“Uscito dalla scuola ideale di Giustino Fortunato, rivolse la sua attenzione di storico all'analisi delle strutture economiche, sociali e finanziarie del Mezzogiorno d'Italia”  (Giovanni Caserta).  
                         Raffaele Ciasca nacque a Rionero in Vulture il 26  maggio 1888 da Antonio e da Maria Donata Vucci. Era, la sua, famiglia modesta.  Il padre, di origini contadine, aveva un avviato commercio di legname che  trasformava in carbone vegetale. Famiglia fortemente legata alle tradizioni,  profondamente religiosa, lavoratrice indefessa, patriarcale. Raffaele  frequentò, dopo le elementari, il seminario di Ascoli Satriano (Foggia) e  conseguì la licenza liceale presso il Ginnasio-Liceo “Salvator Rosa” di  Potenza. Per la sua viva intelligenza e la passione per lo studio, fu subito  notato dal senatore Giustino Fortunato che lo ebbe sempre caro e lo indirizzò  amorevolmente verso studi impegnativi e di grande respiro.  
                        Così il giovane Raffaele Ciasca, “Raffaeluccio”, come  amava chiamarlo don Giustino, frequentò con profitto l’Università di Napoli e  poi passò all’Istituto Superiore di Firenze ove si laureò brillantemente con la  tesi: “L’origine del programma per l’opinione nazionale italiana del 1847-48”,  pubblicata nel 1916. Opera poderosa, questa, che rimane tra i lavori di maggior  interesse. Antonio Gramsci dal carcere, il 9 dicembre 1926, scrisse alla moglie  Tatiana, chiedendo l’invio proprio questa poderosa opera dello storico di  Rionero. Ciasca fu uomo di grande cultura, ricercatore appassionato, studioso  profondo della storia del Mezzogiorno, sul quale aveva lungamente meditato,  facendo tesoro degli insegnamenti di Giustino Fortunato e di Gaetano Salvemini.  Ebbe come compagna di vita Carolina Rispoli (1893- 1991), letterata e  scrittrice di Melfi, definita la “Matilde Serao della Basilicata”. Si può dire  che l’esistenza di Raffaele Ciasca, il suo modo di fare cultura, può  racchiudersi nella massima di André Gilde: “…porre la propria ambizione non già  nel comandare, ma nel servire”. E la vita di Ciasca fu tutta dedicata a  servizio della cultura, dello studio della sua terra, delle lotte contadine per  il possesso della terra e il conseguimento di migliori condizioni di vita.  Frutto di questi studi e ricerche, che spaziarono per quasi un cinquantennio, è  la vastissima produzione di opere di cui citiamo alcune: “Il mezzogiorno  d’Italia, anteriore alla Monarchia”, “Per la storia delle classi sociali nelle  province meridionali”, “I fiorentini nella zona del Vulture”, “Riforme agrarie  antiche e moderne”, “Il problema agrario in Basilicata”, “La lotta per la proprietà  della terra”, “Il congresso mariano a Rionero in Vulture”, “Giustino Fortunato  intimo”. 
                          Nel 1911, in occasione del primo centenario  dell’elevazione di Rionero a comune autonomo, pronunciò un discorso che ebbe  vasta risonanza per l’accuratezza della ricerca storica sulle vicende della  gente del Vulture. Durante la prima guerra mondiale fu ufficiale di Artiglieria  e combattè sull’altipiano di Asiago; fu decorato di Croce di Guerra al V.M.  Notoriamente antifascista, firmatario dei manifesti Croce e Salvemini, di  protesta degli intellettuali dopo il delitto Matteotti, rimase a Cagliari sette  anni, lasciando alla Sardegna uno strumento di lavoro inestimabile: la grande “Bibliografia  sarda”. Dopo l’ultima guerra fu eletto senatore della repubblica nel Collegio  di Melfi per la Democrazia Cristiana e rieletto senatore nel 1953 nella stessa  circoscrizione. Ciasca fu uomo di grande signorilità, dalla squisita gentilezza  del tatto, dalla sconfinata modestia, dalla semplicità dei modi. A distanza di  oltre un trentennio dalla sua scomparsa (morì a Roma il 18 luglio 1975) i  lucani, la zona del Vulture e Rionero in particolare non devono dimenticare  l’impegno e l’azione del sen. Ciasca. La città fortunatiana, lo ricordiamo,  assurse ad importante centro di studi grazie proprio all’opera del sen. Ciasca,  suo illustre figlio. Infatti, a lui si deve l’istituzione della scuola media  “Michele Granata”, del Liceo Ginnasio, dell’Istituto magistrale “Giustino  Fortunato”, della Scuola Magistrale Statale (quella di Rionero era allora una  delle otto esistenti in Italia). Ciasca insegnò in diverse università italiane  (Messina, Cagliari, Genova, Roma), fu presidente dell’Istituto per L’Oriente  del Centro Italo-Arabo, da lui fondato nel 1952. Nel 1958 fu nominato  Presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione: Fu tra i  professori “benemeriti” dell’Università di Roma, Medaglia d’Oro per la Cultura,  Accademico dell’Accademia dei Lincei. Per molti anni fu Presidente  dell’Istituto Storico nazionale per l’Età moderna e contemporanea.  
                          Dopo la morte di  Angelo Ciasca, fratello del senatore e della consorte, deceduti senza figli, il  palazzo cui vissero tutta la vita rimase disabitato. I nipoti, figli di  Raffaele Ciasca e della signora Carolina Rispoli, da tempo si sono trasferiti a  Roma. Il Comune di Rionero in Vulture lo prese in fitto per sistemarvi alcune  classi della locale scuola media “Michele Granata” e a tale scopo rimase fino  al 23 novembre 1980, quando, in seguito ai gravi danni riportati dal tremendo  terremoto, risultò del tutto inagibile e bisognoso di grossi interventi di  consolidamento e di ristrutturazione. Ne nacque una controversia fra gli eredi  Ciasca e il comune di Rionero. S’intervenne allora con una copertura di  emergenza del tetto che non eliminò del tutto l’infiltrazione dell’acqua e  della neve, causando ulteriore degrado dell’edificio. Rimase così, in tale  stato di abbandono, per anni, esposto alle intemperie, con continue  infiltrazioni di acqua e di neve, Sicché il fabbricato ha subito gravissimi  danni, e quello che non ha potuto la furia del terremoto, lo ha arrecato  l’incuria degli uomini. Si pensò allora all’acquisto da parte del Comune  dell’intero palazzo, riconosciuto d’interesse storico- urbanistico. 
                          Sfruttando  il “diritto di prelazione” acquisito dal Comune di Rionero,  l’allora commissario prefettizio Francesco Maioli Scanderbeg nel  2005 lo strappò a una ditta di costruzioni che intendeva ristrutturarlo per  farne delle abitazioni e locali commerciali. 
                          Entrato  nella disponibilità comunale e posto immediatamente sotto la tutela della  Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed  Etnoantropologici della Provincia di Potenza, il Palazzo gentilizio necessitava  da anni, come dimostrano le numerose segnalazioni acquisite dalla Polizia  Municipale, di una messa in sicurezza generale.   I lavori di ristrutturazione sono stati stimati in circa 2,5/3  milioni di euro: una cifra irragionevole in tempi di crisi economica. 
                          E così oggi, a  distanza di 35 anni dal terremoto, l’immobile pare del tutto irrecuperabile e,  quello che è peggio, continua a costituire un grave pericolo per la pubblica  incolumità. Tanto che il Comune ha ritenuto  indispensabile prendere provvedimenti per evitare pericoli per i passanti. Si  è, infatti, provveduto alla rimozione dei cornicioni e delle parti pericolanti,  alla sistemazione e alla chiusura delle finestre del Palazzo stesso.  Come finirà? Intanto il palazzo cade a pezzi.  
                      Dopo la morte di Carolina Rispoli (1991) e dei figli di  quest’ultima, Eugenio (1998) e Antonia (2001) resta vivente solo Amalia,  purtroppo in non buone condizioni di salute, dello storico palazzo di Rionero e  della sua memoria storica che ne sarà? Ogni volta che lo si guarda in questo  stato pietoso di abbandono, ci piange il cuore. 
                          
                          
                          
                          
                          
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