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Intervista a NATALINO FRIJIA - a cura di angela de nicola

 

 

SENTIERI DEL JAZZ,
PAROLE DI JAZZ
CON NATALINO FRIJIA

 

intervista a cura di Angela De Nicola

 

Fin dal momento in cui mi è stato proposto di realizzare un’intervista al sassofonista e musicologo Natalino Frijia, non avevo pensato ad altro se non al sentiero mai del tutto esplorato e coloristicamente del tutto imprevedibile del Jazz. Jazz tout-court, Jazz punto e basta, Jazz punto e a capo. Quella sorprendente alchimia musicale che con le sue mille sfaccettature trova sempre annesse nuove vie di realizzazione e di espressione. Ma tant’è; e fin dai primi attimi l’incontro col maestro è stato segnato dalla piacevole sorpresa di una scoperta. E così, quella tesi di laurea che ha meritato la lode presso l’Accademia di Santa Cecilia e che porta il titolo di “Jazz e Musica di tradizione orale: appunti per uno studio comparato” ha fatto in modo che la nostra piacevole “chiacchierata musicale” dello scorso 4 Novembre prendesse una piega che non solo e non semplicemente è da considerarsi “annessa al Jazz” ma che del Jazz può esserne al tempo stesso radice, conseguenza e ampliamento, ovvero la Musica Etnica o che dir si voglia “Popolare”. Natalino Frijia, dunque, non è certo uno sconosciuto nel circuito della nuova via dell’”Etnojazz romano”, se può passare in tal sede il termine per quella che apparirebbe senz’altro una nuova strada o “nuova possibilità” della musica che da elemento vivo quale è, non può non mostrarsi per forza di cose “elemento in fieri”, elemento in divenire. Piacevolmente sorprendente l’ascolto di alcuni brani che presentano Natalino Frijia all’orecchio del suo pubblico e che si sono piacevolmente plasmati davanti ai miei occhi come un invito aperto alle sonorità tipiche del viaggio, alle visioni inesauribili dei vari “Sud del mondo”, a velati notturni balcanici; modulazioni e timbri che sottendono un lungo studio unito al tempo stesso all’amore per il trasporto artistico dove i classici “tempi spezzati” dell’improvvisazione uniscono sorprendentemente l’antica sapienza italica della Tammuriata al gusto del miglior Swing, velluti fluttuanti di aerofoni dietro impalcature di pentagramma che oscillano tra il gusto mitteleuropeo ed il preciso richiamo americano. Ma resta comunque un dato di fatto e gli inizi del maestro Frijia non tradiscono né ulteriori indizi da cercare né sorprese aggiuntive: la sua formazione musicale inizia infatti presso la Scuola di Musica Popolare di Testaccio, dove dal 1984 studia sassofono con Roberto Mancini, frequentando contemporaneamente i laboratori di Giovanna Marini con cui ha il piacere di esibirsi in molteplici occasioni. L’alternanza con le vie del Jazz più classico è complemento fondamentale e costante del suo ampio curriculum, come testimoniano le varie Masterclasses nell’ambito di manifestazioni-simbolo dell’Italia del Jazz come Siena Jazz, Roccella Jazz e Tuscia in Jazz. Docente di ruolo presso vari istituti superiori della capitale, è stato socio fondatore dell’Associazione Culturale “Musicanti di Brema” con cui ha collaborato sempre in qualità di insegnante di sassofono per poi passare dal 2011 all’insegnamento di questo stesso strumento presso la scuola di musica “Ponte Linari”. Dal 2007 al 2011 ha fatto parte dell’interessante gruppo “folk”: “Le Tarantole” collaborando con artisti del calibro di Ambrogio Sparagna e di cui una delle successive e più piacevoli testimonianze resta senza dubbio il Cd “Festaranta”(R&B Recording Studio) un lavoro prezioso che personalizza, assorbe, rilegge e rende proprie melodie e testi senza tempo inframmezzandoli a sorprendenti inediti, lavoro che non è tra l’altro la sola traccia musicale rinvenibile del sassofono di Natalino Frijia se si pensa ad esempio alla collaborazione con Pasqualino Ubaldini nel Cd “Mosaique” (Jamendo Music) titolo di testa di un interessante progetto con Ubaldini che da quella stessa incisione prende spunto e vigore; incontri di arte e di vita che hanno portato in giro per la capitale (e non solo) una musica certamente nuova, di ampio respiro, di colorate possibilità, di potenziali iconici e plasticamente espressivi, musica che ha visto volti e nomi nuovi ma non meno interessanti come quelli di Frijia e compagni sui cartelloni di “templi sacri” come l’Auditorium Parco della Musica, la Sala Accademica del Conservatorio di Santa Cecilia, l’Alpheus, il Cube o il Circolo degli Artisti di Roma. L’intervista che segue, sia in forma scritta che in contenuto audio e che Natalino Frijia ha voluto gentilmente concedermi per conto del Centro Studi Leone XIII, è stata senza dubbio per me motivo ed occasione di approfondimento serio e sensato sulla grande, certo non nuova eppure sempre sorprendente ed indubbiamente poco considerata o poco esplorata possibilità che il Jazz “dia qualcosa in più” alla musica popolare così come, viceversa, la Musica Popolare dia “qualcosa in più” al Jazz. Perché infondo altro non si tratta se non di vasi comunicanti la cui osmosi sarebbe di certo sempre più augurabile ed auspicabile. Perché separare? Inutili catalogazioni, o quasi. Natalino Frijia, persona di cui ho potuto constatare “de visu” l’enorme spessore culturale, non essendo affatto un musicista che ama la settorialità e non parteggiando per nessun tipo di filologia o “archeologia” musicale, è fra i più lucidi ed emblematici esempi atti a dimostrare che l’Etnojazz non è oggi soltanto un’etichetta (o sottoetichetta) di comodo, una catalogazione sbrigativa, ma può essere senz’altro la via per una nuova forma di “evoluzione musicale” basata sui codici dell’improvvisazione e dell’ interplay, un nuovo esperanto espressivo che segua il flusso energetico proveniente contemporaneamente dai codici “alti” delle accademie così come da quelli più “bassi” del sentire musicale. Sentieri del Jazz, sentieri nuovi. E parole di Jazz. Parole nuove. Che insegnano quante strade aperte in musica, chi cerca ed esplora, può trovare. Per suonare. Per ascoltare. E per poi discorrere e narrare.

 

  • COME E QUANDO NASCE NATALINO FRIIJA MUSICISTA E MUSICOLOGO?
    LA DOMANDA RIFLETTE IL TROVARSI DIFRONTE AL MUSICISTA E ALLO STUDIOSO CHE SI SORPRENDE APPASSIONATO DI ALMENO DUE ASPETTI IN LINEA DI MASSIMA DIREI  POCO IMMEDIATI (O MOLTO LASCIATI DA PARTE) DELLA MUSICA: DA UN LATO IL JAZZ E DALL’ALTRO LA MUSICA POPOLARE E TRADIZIONALE ORALE (NOTAVO QUESTA INTERESSANTE TESI PRESSO IL CONSERVATORIO DI SANTA CECILIA INTITOLATA “JAZZ E MUSICA TRADIZIONALE ORALE - APPUNTI PER UNO STUDIO COMPARATO”)

La mia formazione musicale inizia presso la Scuola popolare di Musica di Testaccio, a Roma. Lì ho studiato sassofono con il M° Roberto Mancini e frequentato laboratori, tra cui quello di Giovanna Marini, con cui ho partecipato ad alcuni spettacoli con Banda e Coro. Successivamente ho seguito vari Seminari, tra cui l’Alto Perfezionamento di Siena Jazz, i corsi brevi di Roccella Jonica, il seminario Tuscia in Jazz ed altri. Ho suonato in big band e vari ensembles. Ho conseguito la laurea in Storia, Scienze e Tecniche della Musica, l’attuale DAMS, a Roma e il diploma accademico di secondo livello in Discipline musicali Jazz a Santa Cecilia. Pur essendo interessato al mondo della musica di tradizione orale, ho sempre cercato di capire in quale direzione ci si stia muovendo oggi. Per questo ho dedicato la mia tesi universitaria alle zampogne e ciaramelle modificate, aerofoni con fori aggiuntivi in grado di emettere un maggior numero di note, e quindi di accordi se parliamo di zampogne e pive, per suonare melodie più ricche e particolari. La ciaramolla, ad esempio, ciaramella modificata usata dal compositore Ennio Morricone nella colonna sonora del film Baaria e suonata dallo stesso suo inventore, il musicista del basso Lazio Gianni Perilli. La tesi finale di Conservatorio è invece uno studio comparato tra Jazz e musica di tradizione orale, per cercare di indagare le possibili aree di contatto tra questi due mondi musicali che mi hanno sempre affascinato. Dunque strumenti tradizionali che si evolvono, musiche che si incontrano. Da questa idea sono nate alcune composizioni che definirei crossover. Attraversare la musica, appunto crossing music, per attivare personali modalità interpretative di una musica di tradizione nel nostro tempo, con l’intento di sorprendere pur restando agganciate al motivo di base, proprio come avviene in una buona improvvisazione Jazzistica.

  • SECONDO TE ATTUALMENTE COSA SI STA FACENDO IN CONCRETO PER ATTUARE IL PROGETTO DI “MUSICALIZZAZIONE” NELLE SCUOLE PRIMARIE E SECONDARIE?
    SIAMO A BUON PUNTO CON LE PROPOSTE MINISTERIALI?TENENDO CONTO CHE IL NOSTRO è UN PAESE IL QUALE DOVREBBE BASARE Più DELL’80% DEL SUO P.I.L. SUL TURISMO E SULLE ATTRAZIONI ARTISTICHE, CI SONO PROGRESSI O AGGIORNAMENTI IN TAL SENSO DA PARTE DEL CORPO INSEGNANTE? SONO TANTI I PROGETTI PROPOSTI E VARATI SUL PIANO DELLE RIFORME, TANTE LE RICHIESTE AL GOVERNO DA PARTE DI ARTISTI E DI PERSONAGGI NOTI DEL MONDO DELLO SPETTACOLO, EPPURE IN CONCRETO L’ITALIA DAL PUNTO DI VISTA DELL’INSEGNAMENTO QUOTIDIANO DELLA MUSICA NELLE SCUOLE COME MATERIA NON SECONDARIA SEMBREREBBE NON ESSERE ANCORA GIUNTA ALLO STESSO LIVELLO DEI PROGRAMMI EUROPEI …PONGO LA DOMANDA AD UN INSEGNANTE CHE OPERA SIA NEL PUBBLICO CHE NEL PRIVATO …

Il mondo della scuola porta in sé la grande vitalità che nasce dai giovani, ammesso che si abbiano strumenti per accoglierla e strutturarla. L'attuale riforma ha dato grandi responsabilità e maggiori poteri ai ds; per qst oggi più che ieri c'è bisogno di presidi  illuminati, che stimolino e utilizzino al meglio le professionalità e la creatività dei docenti. Creatività direi che è la parola magica, creatività ed armonia. Funziona tutto meglio quando le persone sono coinvolte nel processo educativo in modo partecipato e personale. Penso che la direzione giusta sia quella di incrementare e implementare i laboratori per la diffusione delle pratiche musicali. Delle pratiche, appunto, intendendo dire che la Musica è unitaria nelle sue molteplici declinazioni, forme, stili ed organici. Essa è espressione di sé nella relazione con altri. In questo senso la sua valenza educativa è forte e trasversale. Essa non parla un solo dialetto o una sola lingua ed unisce molto più di altre discipline, ricordando nello stesso tempo al mondo intero l'importanza della lingua italiana, non solo attraverso celeberrime arie d'opera, ma anche semplicemente attraverso la stessa terminologia musicale. Basti pensare ai termini adagio, diminuendo, crescendo e così via. È necessario, perciò, diffondere la cultura musicale attraverso la pratica. Per questo parlo di laboratori musicali di base, da affiancare naturalmente alle attività di  perfezionamento che sono cmq di alto livello nel nostro paese. Ma io parlo di democrazia della cultura. E non esiste cultura senza conoscenze musicali. In questo senso l’istituzione di un Comitato per l’Apprendimento Pratico della Musica, costituito da studiosi e musicisti di spicco, tra i quali i nostri P.Damiani, P.Fresu, D.Rea. rappresenta a mio modo di vedere il tentativo di dare concreta attuazione a questo bisogno che viene dal basso, e che attende di essere soddisfatto, possibilmente con un approccio informale bastao prevalentemente sulla pratica collettiva.L’eccellenza tecnica non è obiettivo prioritario. L’espressione corporea, l’improvvisazione guidata,  la composizione. Sono queste le attività attraverso le quali sviluppare la musicalità di ognuno.Questo tipo di bottega in cui sperimentare ed imparare va estesa a tutte le scuole, perché in generale, con l’eccezione dei pochi Licei musicali, la musica scompare dai normali corsi dopo la terza media. Si insinua così l'idea della non essenzialità di una in-formazione musicale.

  • VENIAMO ALLA TUA ATTIVITA’ DI MUSICISTA “TOUT-COURT”: SE NON SBAGLIO MI PARE DI CAPIRE CHE TI DIVIDI TRA DUE FONDAMENTALI PROGETTI. DA UN LATO LO STUDIO E LA COMPOSIZIONE JAZZISTICA CON VARIE FORMAZIONI/COLLABORAZIONI, DALL’ALTRO LA PREDILEZIONE CHE VIENE VERAMENTE DAL PROFONDO PER LA MUSICA POPOLARE E CHE TI HA RESO COAUTORE E COMPONENTE DEL GRUPPO ROMANO “LE TARANTOLE”. HAI MAI PENSATO DI COSTITUIRE UN ENSEMBLE FISSO CHE CERCHI DI CONTAMINARE PROFONDAMENTE E CONSAPEVOLMENTE JAZZ E MUSICA POPOLARE, OPPURE CERCHI DI TENERE IN QUALCHE MODO DISTINTI I DUE ASPETTI DELLA MUSICA CHE AMI DI Più, APPROFONDENDOLI ED ESPLORANDOLI IN MANIERA “DISTANZIATA” PER ASSAPORARNE LE PECULIARI CARATTERISTICHE ISPIRATIVE, TECNICHE E MUSICALI?

Ho sempre creduto che le cose migliori vengano, in generale, dalle contaminazioni. Probabilmente il jazz è la musica maggiormente contaminata e frutto di fusioni di generi diversi e diverse istanze. Il blues è una delle sue radici. Considero la musica cosiddetta popolare il nostro blues. Per questo ho in mente di dare forma compiuta all'idea che ho presentato in forma di  concerto in occasione della mia tesi di laurea presso il Conservatorio Santa Cecilia, con la quale ho cercato di indagare le possibili aree di contatto tra musica afroamericana e musica della tradizione popolare. Per meglio dire di tradizione orale. Quindi dico si alla contaminazione. Personalmente ho minor propensione per una interpretazione filologica, pur riconoscendone la indispensabilità. Io stesso mi dedico ad un approccio critico,cercando di approfondire un determinato linguaggio ma la natura stessa del mio strumento mi porta con forza in una direzione di maggiore contemporaneità, direzione che tra l'altro mi appartiene di più.,

    1. LA TUA VISIONE DELLO STATO DI SALUTE SIA DEL JAZZ NEL SUD ITALIA SIA DELLA MUSICA POPOLARE COME CULTO, REVIVAL, STUDIO: PER QUANTO RIGUARDA QUEST’ULTIMA LA PERCEPISCI PIU’ COME “MALTRATTATA” DA QUEI PRESUNTI RIVISITATORI CHE NE ABBASSANO UN PO’ IL LIVELLO “DOGMATICO” RIPROPONENDOLA SENZA CAPIRE QUALE SIA IL VERO VALORE CULTURALE E L’HUMUS DAL QUALE ESSA è NATA OPPURE SENTI CHE IL DISCORSO COSì FORTEMENTE VOLUTO DALLA SCUOLA DI CARPITELLA E DE MARTINO STA PRENDENDO NUOVAMENTE VIGORE GRAZIE A CENTRI DI STUDIO, MOSTRE, SEMINARI E NUOVE GENERAZIONI DI STUDIOSI?

Mi pare di poter dire che esista una base diffusa di artisti italiani creativi ed originali, anche se spesso stentano a raggiungere condizioni di lavoro dignitose e quindi a sviluppare progettualità consistenti. In ogni caso, la grande disponibilità di informazioni garantita dalla rete Internet ha favorito l’acquisizione di conoscenze che qualche decennio fa risultavano molto meno raggiungibili. Vedo inoltre una rinnovata attenzione alle peculiarità del Sud Italia, pur in mancanza di un organico inserimento nelle politiche culturali nazionali. Penso ad esempio alla proclamazione di Matera come capitale europea della cultura 2019, alla risonanza mondiale del Salento e della sua musica, a una certa riscoperta delle tradizioni calabresi e campane, ma anche ad importanti rassegne di Jazz come l’interessante Festival “Rumori Mediterranei” di Roccella Jonica. Come sempre la cultura nasce dall’incontro e mi sembra di poter dire che il Sud sia terra feconda, pur scontando la sua atavica defaillance nei confronti di un Nord per ragioni geografiche e storiche maggiormente agganciato al mondo della cultura mitteleuropea. Non credo che considerare alcune, pur preziosissime, registrazioni effettuate sul campo da studiosi del calibro di Carpitella e De Martino come fossero dei cristalli, infrangibili testimonianze di cultura contadina, sia la scelta giusta. La Musica è mutevole per sua stessa essenza; essa si arricchisce continuamente e continuamente muta. Del resto nella musica di tradizione orale, così come nel Jazz, confluiscono motivi originariamente estranei ai rispettivi mondi sonori. Nelle canzoni popolari troviamo melodie permutate dall’Opera, nel Jazz si prendono in prestito canzoni dai musical, o meglio dai musical comedy, l’equivalente americano dell’operetta europea nel campo del teatro musicale, rielaborandone temi ed armonie. Da questa pratica nasce il Be-Bop, ad esempio. Ecco perché penso che sia molto importante conoscere ciò che ci ha preceduto, ma sia altrettanto importante capire in quale direzione si vuole andare, arricchendo, perché no, i repertori del passato con i frutti della contemporaneità.

  • COS’E' PER TE IL SASSOFONO? COME INTERAGISCE TECNICAMENTE NELL’INTERPLAY JAZZISTICO E COME Può PORSI IN UN CONCRETO ASPETTO DI NOVITà NELLA MUSICA POPOLARE RIVISITATA?

Credo che per ogni musicista il proprio strumento rappresenti il tramite attraverso cui esprimere la propria visione del mondo. Si può essere dei virtuosi o suonare poche note. In ogni caso suonare è comunicare, e cos’altro comunicare se non, appunto, la propria visione del mondo? Il sassofono è lo strumento che ho scelto anzi, per meglio dire, che mi ha scelto. Si, perché è lo strumento a scegliere te. Ricordo ancora vividamente il momento in cui, bambino, ascoltai in un programma dell’allora tv in bianco e nero il sassofonista Stan Getz. Non sapevo assolutamente nulle di lui né del sassofono ma quel suono, il suo suono, mi rapì. C’era già in me l’attrazione per la musica leggera che sentivo ovunque, ma quella volta ascoltai davvero, ed iniziò il mio amore per la musica Jazz. Dopo molti anni da quell’incontro virtuale, dopo aver studiato un po’ la batteria, mi resi conto che gli aspetti ritmici da soli non mi bastavano ed acquistai il mio primo sax, un tenore argentato dall’aspetto decisamente vintage. Cominciai a studiare, inizialmente con un maestro privato, ex operaio autodidatta che, guidato dalla passione, aveva sviluppato una buona padronanza dello strumento, poi presso la Scuola popolare di Musica di Testaccio, dove iniziò la mia vera formazione.
Un buon interplay è fondamentale in ogni buon gruppo, non solo musicale. In questo senso il sax, strumento monofonico, dà il meglio di sé nell’interazione con altri. Ci sono pregevoli esempi di sax solo, tra cui quello di Sonny Rollins del 1985, ma naturalmente la gran parte del repertorio sassofonistico è scritto ed eseguito per ensembles di vario tipo. Nella musica popolare vedo una somiglianza, soprattutto per quanto riguarda il sax soprano, con strumenti a fiato tradizionali sia ad ancia semplice, come launeddas e clarinetti, sia ad ancia doppia come ciaramelle e zampogne. Si tratta sempre dello stesso principio. Un’ancia, generalmente in legno, viene messa in vibrazione da un flusso d’aria sopra un’imboccatura fissa o su di un’altra ancia legata assieme alla prima. Inoltre la diteggiatura del sassofono è praticamente identica, o almeno molto simile, a quella del flauto dolce, anch’esso utilizzato nella musica tradizionale. La novità è rappresentata, probabilmente, dal musicista più che dallo strumento, o meglio da quel particolare connubio che si sviluppa tra il suonatore e l’oggetto suonato. In questo senso è chiaro che suonare un sax sarà diverso dal suonare un qualsiasi altro oboe popolare, sia da un punto di vista timbrico che fraseologico e concettuale.

  • SE DOVESSI DEFINIRE QUESTO STRUMENTO DA TE AMATO CON TRE SOLI AGGETTIVI, QUALI USERESTI?

Arioso, melodico, digitale.
Arioso perché, essendo uno strumento a fiato, respira con te. La stessa produzione del suono è influenzata da quantità e qualità dell’emissione e il timbro, caratteristica molto personale e riconoscibile alla quale tengo molto, dipende in gran parte dal modo con cui ogni musicista modula, appunto, tale flusso. Arioso, dunque.
Melodico perché, diversamente da strumenti armonici come piano o chitarra, cioè strumenti in grado di produrre più suoni contemporanei generando accordi, il sassofono permette di ottenere un solo suono alla volta. In questo senso è strumento per costruire melodie, frasi musicali che naturalmente devono risultare gradevoli all’orecchio, essere in linea generale “in armonia”, cioè utilizzare suoni appartenenti o relati agli accordi di accompagnamento. Si deve, perciò, conoscere a fondo l’Armonia, proprio come un pianista o chitarrista, ma poi si sceglie, proprio come avviene nella composizione, quali e quante note suonare, con quale andamento e così via. L’improvvisazione è, in fondo, una composizione istantanea. Naturalmente si può suonare anche con approccio atonale, ma questo è un altro discorso.
Digitale perché molto legato all’uso delle dita, forse più di altri strumenti. Penso, ad esempio, ad altri fiati come tromba e trombone, in cui l’uso delle dita è minore. La prima si sorregge con una mano, mentre con l’altra si spingono i tre o quattro pistoni. Nel trombone si ha spesso addirittura una coulisse, che serve a variare la lunghezza del tubo sonoro, e quindi l’altezza del suono, in funzione della sua posizione. Suonare il piano vuol dire dare grande importanza all’uso corretto del polso, che in verità deve essere rilassato anche suonando il sassofono e credo un po’ tutti gli strumenti, poiché se si è rilassati si può suonare in modo fluido ed esprimere meglio le proprie idee musicali. Un batterista si dedicherà principalmente allo studio dell’indipendenza degli arti. Nel sassofono ogni nota deriva dall’apertura e chiusura contemporanea di un certo numero di chiavi, alcune richiamate da molle che costituiscono la meccanica dello strumento, quindi da una particolare combinazione nella posizione delle dita. Ecco perché lo definisco uno strumento digitale.

    • UNO SGUARDO AI TUOI LAVORI DISCOGRAFICI PASSATI ED UNO SULLE TUE PROSSIME IDEE E PROGETTI A VENIRE.

    L’attività di musicista si sostanzia fondamentalmente nelle esibizioni dal vivo, ma qualche volta si ha l’esigenza di fissare su di un supporto ciò che si sta suonando in un dato momento. Le collaborazioni sono, ovviamente, fondamentali. Dalla collaborazione con un artista creativo e prolifico, il polistrumentista Pasqualino Ubaldini, nasce dunque “Mosaique”, un album di composizioni originali aperto alle sonorità mediterranee e ai colori di molti paesi, culture ed etnie. In questo periodo lo stiamo presentando in una formazione atipica, il duo con uso di basi preregistrate da noi, ed è disponibile per essere ascoltato gratuitamente ed eventualmente scaricato dal sito Jamendo. Sempre per la stessa piattaforma ho collaborato al disco del pianista e compositore Paolo Pavan e del suo progetto UP (Ubaldini, Pavan), intitolato “Lines”. Un altro brano è stato utilizzato per la realizzazione del corto animato “Mrs. Flo in love”, tratto dal divertente testo di Stefano Benni. Il disco “Festaranta” del gruppo Le Tarantole e distribuito da Blonde Records ha riscosso un notevole successo nel mondo della musica popolare. Spero di riuscire presto a mettere “in bella copia” il lavoro del mio progetto Ethno-Jazz, che ho già presentato in forma di recital. Poi c’è il quartetto di sassofoni, formazione più “cameristica” in cui prevale l’interpretazione di musica scritta. Inoltre continuerò a dedicarmi all’insegnamento e diffusione delle pratiche musicali. Sto per attivare un per-corso dedicato a giovani e non solo, che ho intitolato “Ascolto, quindi s(u)ono”. Siamo quotidianamente immersi nella musica. Essa è con noi in ogni luogo, eppure spesso non siamo consapevoli di ciò che ascoltiamo. Canticchiamo, magari distrattamente, la sigla di questo o quel programma, piuttosto che l’ultima canzonetta passata in radio. C’è musica quando siamo in aeroporto o al supermercato, quando siamo messi in attesa al telefono e in mille altre occasioni. Attraverso l’ascolto consapevole della musica che c’è intorno mi piacerebbe riuscire a favorire un percorso di conoscenza del repertorio musicale che ritengo fondamentale per contribuire a creare quel cittadino musicale che avendo meno paura di ciò che non conosce, sarà maggiormente in grado di accettare le differenze, considerandole appunto come tanti colori diversi e complementari.

     

      

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