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17/04/2021

UNA PICCOLA LUCE CHE BRILLA DI
GRANDE VITA:
CHIARA BADANO

 

“L’importante è fare la volontà di Dio. Io magari avevo dei piani su di me, ma Dio ha pensato a questo. La malattia mi è arrivata al momento giusto (...) Voi però non potete neppure immaginare qual è adesso il mio rapporto con Gesù. Avverto che Dio mi chiede qualcosa di più, di più grande.(…) Ero troppo assorbita da cose insignificanti, futili e passeggere. Un altro mondo mi attendeva e non mi restava che abbandonarmi. Ora mi sento avvolta in uno splendido disegno che a poco a poco mi si svela.”

È il 1990 e queste sono le parole di una ragazza di appena diciotto anni. Non siamo di fronte a scritti di asceti o di padri del deserto di chissà quale secolo lontano. Eppure queste semplici, icastiche parole reggono la base di una santità modernissima, giovanile, semplice, affascinante e se mi si può passare il termine finanche “alla portata di tutti”. Non so quanti di voi conoscano la figura di Chiara “Luce” Badano. Prossima ad essere ascritta nel novero dei santi dei giorni nostri, Chiara è esempio davvero luminoso per chiunque voglia conoscere uno dei non pochi aspetti della “cristianità giovane e per i giovani”. Questa ragazza di Sassello, in provincia di Savona (dove nasce il 29 Ottobre 1971) unica figlia tanto attesa di Ruggero e Maria Teresa Caviglia, è ormai conosciuta in tutto il mondo e migliaia sono i pellegrini che, in attesa della conclusione del processo di canonizzazione che presto la vedrà assurgere agli onori degli altari, accorrono in ogni stagione dell’anno presso la sua tomba, essendo stata proclamata Beata pochi anni or sono, esattamente il 25 settembre 2010 da papa Benedetto XVI. Come tutte le storie di personaggi legati alla santità, la vicenda di Chiara Badano ha in sé onestamente dell’incredibile. Mi è sembrato giusto allora – con molta semplicità e con altrettanta immediatezza - proporne un breve e spero efficace sunto che possa risultare aderente non solo a questo periodo quaresimale ma ancor più ad un quotidiano come il nostro, dove parole come “sofferenza” e “accettazione del dolore” non sembrano più “andar di moda”, anzi tutt’altro. Penso alla recentissima vicenda di Dj Fabo, in realtà l’ultima di una lunga serie che ha spaccato in due l’opinione pubblica perfino - a quanto pare - tra cattolici praticanti. Chiara Badano appare così in quest’ottica una figura agli antipodi della morte ricercata come liberazione dal dolore, rappresentando senza ombra di dubbio uno degli emblemi dell’accettazione della vita così come ci è stata data, dal concepimento fino all’ultimo istante. Vita vissuta non solo con dignità, ma altresì con profondo eroismo ed un ancor più grande entusiasmo, virtù che Chiara non ha ostentato ma che ha reso comunque immediatamente visibili, inequivocabili e lampanti per coloro le stavano intorno. Questo suo non esibirsi né tantomeno recitare una parte (magari rassegnata) di fronte ad una malattia grave, questo suo essere spontaneo ed altresì quotidiano, oserei dire “feriale”, non può per ciò stesso risultare estremamente coinvolgente per chi si avvicina anche oggi alla sua storia e alla sua spiritualità. Di fronte ad un non credente questa figura potrebbe imbarazzare o anche rischiare di essere liquidata come una “personalità schizoide”. Quante volte i santi sono stati definiti così, “ i quasi matti”. Ma tanto è: un eroismo così semplice e così intenso non può non lasciare indifferenti. Qualcuno all’interno della stessa Madre Chiesa ha addirittura scherzosamente definito questa ragazza “troppo santa”. Ovviamente nessuno di noi è Chiara. Eppure per chi impara a conoscerla, Chiara emana un fascino incredibile fino a lasciarci in dono (si spera) dopo averla conosciuta, il desiderio di provare ad emanare anche noi come lei “qualcosa di luminoso” all’interno delle nostre vite. E questo è certamente possibile, non necessariamente vivendo grandi prove come lei ha fatto, ma manifestando piccoli spazi o tentativi di luce tra le ombre, anche al di là dei grandi temi etici come eutanasia o aborto (su cui pur chiaramente si deve prendere posizione) perché il cristianesimo sia e rimanga una scelta da operare tutti i giorni, anche nei gesti più semplici ed apparentemente privi di senso agli occhi umani. La filosofia di vita di questa giovane Gen (che aderì al Movimento dei Focolari nel 1980) si era sviluppata in tal senso, “un senso tangibile e quotidiano” già molto tempo prima che la malattia bussasse alla sua porta. E così, la vita di Chiara Badano prendeva il significato del “tutto accade per un motivo preciso” e del “nessun attimo della nostra esistenza deve venire sprecato” già cronologicamente prima di quella diagnosi infausta (Osteosarcoma) sopraggiunta nel 1987 e che la portò a quello che lei finì con il chiamare “il gioioso incontro con lo Sposo” il 7 ottobre 1990. La vita di Chiara Badano appare così, fin dai suoi stessi esordi, davvero uno “splendido disegno” che, arricchitosi di volta in volta di particolari sempre più belli, di traguardi eroici sempre più alti, supera qualsiasi mano umana, fino a farci riconoscere non altra firma se non quella del Creatore della Vita, della Gioia, della Pace.

“Sento che Gesù mi sta chiamando a qualcosa di più grande” confida Chiara ai suoi amici agli esordi della malattia. La ragazza è estremamente consapevole di tutto ciò che le accadrà, delle pesanti cure che dovrà affrontare e del fatto che molto probabilmente non guarirà. Chi le dà forza è questo suo “Sposo Abbandonato” (Gesù agonizzante) quel Gesù che fin da bambina ha imparato a conoscere ed ascoltare dentro il suo piccolo cuore a partire dagli anni in parrocchia e poi nel movimento delle Gen, quel Gesù di cui conserva un ritratto semplice ma altamente espressivo nella sua cameretta. È a Lui che pian piano Chiara impara a rivolgere i suoi continui e personalissimi “Sì” come tanti gradini che in maniera sempre più radicale ed impegnativa la portano a salire in alto e ancora più in alto quanto più la malattia incalza. All’inizio sarà un naturale “perché Gesù?”. Ha solo diciassette anni, è sportiva, ha tanti sogni nel cassetto (vuol diventare medico ed andare in Africa) è bella e simpatica, amata da tutti. Ma presto quelle domande si convertiranno tutte in un’unica e reiterata affermazione : “Se lo vuoi tu Gesù, allora lo voglio anch’io.” E così gli interventi chirurgici, le sedute di chemioterapia, la paralisi, i dolori che per un anno e mezzo mai la abbandoneranno. Ciò che Chiara non perse mai, dall’inizio alla fine, fu il suo sorriso ed una serenità che sbalordì non solo i medici ma anche i suoi stessi genitori. Come poteva una ragazza così gravemente ammalata e tanto consapevole della sua malattia continuare ad essere sempre la stessa, senza mai cedere, senza mai cambiare, anzi donando a tutti quello che poteva con tutta se stessa e con tanto entusiasmo? Suo padre, perplesso, cominciò a spiarla dal buco della serratura per cercare di capire se quella figlia fingesse per amore dei familiari. La scopriva sempre serena, come davanti a loro. Mai un lamento.

Chiara era diversa. Aveva fatto il salto. Il salto del vero cristiano proiettato nella Verità che non è di questo mondo. Chiara, pronta a vivere quel Dio che tanto amava, era certa che i Suoi piani su di lei avrebbero in ogni caso previsto solo del Bene, comunque andasse la vita; ed era ancora più certa di quella vita eterna e di quella profondissima intimità con Gesù che per grande grazia corrisposta aveva imparato a conoscere, apprezzare, ricambiare e vivere profondamente fin da quaggiù, che per Gesù fu sempre pronta a tutto, nella gioia della sua breve vita così come nel dolore della sua lunga malattia. “Come per me è facile conoscere l’alfabeto, allo stesso modo voglio ben conoscere questo meraviglioso libro chiamato Vangelo.” Ed è proprio avendo in mente continuamente l’amore di Dio riversato sugli uomini mediante il sacrificio di Cristo, che Chiara, nonostante le gambe (che lei scherzosamente aveva imparato a definire “matte” ) fossero in continua contrazione ed agitazione neurosistemica perché alterate dal dolore, per un anno e mezzo e fino alla morte, ricevette senza problemi non solo i suoi amici ma tutti coloro che - incuriositi dalla sua spiritualità e dal modo in cui aveva imparato a prima a gestire e poi a valorizzare la malattia- facevano richiesta di accesso alla sua casa. Tra questi il suo stesso vescovo, Monsignor Livio Maritano (che successivamente ne aprì il processo diocesano di Beatificazione) il quale più di una volta, celebrando messa nella sua cameretta e colloquiando privatamente con lei, ebbe modo di constatare tante virtù non comuni (quelle che la chiesa definisce “eroiche”) innestate su una radice di maturità assolutamente rara per una ragazza di soli diciassette anni. Chiara amava ripetere “Io ho tutto” riferendo questo “tutto” al dono e alla grazia di poter offrire le sue sofferenze. Certo ricordava con dolce nostalgia la vita di un tempo, ma non rinnegava questo suo nuovo stato di cose dove Dio le offriva “altezze incredibili” da cui poter guardare le cose con occhi nuovi. Ed è con questi occhi che Chiara dona tutti i suoi risparmi (compresi i regali per i suoi 18 anni) per le missioni nel Benin. È con questi occhi che invita i suoi genitori ad andare in vacanza per distaccarsi dalla pesante situazione familiare. Dal suo lettino, Chiara continua a studiare, canta, legge, scrive lettere alla fondatrice dei Focolari (Chiara Lubich, che colpita dalla bellezza di questa sua vicenda le darà il nuovo “soprannome spirituale” di “Luce”, la luce di quegli ideali che “vincono il mondo”) e quando sente che la “fine” è ormai vicina, così, serenamente, rifiuta la morfina per non perdere la lucidità, e contenta di poter donare ancora fino all’ultimo istante, pensa addirittura ai particolari del suo funerale che dovrà essere concepito non come un addio ma come una festa, una cerimonia dove ognuno “dovrà cantare forte”perché lei ormai sarà finalmente volata in Cielo raggiungendo il tanto sospirato “Sposo”. Ed è con la sua migliore amica Chicca Coriasco che sceglie e prova tutti i canti per la celebrazione e si fa cucire un vestito di seta bianco con una cinturina rosa “per essere bella per Gesù”. Prima di salire al Cielo, l’ultimo dono è la volontà di donare le cornee come unica parte del corpo non compromessa dal male. All’alba del 7 Ottobre 1990 con le ultime forze rimaste nel suo fragile e giovane corpo devastato dalla malattia, Chiara, che aveva salutato ad uno ad uno tutti gli amici, scompiglia forte i capelli della sua mamma ed esclama con un dolcissimo filo di voce: “Mamma, ciao: sii felice perché anch’io lo sono”. I suoi funerali sono un accorrere di gente vicina e lontana, in particolare giovani. In paese le serrande dei negozi vengono abbassate e tutta la cittadinanza partecipa al rito. C’è subito la consapevolezza che Chiara è “qualcosa di più” e che è riuscita a trasmettere tanto attraverso la sua giovane vita. Durante l’omelia mons. Maritano afferma: “Non possiamo che benedire Dio per il dono che ha fatto alla nostra Chiesa attraverso la testimonianza di Chiara e della sua famiglia; un bene che è rivolto a tutti: ai credenti e io spero anche ai tanti in ricerca di Dio.” (*) Tra raccoglimento, preghiere e canti, più di cinquecento persone si accostano alla comunione. Durante la sepoltura della salma, sempre accompagnata dai canti dei giovani del Movimento Gen, la cappella di famiglia è stracolma di fiori, biglietti, messaggi di speranza e di richiesta di aiuto a Chiara, consuetudine che continua tutt’oggi nel cimitero di Sassello. La fama di santità comincia subito nei giorni e mesi immediatamente successivi alla dipartita di Chiara con una vasta eco di giornali e televisioni che additano alla singolare vicenda di questa ragazza. Cominciano ad apparire varie biografie ma soprattutto testimonianze e relazioni scritte su presunte grazie spirituali e fisiche ottenute invocando presso Dio la sua intercessione. La più importante, riconosciuta dalla commissione d’inchiesta del Vaticano e che appunto sancirà l’iscrizione della Serva di Dio nell’albo dei Beati nel 2010, è data dall’inspiegabile guarigione di un ragazzo di Trieste affetto da meningite fulminante, destinato per la scienza a morire in quarantotto ore, ma tutt’ora vivente ed in ottima salute per intercessione della Beata.
“Mamma, i giovani sono il futuro. Io non posso più correre, però vorrei passare loro la fiaccola come alle Olimpiadi. Hanno una vita sola e vale la pena di spenderla bene.”

Chiara ha passato il testimone ai giovani, a tutti. Un esempio senza dubbio difficile da seguire, una soglia stretta da varcare. La strada sterrata riserva però, vale la pena ricordarlo, sorprese rare, indimenticabili bagliori (altro dai luccichii) sia per sé stessi che per il prossimo cui si decide di mostrare la cosiddetta “altra possibilità”, ovvero l’altro coraggio, l’altro sogno, l’altro cammino. Livelli di vita e finezze per pochissimi, è vero. Il segreto risiede nella fortissima volontà di corrispondere al dono della fede senza alcun margine di distrazione, nemmeno il più piccolo. E questo con la medesima forza di volontà di un atleta, lo sguardo fisso alla meta con tutto se stesso. Uno sguardo aperto ad una vita che non finisce qui. Uno sguardo come quello di Chiara, puntato dritto al cuore di una vita diversa, che non termina con fallimenti o con miserie. Una ragazza, Chiara Badano, che ha saputo tenere alta la fiaccola, che ha saputo dire sì quando chiunque avrebbe dato per scontato un no. La lucerna che non giace sotto il moggio ma che illumina l’intera stanza. Il giusto che continuerà a brillare come il sole. Chiara non sarà mai più dimenticata. Vivrà con tutti, per sempre.

(*) M. Magrini “Uno sguardo luminoso: Beata Chiara Badano.” Torino, SanPaolo, 2010; p.159.

 


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