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SUITES DI FINE ANNO:
UN “CONTDOWN OF CONSCIOUSNESS” CON IL METRONOMO LESSICALE DI ROBERTO MAGGI

di Angela De Nicola

 

Lasciate da parte, almeno per stavolta, ogni più o meno evidente, ricercato, esasperato, cerebrale e celebrativo termine di paragone con maestri o scuole letterarie del presente o del passato: filoni stilistici, antitesi o richiami con questo o quel capolavoro da scaffale. Assez, come direbbero i francesi. Libertà. Godetevi semplicemente il viaggio. Come ho fatto anch’io. E possibilmente con un Ipod a portata di mano. Anzi, se siete dei veri buongustai, molto previdenti in materia sonora, attrezzatevi con uno di quegli impianti collegati ad un apparecchio per vinili da collezione. Lasciatevi andare così alla lettura. Benvenuti in ciascuna di queste quattro Suites. Di fine anno, nello specifico. Accendete il metronomo. Spesso le parole vanno a tempo in questi quattro racconti, ognuno dedicato ad un movimento musicale.

Raccolta breve in prosa, intensissima, questa di Roberto Maggi. Dove la prosa spesso sconfina nel terreno della poesia e viceversa. Senza nessuna specifica sovrastruttura letteraria. Forse l’autore desidererebbe che il suo lettore divenisse qui tabula rasa, ponendosi davanti alle proiezioni lessicali come bimbo afasico e desideroso di imparare. Pagine, queste Suites, che ci colpiscono per una creatività impressionante e per una intensa carica, che tentano di farci investire - con furore e vigore dolcissimo - da una vera e propria novità “lustrale” delle parole: una fresca acqua semantica, un ambizioso connubio di sintassi e note sul pentagramma che ci tenga quasi a battesimo con la forza di idee, concetti e divagazioni su una strana quanto avvincente peregrinatio per annum, per essere infine inondati, dal fragore e dalla fragranza di un lessico e di uno stile piegati ad una storia senza trama ma, proprio per questo, storia vivida ed intensissima che è poi la storia di ciascuna anima, la storia di ciascuno di noi di fronte al suo farsi essere ed essere di parola, tessuto di relazione sociale e di comunicazione con l’altro, semplice eppure complesso meccanismo di vita.

Non a caso, mi è parso giusto voler parlare, a proposito di queste pagine, di una specie di “revival letterario dello stream of consciousness” ma, chiaramente, per toglierci subito da ogni impiccio e per non cadere in contraddizione, per favore, dimentichiamoci di Joyce o della Woolf: o meglio, teniamoli a mente quel tanto che basta per dare a noi stessi il La, proprio come la bacchetta di Baremboim prima del Valzer Viennese o come il via libera del maestro di sala ad iniziare lo speciale banchetto di una cerimonia da ricordare … ecco signore e signori, si va, si inizia e … prego, a voi le danze di mezzanotte tutte da leggere e da gustare in questi ritratti potentissimi e labirintici di parole su ore e minuti e attimi e vite di fine anno.

Perché, appunto, se le parole, i gesti, le storie e la coscienza, appaiono da sempre e per sempre “invasati” ma anche vivisezionati, paradigmaticizzati, di fronte ad ogni cronaca di San Silvestro che si rispetti, allora è chiaro che Roberto Maggi, scrivendo di queste stanze, componendo anzi “a colpi di minuzia” questi racconti (pagine dove l’allusione alla doppia valenza semiotica della Suite come genere musicale classico e come ambiente architettonico è evidente) è chiaro, dico, che, a mio dire, egli abbia fatto prontamente e decisamente centro.

Suites allora. Tentate perifrasi musicali di vite che diamo scontatamente per intere, circonvallazioni chiuse in stanze dell’esistenza, giri e riassunti ellittici di ciò che siamo. Perché l’umanità, è bene ancora una volta ribadirlo anche attraverso Maggi, è assenza di trama compiuta, partitura apparentemente conclusa. Siamo monadi e sinossi incomprensibili, ontologicamente incompleti. Suites, appunto: di danza, musica, parole. Roba sempre sospesa, insomma, eppure apparentemente rifinita.
Inesplicabili movimenti e fraseggi, siamo brandelli di una grande musica.

E credo che Roberto Maggi tutto questo finisca per illustrarcelo bene in queste pagine, visto che quando si parla di danza, le danze, chissà perché, sono sempre interrotte; quando si parla di relazioni, le relazioni, chissà perché, paiono non venire mai a capo; e, quando si parla di canzoni, le canzoni sono sempre e solo brandelli di memoria umana che paurosamente, quasi per un istinto angelico o diabolico, vengono a galla, baluginii di rivelazione nel buio assoluto dell’essere, nel vuoto del ripromettersi ogni volta un nuovo inizio, un nuovo qualcosa. Per Maggi, nelle Suites di Fine Anno, l’umanità, noi tutti, siamo tutto questo cercare ostinatamente: cercare pur senza ottenere.

E’ formidabile non trovare quasi mai una trama in questi quattro racconti: e, in questo nonsense che ogni volta minaccia e lambisce - come uno scherzo ben architettato - la mente del lettore, è facile e quasi provvidenziale ritrovarsi aggrappati ad isole di cronaca, canovacci di vita che spalancano tutte le possibili finestre del romance o dell’avventura che, come dicevo, puntualmente e fascinosamente, si spezzano, si rompono. Chiuse ermeticamente, è come se tali finestre non funzionassero più: eppure allo stesso tempo si tratta davvero di sollecitudini letterarie che ammiccano alle infinite trame della vita umana nel mondo. Circondato da salvagenti di significato che valgono la fortuna di un’apparizione salvifica, il lettore di queste Suites, non chiedetemi come, è comunque sicuro di non perdersi nel vasto nonsense anche fortemente poetico architettato dall’autore, nelle varie “illogicità” della trama: egli è certo, insomma, di avere a che fare comunque con un copione fortissimo di sottofondo, con un rituale di cronaca (il Capodanno) fortemente rassicurante, del tutto familiare.

E Leonard Cohen, i Pink Floyd, David Sylvian, i King Crimson, Peter Gabriel, Frank Zappa, I Doors, i meno conosciuti Van Der Graaf Generator e perfino Luigi Tenco, sono lì ogni volta ad irraggiare il testo con le loro storiche “citazioni da manuale” (i testi delle loro creazioni musicali) così da renderlo una poesia che potenzia ancor più i passaggi già di per se stessi votati al lirismo di fondo (matrice e base della vera introspezione) tanto da fare vistosamente e forse comicamente a pugni con la “poesia” e con la “musica” – dozzinale - dei soliti ma indispensabili DJ sets o delle scenette tipiche di San Silvestro. Quei capolavori di testo e musica sono lì a ricordarci che la vita è per definizione contrasto assoluto e nello stesso tempo ci rivelano come, nell’apparente e scardinante coerenza delle nostre stesse introspezioni, essa non riesce a dirci nulla, proprio nulla più del dovuto.

Ed è nel non poter dire nulla di ogni fragilissimo fine o inizio di qualcosa, contornato da dileguanti e slegate sillogi letterarie, da citazioni musicali, da passaggi cripticamente poetici, che però, ecco, Maggi dice tutto. O almeno tenta di farlo con coraggio, un coraggio se vogliamo nudo e a tratti anche privo di censura. Affinché con queste pagine ci si accorga, o almeno si spera di poterlo fare, che il tutto risiede come sempre in un accenno di viaggio interiore che non compiremo mai del tutto ed è del resto la ricerca di sé che spinge a vivere in questo modo tutta la vita e tutte le vite. La ritualità o l’apparentemente solida impalcatura sociale rappresentano solo una grande maschera dove nascondere l’incompiutezza, l’impossibilità, l’assurdità o la paura di affrontare il nostro tutto.

La festa è insomma ogni volta l’emblema, la sintesi e l’apogeo delle gioie e dei dolori più grandi della nostra vita, l’hobo delle ricerche e delle perdizioni più icastiche del nostro esistere.
Non ci sarebbe trattato filosofico più efficace per una serie di racconti su San Silvestro; eppure, stiamo leggendo una serie di pagine dedicate alla festa più chiacchierata, la più ricca di fronzoli e la meno sobria di tutto l’anno, dove nulla è scontato ma dove tutto può d’un tratto diventare terribilmente banale … e Maggi tutto questo pare in fondo non lo mandi a dire. Perché è in dondolio, è in bilico tra banale e inusuale che questi racconti si muovono, proprio come la vita che vira velocemente verso curve impensabili per poi tornare a fragili equilibri disperatamente evitati quanto ricercati. L’insoddisfazione è dietro l’angolo, la ricerca affannosa di equilibrio - anche e soprattutto nell’amore - è un’impresa tragicomica e al tempo stesso titanica; la donna è la grande sfinge, il grande mistero, l’inaccessibile, l’ombra, la luce, l’essere più sfuggente eppure più a portata di mano.

Chi siamo, dove andiamo e cosa vogliamo, perché ci combattiamo e perché siamo ogni volta capolavori di arrivismo, disumanità o animalità - le domande di sempre - Maggi ce le declina qui, in un abile Carnevale, tra lenticchie, Dj sets, ville romane, tacchi e champagne della media e alta società, imbrigliato in cunicoli di umanità terrena che solo il Padreterno saprebbe come decifrare … e tutto ciò che resta in fondo è claustrofobia, nausea, rigetto; e pertanto l’unica soluzione, coerente con un’età dell’ansia e con una incongruenza anche stilistica e letteraria di fondo che ci portiamo dietro da almeno un cinquantennio, consiste nell’allontanamento dal sistema: la più sistematica, cioè, delle fughe.

Perché oggi è velocità, algoritmo e interdizione, eppure una scappatoia esiste ed è il ritorno rapido, semplice ed immediato alle grandi stanze della Natura.

Fuori dalle Suites di fine Anno dunque: via, fuori dalle solite feste o dalle anti feste o funerali che dir si voglia, in posti dove la Natura è sempre pronta a stendere la sua volta celeste sopra il nostro capo. E’ solo lì che ogni assillo, ogni ubriachezza, ogni stordimento insensato, si spegne e si placa. Ed è lì che finalmente vediamo compiuta la poesia … è lì che l’autore riesce a portare compiutezza ad un verso sciolto, quello dell’esistenza, che altrimenti non troverebbe mai il suo punto fermo, né compiutezza e pace.

Roberto Maggi, da biologo, naturalista, scrittore e anche poeta, non poteva non offrirci questo finale, questa liberatoria, e direi “silenziosamente sinfonica” via d’uscita. Uscita di prigione, escamotage da tutto ciò che ci si ostina ancora a voler capire, eppure capire non si dovrebbe.  E che da sempre chiamiamo Vita.

ANGELA DE NICOLA
CENTRO STUDI LEONE XIII


Roberto Maggi nasce a Roma, dove si laurea in scienze biologiche. Amante della natura, indirizza i suoi interessi professionali e personali verso tematiche legate all’ambiente e all’ecologia.
Inizia a scrivere fin dall’adolescenza, nutrendo una particolare passione per la poesia. I suoi versi raccontano la storia di una vita, intraprendendo viaggi volti alla cattura di stati d’animo sottili e sfuggenti o fotografando momenti di natura meditativa: una finestra sempre aperta sull’anima, dove la parola è alla ricerca costante della musicalità.
Nel 2014 pubblica la sua prima raccolta di poesie dal titolo “Schegge liquide”, edita da Aletti. Il libro ottiene un attestato di merito nel premio Internazionale Città di Cattolica (2015). Seguono apparizioni su varie antologie poetiche, “Federiciano 2014” (Ed. Aletti), “Vivo da Poeta” (Ed. Montecovello), “Premio Erato” 2015 (Ed. Montecovello, con menzione di merito), nonché la sua prima pubblicazione in prosa, il racconto breve “Irish blues”, nell’antologia “1000 parole” (2015, Ed. Montecovello).
Nel 2015 avvia, insieme al pianista Theo Allegretti, un progetto che unisce poesia e musica, la performance “Suoni di-versi”, dove il dialogo tra i rispettivi linguaggi espressivi supera la tradizionale formula del “Reading-concerto”. Questa performance è stata realizzata in diversi contesti, tra cui anche manifestazioni pubbliche (“SeminarLibri” di Tivoli, “Pigneto Città Aperta” di Roma, “Giornata mondiale della Terra” - Perugia 2016).
Nell’aprile del 2019 viene pubblicata la raccolta di racconti “Suites di fine anno”, edita dalla Florestano Edizioni. Del libro si occupano varie riviste (Duels, La Gazzetta dello spettacolo, Prisma, Menabò, Poesia e Letteratura, Onda musicale, Daily News, Elapsus), trasmissioni radiofoniche (Rai Radio3, Radio Più Roma, Radio Emme, Radio Giano) e blog letterari.
Nel marzo 2020 il libro si attesta tra le opere vincitrici del Premio Wilde (2° posto assoluto).
Nel 2019 viene inoltre pubblicata la raccolta antologica “Il diario della Natura” (Fuorilinea Edizioni) che lo vede coinvolto in triplice veste: come ecologo, in qualità̀ di curatore dell’Introduzione al volume; come poeta, con tre componimenti acclusi; e come fotografo, con l’inserimento di un suo scatto a soggetto naturalistico.
A partire dal 2020 si dedica saltuariamente all’attività di articolista, con la pubblicazione di recensioni critiche dedicate a libri e autori.
Nel gennaio 2021 viene pubblicata la sua seconda raccolta di poesie dal titolo “Scene da un interno”, pubblicata da Terra D’ulivi Edizioni. Recensioni relative alla raccolta sono apparse su varie riviste, tra cui Poesia e Letteratura, Tutto Ballo Enjoy Art, Elapsus, Menabò, Prisma, nonché su blog letterari.
Nel giugno 2021 il libro si aggiudica il Premio Speciale Sezione Resilienza all’interno del Premio Astrolabio 2020/2021.
Tra le sue passioni, oltre la letteratura, l’arte, il cinema, la fotografia e soprattutto la musica, che segue con invariato entusiasmo.