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31/01/2021

Crisi di governo

Considerazioni svolte in occasione del Cap. reg. pugliese di AC il 23 01 21- AMDG

 

1. La nostra formazione, e ciò che noi stessi proviamo a essere nella nostra vita quotidiana, ci spinge a cercare in quel che accade sulla scena politica esclusivamente degli elementi di razionalità e di ragionevolezza. Ci avviciniamo alla politica come se essa non fosse la proiezione e la ricaduta di quell’insieme di tendenze ideologiche, di movimenti, di scelte di singoli che al nostro interno conosciamo come IV Rivoluzione, e che in modo diffuso è qualificato come post 68.

Facciamoci aiutare dall’arte. Si ha la tendenza a considerare superficialmente l’arte contemporanea come la somma dell’espressione di tanti squilibrati. Non è esattamente così. Non pochi artisti contemporanei sono / sono stati degli squilibrati, ma la peculiarità dell’arte, se è arte vera, è individuare quello che potremmo definire “lo spirito del tempo” prima che esso si manifesti in tutte le sue conseguenze: in tal senso non è follia, è sostanza.

L’arte contemporanea è opera di uomini la cui gerarchia interna era - è - sconvolta, uomini per i quali l’uso di ragione è sempre più sostituito dall’emozione, dopo un periodo in cui aveva prevalso il volontarismo. La scomposizione e la confusione delle immagini in Picasso, confrontata con l’equilibrio e la compostezza di un affresco di Giotto, rendono l’idea visiva di ciò che si intende dire, meglio di qualsiasi discorso teorico sul raffronto fra gli uomini e le donne che hanno percorso le due epoche.

E se Calderon de la Barca nel suo Gran teatro del mondo immagina la vita umana come un teatro, in cui ciascuno interpreta un ruolo - e prima di lui Platone, Seneca , ma anche S. Paolo, Clemente Alessandrino e S. Agostino -, la rappresentazione teatrale oggi non è quella che è coerente coi nostri gusti: nostri, di noi che partecipiamo al Capitolo Nazionale di AC. È piuttosto espressione del nostro tempo: nostro, nel senso di tutti.

Fra gli autori di teatro - e non solo - Shakespeare affascina perché prende al tempo stesso la mente e il cuore, la ragione e l’emozione. Qui però non ci troviamo di fronte alla trama coerente di un’opera del Bardo inglese: una trama drammatica o scherzosa a seconda che sia rappresentata una tragedia o una commedia. Ci troviamo, per restare nella metafora teatrale, di fronte a quello che è stato definito il “Teatro dell’assurdo”: tra gli anni quaranta e gli anni sessanta del XX sec il Teatro dell’assurdo è stata la declinazione artistico-teatrale del concetto filosofico di assurdità dell'esistenza, elaborato in quel periodo dagli autori dell'Esistenzialismo (da Jean-Paul Sartre ad Albert Camus).

2. La peculiarità del Teatro dell'assurdo è l’abbandono deliberato di una trama drammaturgica razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. La struttura tradizionale (la trama degli eventi e la loro concatenazione) viene sostituita da un successione priva di logica apparente, legata da una traccia labile - uno stato d'animo o un’emozione -, apparentemente senza significato, con dialoghi volutamente senza senso, ripetitivi e serrati (cf. Samuel Beckett o Eugène Ionesco).

Che cosa ha a vedere tutto questo con la crisi di governo in atto? La relazione esiste, perché la politica è una parte del Gran teatro del mondo. Quando all’inizio dell’esperienza di Forza Italia Berlusconi parlava spregiativamente del “teatrino della politica”, al fine di prenderne le distanze, confermava anche lui di accettare la metafora della rappresentazione teatrale. Di fronte alla scena della politica italiana di questo inizio 2021, perché ci meravigliamo che si avvicini più al Teatro dell’assurdo che a Re Lear o a Lady Macbeth, per citare due capolavori anche politici di Shakespeare?

La scena della politica è una scena coerente coi tempi che viviamo, come lo è, per altri versi, il Teatro dell’assurdo. Per cui, restando nella metafora, direi di non sforzarci di identificare una trama razionale, e neanche di immaginare conclusioni di atti teatrali che seguano una logica. Quello che possiamo fare è identificare gli attori che compaiono nella scena, e magari anche qualche settore di pubblico, e cercare di capire, nei limiti del possibile, la parte che recita.

Di più, nei tempi in cui viviamo, non credo che riusciamo a fare.

3. Dò per scontate alcune premesse. In particolare - e chiedo scusa per l’autocitazione - l’articolo scritto per Cristianità a commento delle ultime elezioni politiche, dal titolo Verso un nuovo bipolarismo senza i cattolici; in esso, seguente di pochi giorni il voto del 4 marzo 2018, ipotizzavo un governo Pd-M5s-FI, con l’altra parte del centrodestra all’opposizione. Ho sbagliato di un anno quanto alla formazione del governo, e di tre anni quanto all’aggregazione a esso di FI. Richiamo pure le considerazioni svolte - poi diffuse per iscritto - in occasione del CN di AC del giugno 2018, immediatamente successive alla formazione del governo giallo-verde: definivo quest’ultima una “soluzione trumpiana”, nel senso di antisistema, nata con la manifesta contrarietà di larga parte dell’establishment e dei media.

Vengo all’oggi, ma senza saltare la data più qualificante di questa Legislatura: quella del 16 luglio 2019. Il governo giallo-verde finisce non a cavallo di Ferragosto 2019, quando il segretario della Lega al Lido Papete fa il proclama dei “pieni poteri a me”. In quel momento il governo giallo verde era già terminato da circa un mese:il 16 07 19, nell’aula del Parlamento europeo, 383 europarlamentari hanno eletto Ursula von der Leyen presidente della Commissione europea, con appena 9 voti in più della maggioranza necessaria. I voti provenivano da PP (quindi anche da FI, che del PP fa parte), dai Socialisti (quindi anche dal PD), dai Liberali e da 14 deputati del M5S, mentre i deputati della Lega, in quel momento alleati di M5S, votarono contro.

Quei 14 voti sono stati determinanti per l’elezione: sono stati un dono grazioso, più che del “capo politico” o del “garante” di M5S, dell’avv Giuseppe Conte, un anno prima divenuto dal nulla presidente del Consiglio in Italia. Dono grazioso ma non disinteressato, perché gli ha permesso appena un mese dopo di cambiare la maggioranza che lo sosteneva e di restare premier con un governo giallo rosso, la cui composizione si avvicinava - pur senza sovrapporsi - alla c.d. maggioranza Ursula.

Il cambio di governo si è realizzato in Italia grazie all’abilità manovriera del personaggio politico italiano che vanta gli agganci più forti nell’establishment UE, e non solo in quello: Matteo Renzi. Renzi, in quel momento ancora nel Pd, nell’estate 2019 ha fatto saltare i piani di Zingaretti e ha condotto il Pd all’alleanza con M5s, un attimo prima di formare il proprio partito (ricordiamo bene che Salvini aveva un accordo con Zingaretti per provocare la caduta del governo e andare a elezioni anticipate).

4. Dall’inizio di questo gennaio 2021 il teatro della politica italiana vede in scena la tragicommedia “crisi di governo”. A cavallo dell’Epifania, preceduto da trailer che anticipavano l’inizio della rappresentazione, si alza il sipario, e compare il primo attore, Matteo Renzi, avendo alle spalle un piccolo coro di ministre, un sottosegretario e due capigruppo.

Compare e legge un proclama: cari italiani, non andava bene già da prima: avrei voluto far cadere il governo giallo rosso un anno fa. Però è esplosa la pandemia e non era il caso: ora i problemi sono tali e tanti che non si può più proseguire. Perché Renzi fa così? Perché Conte gli sta antipatico? È una tesi un po’ riduttiva. A mio avviso, nel suo strappo sono individuabili un piano A e un piano B.

  1. Piano A. Come è stato il promotore del governo giallo rosso dopo l’elezione di Ursula VdL, Renzi intende farsi promotore della piena realizzazione in Italia di una maggioranza Ursula. Il passaggio obbligato è però la caduta di questo Governo, e la sua sostituzione con una coalizione formata da Pd, FI e di una parte di M5s, quella che potrebbe anche seguire Conte, se costui decidesse di formare un proprio partito. È uno scenario che potrebbe realizzarsi, ma Renzi non ha da solo la forza di guidare  un processo del genere. Il Pd dovrebbe collaborare attivamente, ma non si fida di Renzi, ed è diviso al proprio interno. E Conte dovrebbe farsi da parte come premier, pur restando alla guida di una componente politica importante della nuova maggioranza, con un ruolo prestigioso nel nuovo governo, che a questo punto avrebbe guida Pd: questo è un ostacolo ancora più grosso, perché il Conte ter di cui si parla in queste ore altro non sarebbe che la maggioranza Ursula, ma ancora una volta guidata da Conte.
  2. Piano B. Renzi non ha buone referenze solo sul piano europeo. Ha avuto e ha mantenuto buoni rapporti con Barack Obama. Ha conosciuto bene Biden, quando era vice di Obama: in questo momento vale incomparabilmente di più dell’appoggio che “Giuseppi” Conte ha a lungo vantato da parte di Trump. Qualunque sia il governo che si forma, Renzi sarà un interlocutore di cui non si può fare a meno sul piano internazionale, soprattutto nelle relazioni con gli USA. Alla peggio, fra un anno sarà scelto il nuovo segretario generale della NATO: Renzi ci pensa da tempo…

 

5. Mentre descrivevamo la parte fin qui recitata da Renzi, sulla scena del nostro teatro ha fatto ingresso un personaggio più volte fin qui citato, il premier Conte: proposito di Teatro dell assurdo, magistralmente descritto da Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della sera del 22 gennaio come“un signor nessuno mai presentatosi in alcuna competizione elettorale, privo di qualsiasi immagine pubblica precedente, estraneo a qualunque affiliazione che potesse farne indovinare le idee e i valori”.

Pure Conte ha gli agganci europei che gli derivano dal lavorio che ha portato al 16 luglio 2019, e in questo momento - poiché meno considerato dalla nuova amministrazione USA rispetto a quanto non lo sia Renzi, e quindi più debole sul piano internazionale - tutto sommato potrebbe essere preferito ad altri dalla nazione guida in Europa, la Germania: un’Italia vicina agli USA oggi si rafforzerebbe; un’Italia meno vicina resterebbe debole, e questo sarebbe preferibile dall’asse franco-tedesco.

In fondo alla scena, si nota un signore immobile coi capelli cotonati. Sta fermo e non dice nulla. Se al suo posto ci fosse stato uno qualunque dei suoi predecessori, da Cossiga a Napolitano, avrebbe convocato nel suo studio il presidente del Consiglio il giorno stesso in cui un partito della maggioranza ha revocato la fiducia al governo. Egli invece attende: non perché studia le mosse, ma perché non sa che fare. Un po’ come (non) ha fatto a fronte dell’esplosione del c.d. caso Palamara, pur essendo presidente del CSM. Eppure perfino il suo silenzio riesce a essere incoerente: nel 2018 aveva impedito a Salvini, che glielo proponeva, di ricevere l’incarico della formazione del governo e di cercare in Parlamento uno per uno i voti mancanti a formare una maggioranza, finora invece lo ha permesso a Conte.

E poi c’è il coro, non particolarmente intonato, costituito dai partiti del centrodestra. Non è intonato perché ciascuno ha in mano uno spartito diverso: Berlusconi ha quello della maggioranza Ursula, e - dopo averlo cantato a Bruxelles - vorrebbe tanto replicarlo a Roma. Meloni ha quello della coerenza con la posizione mantenuta dall’inizio della Legislatura, che effettivamente ha pagato per lei, facendole guadagnare consensi, e non rinuncia alla richiesta di elezioni anticipate; ma ci sono momenti in cui la coerenza non deve andare disgiunta dall’elasticità. Salvini non sa che cosa fare, è in qualche modo attratto dalla prospettiva di Giorgetti di un governo istituzionale, ma non osa proporlo, perché teme che Meloni gli sottragga ulteriori consensi a destra.

6. Il governo istituzionale non è la maggioranza Ursula perché, se mai si realizzasse, dovrebbe tenere dentro anche Lega e FdI. Vuol dire governo con la guida più autorevole che oggi l’Italia può esprimere - es. Mario Draghi -, che abbia una base di consenso tendenzialmente la più ampia possibile, che circoscriva l’estrema improvvisazione che ha caratterizzato i governi giallo-verde e giallo-rosso, che affronti in modo partecipato l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, soprattutto che tratti in modo finalmente serio il grosso macigno col quale tutto il mondo fa i conti da circa un anno, cioè la pandemia.

Proporre al capo dello Stato la formazione di un governo istituzionale sarebbe un atto di intelligenza politica per il centrodestra. Otterrebbe i vantaggi di chiudere l’esperienza dei governi Conte, di fornire maggiori garanzie sugli investimenti dei 200 mld del ricovery fund (posto che Conte ha volatilizzato i primi 100 mld ricevuti), di assumere su di sé il carico di scelte impopolari e difficili, senza scaricarle su un centrodestra in ipotesi vincente da elezioni anticipate, di far partecipare anche il centrodestra alla scelta del prossimo capo dello Stato.

Al momento della rilettura di quest’appunto nessuna ipotesi di soluzioni della crisi è da escludere, posto che l’equilibrio uscito dal voto di fiducia della settimana scorsa è così precario che perfino un atto di ordinaria amministrazione, quale la relazione annuale del ministro della Giustizia rischia di farlo cadere. Fra le ipotesi da non escludere, anche quella che nessuno, tranne Meloni, realmente desidera: quella delle elezioni anticipate. Nessuno le desidera, i parlamentari le aborriscono, perché gran parte di loro non verrebbe rieletta (anche a causa del taglio dei seggi), eppure quando attivi una rappresentazione del Teatro dell’assurdo è arduo prevedere se non vada a finire proprio come non vuoi.

7. Finora non si è detto, se non per incidens, di quel che sulla scena incombeva da molto prima che si alzasse il sipario, e cioè la pandemia. Per tornare all’amato Shakespeare e richiamare una delle sue più gustose Commedie, mentre con fatica si sviluppavano le misere trame degli uomini, è arrivata una terribile Tempesta (il mago che agita il mare qui potrebbe essere interpretato dalla Cina), che ci ha fatto spiaggiare in una terra piena di insidie e di imprevisti.

Se a qualcuno capita per sbaglio di assistere a una rappresentazione di Teatro dell’assurdo, può provare a fuggire al primo intervallo utile. Ma dal cielo di tenebra che dal febbraio 2020 incombe sul Teatro dell’assurdo nel quale siamo immersi non possiamo scappare, perché è la nostra vita e il nostro mondo. E non possiamo neanche nasconderci nel loggione.

Possiamo rompere l’incubo se diamo senso a ciò che sta sulla scena. E il senso alla nostra vita lo dà soltanto Cristo, Signore della storia.

Il Covid 19 ha cronicizzato e diffuso le incertezze e le pavidità che già albergavano nel mondo cattolico. Il virus ha messo di fronte alla morte, ha evocato interrogativi cruciali, ha fatto e fa perdere a tanti l’equilibrio mentale, rischia di disperare per il futuro, indebolisce il fisico e lo spirito. In altri secoli le pandemie erano accompagnate dalla forte predicazione dell’Unico che dà forza, vita e speranza: si rileggano le pagine di Manzoni sulla peste a Milano. Non sono mancati neanche stavolta: il S. Rosario andato in diretta su Tv2000 il giorno di S. Giuseppe, pochi giorni dopo l’inizio del lockdown, la preghiera solitaria del Papa in piazza S. Pietro il 27 marzo, sotto un cielo plumbeo, l’esposizione in prima linea di tanti sacerdoti, che hanno pagato con la vita la scelta di non far mancare i sacramenti. Il seguito straordinario di questi gesti - 4,5 milioni di ascolti per la “semplice” recita del Rosario, 8,6 milioni collegati per ricevere la benedizione il 27 marzo - ha rimarcato quanta fame vi era del Pane vero, il solo che soddisfa; e quanto abbia lasciato insoddisfatti negarlo nella quotidianità.

8. Quando nell’anno 455 Roma venne invasa e messa a ferro e fuoco dai Vandali, Papa Leone Magno aprì le porte delle tre principali basiliche - S. Pietro, S. Paolo e S. Giovanni in Laterano -, e vi fece rifugiare larga parte della popolazione durante il saccheggio, finché convinse Genserico a risparmiare la vita dei romani.

Quando il Coronavirus si è abbattuto sull’Orbe e sull’Urbe, le chiese sono rimaste chiuse, e ai fedeli è stato detto che per tv andava bene uguale. Era il momento in cui predicare a gran voce che salvezza e salute non sono in antitesi, perché entrambe passano da Cristo, e che solo in Cristo si trova la forza per superare la rassegnazione e guardare al futuro. È passato invece che funziona pure in streaming, che la sanificazione val più della santificazione, che i decreti di Speranza (ministro) sono più cogenti della speranza fondata sulla Carne e sul Sangue del Verbo. E ancora adesso, andando a Messa in chiese mediamente piene della metà di fedeli di un anno fa, vi è più cura nel garantire il gel disinfettante invece che di un prete che confessi.

Quel che andava - e va - fatto lo ha spiegato il card. Bassetti nel toccante messaggio inviata alla sua Diocesi dal letto cui era costretto dal virus: L Eucarestia, soprattutto in questo periodo così difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani”. Perché essa “è l anima del mondo ed è il fulcro in cui converge tutto l universo, (…) pro mundi salute, ovvero per la salvezza del mondo, e pro mundi vita, per la vita del mondo”.

Quello che manca oggi è una voce di speranza, che sia in grado di guardare al futuro. Col suo consueto acume Giuseppe De Rita (Corriere della Sera del 19 gennaio), parlando di “un popolo in trance, che non focalizza adeguatamente uomini e cose”, osserva che “siamo lontani dalla vitalità ottimistica con cui abbiamo attraversato il primo lockdown, oggi sostituita da una strisciante opaca incertezza: (…) la gente sembra in letargo”.

La mancanza di una voce di speranza per il corpo sociale italiano ha il suo riflesso nell’ulteriore completa irrilevanza sul piano politico, nell’appoggio manifestato al governo Conte dal vertice della CEI, nell’appoggio graziosamente offerto in Parlamento da pochi residuati parlamentari autoqualificantisi cattolici: i quali peraltro alla Camera e al Senato ci sono andati non in quanto componente di una lista di cattolici ma perché eletti nelle fila di differenti partiti, senza caratteristiche confessionali.

Dissolvere l’incubo di una rappresentazione da Teatro dell’assurdo, che vede in tanti fermi e rassegnati, è possibile se diamo senso a ciò che sta sulla scena.


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