamo, che la sinistra sociale della DC, dopo Pastore e Donat Cattin, debba essere guidata da colui che, per molti anni,ha rappresentato la leadership di orientamento cristiano sociale all'interno della CISL. D'altronde questa era stata anche la scelta,meditata e sofferta, di Carlo, a St. Vincent qualche mese prima. Egli sentiva che quel nostro permanente richiamarci ai valori ed alla tradizione dei cristiano-sociali e del Movimento Operaio Cristiano era un riferimento vuoto di senso se, dopo la lunga stagione della fine del collateralismo (CISL ed ACLI fine anni '60)non ci si riforniva di quelle forze nuove necessarie a rigenerare il corpo della DC, affaticato dal mancato ricambio di quadri di provenienza sociale, proprio per le scelte fatte dalle ACLI e dalla CISL in tema di autonomia; scelte che condizionarono pesantemente ,oltre noi,tutta la DC.

A Franco Marini, dopo la morte di Donat Cattin, alla guida del gruppo furono affiancati Sandro Fontana e Luciano Faraguti, i nostri due esponenti presenti nella direzione centrale del partito e che avevano lavorato intensamente e per lunghi anni con il vecchio leader.

Al Ministero del Lavoro il Presidente Andreotti chiamò Franco Marini e così, anche a livello istituzionale la continuità politica e ministeriale era garantita.

All'indomani della scomparsa del nostro leader, come altri amici, fui chiamato ad esprimere una mia valutazione sulla sua figura e la sua opera.

Lo feci con tre interventi:
-il primo pubblicato su "Il Popolo" su richiesta del direttore responsabile Remigio Cavedon;
-il secondo su Terza Fase, dal titolo:"LA TEMPRA DELL'EDUCATORE PER UNA LEZIONE DI MORALITA'';
-il terzo, ancora su "Il Popolo", agli inizi di Aprile.



LA QUARTA FASE
Proprio nel 1991 cominciai a ragionare sul significato e la prospettiva della cosiddetta Quarta Fase repubblicana. Intervenni con due articoli, alla vigilia della conferenza organizzativa convocata da Forlani ad Assago alla fine dell'anno scorso.

Era l'avvio di una riflessione che, più tardi, al Consiglio nazionale del Gennaio 1992 ed in quello successivo dell'11 Aprile, all'indomani del risultato elettorale delle Elezioni Politiche, con più organicità, ripresi con gli interventi da me svolti in quella sede.

E' questa una riflessione aperta e che costituisce ormai il tema del nostro attuale dibattito all'interno della DC e, più in generale, tra tutte le forze politiche.Dal suo esito, inevitabilmente legato all'evoluzione complessiva della realtà politica, istituzionale, economica e sociale del paese, dipenderà il futuro degli assetti politici in Italia.



CONCLUSIONI
Ho pensato di chiudere questa rassegna di riflessioni e contributi , scelti tra quelli da me svolti in questi dodici anni di militanza attiva nel gruppo di Forze Nuove della DC, pubblicando il Manifesto-Appello che con alcuni amici del gruppo veneto abbiamo elaborato, all'indomani delle Elezioni politiche dell'Aprile scorso.

Fin dal 1989 ,con Gianfranco Rocelli, avevamo sentito la necessità che dalla sinistra della DC partisse un'iniziativa finalmente unitaria di un Manifesto-Appello da rivolgere all'attenzione di tutta la DC e del paese per un rilancio della presenza del partito dei cattolici democratici.

Nonostante le sollecitazioni più volte manifestate anche dalle colonne di Terza Fase e le rituali ed ormai fin troppo stucchevoli promesse autunnali, che, ogni anno, si ripetono a St. Vincent, tendenti a ricostruire "la sinistra possibile", purtroppo, tutto ancora continua, più o meno, come prima:riunioni di gruppo separate al centro ed in periferia;permanenza delle antiche divisioni e delle sperimentate solidarietà, nonostante una consapevolezza sempre più diffusa di essere al punto morto inferiore della nostra complessiva esperienza politica.

Ecco perchè,con alcuni amici di Forze Nuove del Veneto, ho elaborato il Manifesto-Appello per la rifondazione della DC: é un ultimo tentativo, una provocazione che, partendo dalla periferia, ha l'ambizione di coinvolgere le migliori energie del mondo cattolico e democratico-cristiano, nella consapevolezza che non ci è più concesso il tempo per un rinvio.

Dal Preambolo alla Quarta Fase: sono stati più di dieci anni di precario, seppure duraturo, equilibrio e di tumultuose trasformazioni politiche, economiche e sociali, tanto a livello mondiale che europeo ed italiano.

Molte delle cose accadute erano state intraviste ed, in parte, ipotizzate nelle lucide analisi di Carlo Donat Cattin.

Oggi siamo in un mare aperto e tempestoso, su una nave la cui rotta è tutta da ridefinire. Il passaggio è di quelli epocali e che reclamano grande coraggio, sincera disponibilità ed autentica volontà di servire il bene comune.

La coerenza con cui abbiamo condotto sin qui la nostra battaglia deve spronarci a continuare con quanti, dentro e fuori la DC,hanno a cuore, con la difesa della democrazia nel nostro paese, la funzione ed il ruolo dei cattolici democratici storicamente impegnati nella Democrazia Cristiana.

Era questo,d'altronde, lo spirito che ha animato per tutta la sua vita politica Carlo Donat Cattin e questo è, altresì, l'insegnamento più fecondo che tutti noi, compagni del suo viaggio politico ,abbiamo appreso da lui.

Il modo migliore per non disperderne la lezione ritengo sia proprio quello di continuare a combattere affinché una DC, rinnovata, possa ancora risintonizzarsi al meglio con le nuove esigenze della società italiana,al fine di corrispondere alle sue esigenze ed alle sue speranze.

Questi ultimi dodici anni di esperienza vissuti dal gruppo di Forze Nuove dentro la DC sono lì a dimostrare la funzione ed il ruolo insostituibile di una componente che, non avendo mai abbassato la schiena, ha contribuito grandemente al dibattito ed al confronto politico-culturale del partito.

Ben al di là delle quote di potere rappresentato nel partito e nelle istituzioni, abbiamo saputo mantenere uniti gli esili fili che negli anni '7O ed '8O si erano pericolosamente lacerati con i mondi vitali di riferimento cristiano sociali del partito.

Oggi, ancora più di ieri, che amici autorevoli della CISL, delle ACLI,del MCL,del volontariato cattolico, sembrano ritrovare la volontà di reimpegnarsi in prima persona all'interno di una DC, rinnovata nei metodi, nei programmi e negli uomini, la funzione di un gruppo di frontiera come il nostro,sotto la guida di uno dei leader più autorevoli dell'esperienza cristiano-sociale di questi anni,come Franco Marini,credo, sia insostituibile e quanto mai proficua per tutta la Democrazia Cristiana.


 

 

 

 

 

 

 

 

Biografia politica di Ettore Bonalberti

Iscritto alla Democrazia Cristiana a 17 anni, dal 1962, è stato componente del Consiglio nazionale e della direzione centrale del Movimento Giovanile DC dal 1966 al 1976; componente del consiglio nazionale della DC (nella plurima giovanile dal 1976 al 1980) ed eletto dai successivi congressi nazionali del Partito dal 1980 al 1992 e del PPI sino al 1994.

E’ stato responsabile dell’ufficio programma della DC Veneta e degli Enti Locali sino al 1992 ed ha ricoperto la carica di V.Segretario regionale della DC Veneta nel 1982-83.

Componente del consiglio nazionale e della direzione centrale del CDU nel 1994-97.

E’ stato Sindaco del Comune di Ficarolo (Rovigo) nel 1970 Consigliere provinciale della DC presso l’amm.ne provinciale di Venezia dal 1992 al 1996 Componente del consiglio nazionale delle ACLI negli anni’70 PUBBLICAZIONI
Nel 1993 ha pubblicato il libro: Il caso “Forze Nuove”-un contributo alla storia della DC-con prefazione di Franco Marini-Edizione Cinque Lune (ultimo libro edito dalla storica casa editrice della Democrazia Cristiana).

Nel 1996, per i tipi della casa editrice “ Meridiana” di Firenze, ha pubblicato il libro: “ L’Italia divisa e il centro che verrà” con prefazione di Gianni Conti.

Nel 1998 per la collana Terza Repubblica del gruppo Mazzanti Editori ha pubblicato il saggio: “ Dalla fine della DC alla svolta bipolare”- Intervista di Giuliano Ramazzina a Ettore Bonalberti Nel 2009 per la collana Terza Repubblica del gruppo Mazzanti Editori ha pubblicato il libro : “ La caduta dell’impero di Romano”-Prodi bis, l’infausto biennio (2006-2008) Nel 2010 per la collana Terza Repubblica del gruppo Mazzanti Editori ha pubblicato il saggio, libro intervista, di Giuliano Ramazzina a Ettore Bonalberti: ALEF Un Futuro da Libero e Forti” La passione dei Cristiano Democratici nell’edificazione di un PPE Italiano.

Nel 2012 per la collana Terza Repubblica del gruppo Mazzanti Editori ha pubblicato il saggio, libro intervista, di Giuliano Ramazzina a Ettore Bonalberti: “ Liberi,Forti e Moderni”: L’attualità del messaggio della DC dai padri fondatori a Internet Nel 2016 ha pubblicato il libro “ Popolo! Non aver paura del NO-Cosa cambia con il Referendum- ALEF Edizioni Nel 2018 ha pubblicato il libro: ELEZIONI EUROPEE-La visione dei “ Liberi e Forti”-ALEF Edizioni Ha scritto numerosi articoli per il quotidiano della DC “ Il Popolo” e della rivista prima e quotidiano poi, “La Discussione”.

Continuativa la sua collaborazione alla storica rivista della corrente di Forze Nuove, “ Terza Fase”, diretta da Carlo Donat Cattin. Mantiene una collaborazione fissa mensile con la rivista di politica e cultura: “Il governo delle cose” edita dalla Meridiana di Firenze Dirige i siti web: www.insiemeweb.net; www.alefpopolaritaliani.it; www.donchisciotte.net dove sono pubblicate tutte le note politiche di Ettore Bonalberti.