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Libri

Il valore della parola
Riflessione intorno alla scrittura di
I Guitti del Continente
romanzo di Antonio Casalaro

 

a cura di Carmen De Stasio

 

La lettura di un libro avvia un procedimento di conoscenza che guida fino a chi l’ha costruito, sovente includendo la ricerca di autenticità, un’autenticità che necessariamente si distingue a manifestare – in un’unicità vettoriale – tanto contenuto che sviluppo tematico. In particolare, lo sviluppo in un romanzo – al di là di quel che possa vantare originalità del contenuto – predilige il bilanciamento del tutto individuale nel rendere l’articolazione ergonomica dell’impianto, andando ad includere storie, luoghi, personaggi e quant’altro in un amalgama coeso e coerente, vale a dire, in un’intensità inventiva in divenire, o, per meglio dire, in un incessante andirivieni che prevede l’assottigliamento, la sottrazione, il recupero, insieme all’attardarsi su qualche segnale che s’intende possa intervenire a sostenere un’efficace credibilità creativa attraverso una posizione elaborativa convinta.

Portate in breve, tali riflessioni stigmatizzano il preludio all’indagine intorno all’opera (ultima in ordine di tempo) di Antonio Casalaro – I Guitti del Continente. Fin da subito, il libro si mostra nella sua foggia articolata di riferimenti storici e di invenzione, come detto; in virtù di quanto, a risaltare è l’organizzazione strutturale, quant’anche un lessico fluido e puntuale di ricercatezza semantica, tali da concedere la compenetrazione di reale e immaginale secondo un procedimento stratificato non soltanto finalizzato a permeare gli eventi in un contesto sociale in attualità (riconoscibile o meno), quanto con i tanti – e incisivi – contesti pregressi (e prospettici, in qualche maniera) che, in uno stile proprio, convergono nella rotta intrapresa dalla protagonista e non soltanto da lei, così prescindendo da qualsiasi pericolo di inabissamento in elucubrazioni rocambolesche e strumentali, dando vita, infine, a una multiformità che richiama il palcoscenico dell’esistere. Ciò detto, le due dimensioni fondanti del romanzo – la realtà ordinaria in svolgimento e la realtà scenica che prende vita dalle presenze degli attori (i Guitti, per dire) – invero tendono ad essere l’una trasposizione dell’altra, consentendo una specularità efficace e strutturante riconducibile. E, di fatto, il romanzo si presta ad aprire all’incontro – senza intermediazioni – con un palcoscenico in divaricazione, in un intessuto deragliamento, le cui scelte – pur schematizzate in individualità – rientrano appieno in un’impalcatura condivisa nella sua complessità e, pertanto, da ricondurre al valore epigenetico dell’esperienza.

Questo comprendo via via nel corso della lettura, una lettura sottilmente guidata dalla garanzia di una fluidità argomentativa, ancorché estranea all’impatto vaporoso di qualsiasi distrazione rispetto alla pagina, laddove, per altro, si va a potenziare l’integrazione di passaggi, di alterazioni, di allungamenti e di tutto quanto intervenga alla definizione della struttura narrativa, senza che nulla abbia a soffrirne per trascuratezza. In tal senso, nel procedere per incontri giammai fissi (ed escludendo, par ovvio, da questi la casualità sfuggente e fumosa), la parola narrativa si rinnova in virtù di una variabilità persistente, dalla quale risulta una sorta di meta-contesto delineato su diversi fronti, passando dai luoghi di memoria – in cui l’immaginale imbastisce un legame solido con le evidenze reali – ai luoghi dove il fermento si anima per essere scena da visualizzare come punto di variazione e di amplificazione. Va da sé che un siffatto prospetto inclini a una permeabilità dinamica delle situazioni: da essa non si estranea la cadenza temporale, giacché la variazione è la costante che rigenera di volta in volta l’intelaiatura portante delle storie da inter-ligere all’interno dello schema. Non basta: oltretutto, un simile procedimento – per altro indotto da una volontà di tendere ad una partecipazione comporta un’immagine di coesione nel momento in cui alla logica esperienziale si affianca – senza sovrapporsi – la logica emozionale. Dirò di più: nel momento in cui la logica che sottende i casi viene ad essere potenziata dalla logica che anima il principio dell’approfondimento emozionale, vanno a delinearsi tanto la cornice che la trama medesima in una pertinenza attendibile, laddove i momenti esistenziali coinvolgono l’intera sommatoria dell’esperienza in maniera scrupolosa, pur nell’immaginalità.

Ciò spiega, per certi aspetti, come l’assimilazione del comportamento narrativo nella resa drammaturgica rifugga i meandri impervi della dis-memoria e si confronti con il rammemorare attraverso situazioni che convogliano la forma senza indugiare su ostilità, né su un conformato incitamento. Nondimeno, il ricorso alla pertinenza del linguaggio permette di rintracciare una temporalità comprensiva non soltanto di evocazioni soffuse o aspramente riportate al momento, quanto una temporalità versatile nel suo continuo bilanciarsi con le perturbazioni che affluiscono a decretare lo stile proprio delle esperienze, sovente assunte in una distanza proporzionale al sé, allo stile del sé in un particolare momento.

Ecco, dunque, che il romanzo di Antonio Casalaro rimarca come la definizione del tempo e delle esperienze nei fatti mantengano una precipua figurazione nel momento di scena e tanto nel momento fuori scena, intendendo quest’ultimo non già quale dato circostanziale, quanto, in riferimento al valore della periodicità, dei ritorni, escludendo qualsiasi fraintendimento dialettico possa interferire con la tessitura dei fatti che raccontano di sé nel vorticoso movimento che annuncia una sorta di mise en abyme per passaggi, come già evocato, laddove ciascun passaggio costituisce un episodio cruciale del canovaccio esistenziale.

Carmen De Stasio

 

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Gallicchio (Pz), 19 agosto 2023 – I Guitti del Continente,
di Antonio Casalaro.

a cura di Pasquale Tucciariello