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Personaggi

NICOLA RUSSO
MEDAGLIA D'ORO AL VALOR MILITARE

Rionero in Vulture, suo paese natale, gli ha dedicato una lapide marmorea


di Michele Traficante

Nella schiera degli uomini che la nostra terra ha dato alla Patria possiamo tranquillamente annoverare il generale di corpo d'Armata Nicola Russo, ”Il martire dei campi di prigionia” (ha trascorso con grande dignità e inenarrabili sofferenze ben 12 anni, dal 1942 al 1954, quale prigioniero di guerra in Russia), medaglia d'oro al valor militare.

Nacque a Rionero in Vulture il 22 ottobre 1897 da Giovanni, commerciante e da Caterina Farano. Frequentò la scuola media inferiore presso l'Istituto Tecnico di Melfi e le scuole normali a Lacedonia dove si diplomò nel 1916.


Nello stesso anno fu chiamato alle armi e l'anno dopo, 1917, fu inviato sul fronte albanese per frequentare il corso allievi Ufficiali di Complemento.

La sua carriera iniziò proprio in Albania e in zona di guerra, dove nel maggio 1918 conseguì il grado di Aspirante. Nel luglio dello stesso anno quello di Sottotenente e nel luglio del 1919 il grado di Tenente. Con questo grado fu trasferito, dalla zona di guerra in Albania, nella zona di armistizio sul fronte italiano, in Artiglieria da Montagna. In questo periodo fu decorato della Croce al Merito di Guerra per le campagne 1917 - 1918 - 1919. Fu congedato il 1920 e ritornò a Rionero dove riprese gli studi e partecipò al 1° Concorso per esami nel 1923, dopo aver fatto tirocinio presso le locali scuole elementari.


Vinto brillantemente il concorso, fu nominato, nello stesso anno, insegnante di ruolo in Ripacandida, dove esplicò la sua missione di maestro dal 1923 al 1925. In quest'anno vinse il concorso per il passaggio ad Ufficiale in servizio permanente e preferì rientrare nell'Esercito.

Volontario, prese parte alla campagna d'Africa per la conquista dell'Impero. Con la colonna del generale Santini partecipò all'occupazione di Adigrat, Macallé, Amba Alagi, Quoram, Dessié. Dichiarata finita la Campagna Etiopica, rimpatriò e, per malattia contratta in guerra, rimase in Italia e fu assegnato alla Scuola Centrale di Artiglieria a Civitavecchia, dopo aver ottenuto una seconda Croce al Merito di Guerra.

 

Allorché Hitler, annullando il superbo successo diplomatico conseguito da von Ribbentrop con Stalin (cioè il famoso concordato Urss-Germania, mentre a Mosca era la delegazione anglo-francese a trattare), invase la sterminata Russia, gravi preoccupazioni si ebbero in Italia, alleata ed obbligata a dare (senza esserne stata avvertita) il suo indispensabile contributo di sangue. L'illustre storico rionerese, Raffaele Ciasca, a buone ragioni riteneva che dove aveva fallito un Napoleone Bonaparte non poteva riuscire un " imbianchino" austriaco, se appena gli sfuggisse dalle mani quella "fortuna bendata" che era la guerra lampo, fattore indispensabile nella sterminatezza della terra in cui operava. E questo fattore gli sfuggì.


Col grado di Maggiore Comandante, del 1° gruppo del 52° Reggimento di artiglieria della Divisione "Torino", Nicola Russo prese parte alla II Guerra mondiale per le operazioni di guerra in Balcania, sulla frontiera occidentale e nella Campagna di Russia dal luglio 1941 al dicembre 1942. Per le campagne 1941 - 1942 ottenne altre due Croci al Merito.

Il 2 dicembre 1942, durante il ripiegamento sul Do, e dopo un furioso accanito combattimento fu catturato e preso prigioniero con le armi in mano.

Il duro calvario della prigionia durò oltre undici anni, fra stenti, privazioni e patimenti inenarrabili.


Un episodio di fulgido eroismo, consumato in prigionia, contribuì a fargli avere in patria la medaglia d'oro. In un campo di concentramento i prigionieri erano allo stremo della sopportazione e minacciavano una rivolta in gruppo che sarebbe stata indubbiamente soffocata nel sangue. Fu l'ascetico animo eroico del Russo ad evitarlo. I soldati russi avrebbero inesorabilmente falciato chiunque si fosse avvicinato al reticolato che recingeva il campo. I prigionieri italiani erano ben consapevoli di ciò. Ma il grave rischio non fermò l'ufficiale italiano che, con sereno sprezzo della morte, andò incontro ai fucili mitragliatori, fino a sfiorarli col petto, chiedendo di parlamentare. I fucili non spararono e il nemico - ammirato da tanto coraggio - consentì, sia pure in via transitoria, a migliorare le condizioni dei prigionieri.

Al ritorno in patria Nicola Russo, minato nel fisico ma non nello spirito fiero del combattente, aveva ancora 57 anni, ma in pessime condizioni di salute. Dovette ricoverarsi all'Ospedale del Celio di Roma. Rimesso in salute, riprese servizio, beneficiò degli scatti di carriera con la promozione a generale. Gli furono conferite numerose onorificenze, fra cui quella di Cavaliere della Stella Coloniale per la Campagna d'Etiopia, di Cavalier Ufficiale della Corona d'Italia per benemerenze varie, di Cavalier Ufficiale al Merito della Repubblica.

Al ritorno dalla Russia fu impaziente di rivedere il suo paese natale, ove fu accolto calorosamente con una grande manifestazione di popolo. All'arrivo del treno alla

stazione di Rionero in Vulture, il 17 febbraio 1954, si affacciò al finestrino e salutò i concittadini portando la mano alla visiera. Tutti furono presi da commozione nel vedere che l'occhio sinistro era spento, sotto il caratteristico dischetto nero.

Durante i discorsi di bentornato in piazza Giustino Fortunato, alla presenza di numeroso pubblico, avvenne un fatto curioso. Ad un certo punto il palco su cui si trovavano i vari oratori (il sindaco, Alberto Amorosino, l'arciprete, don Michele Di Sabato ed altre persone, oltre allo stesso gen. Russo), cedette e quasi tutti finirono giù. Per fortuna nessun danno alle persone, solo un po' di paura.

Per qualche tempo Nicola Russo visse a Rionero nella sua casa, poi si trasferì a Roma ove si spense il 20 aprile 1959.


Nel decennale della sua morte il sindaco di Rionero in Vulture, Enzo Cervellino, dispose l'apposizione di una lapide con medaglione marmoreo del gen. Russo (realizzata negli

stabilimenti di Ludovico Bertoni di Pietrasanta di Lucca) in piazza Giustino Fortunato perché sia ricordato il valoroso soldato, l'uomo integerrimo, l'ufficiale prestigioso quale esempio fulgido d'amore per la patria e per la città che gli dette i natali.

Nella lapide suddetta c'è un errore di trascrizione della motivazione per il conferimento della medaglia d'oro, giacché inizia con la parola " Combattente" anziché " Comandante".