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24/12/2023

La poesia come mezzo di
riappropriazione di sé stessi
di Michele Lacava

 

Se penso agli ultimi due anni vissuti finora, non può non venirmi in mente la poesia. E non perché io sia alla ricerca di una lirica che rappresenti in modo calzante le mie ultime esperienze o un filtro romantico attraverso cui osservarle. Ma perché il legame che mi unisce a questa forma d’arte è di natura vitale. Letteralmente parlando. Infatti, da quando ho riscoperto l’amore per la poesia, la mia vita non può più farne a meno. Questo perché i versi sono diventati per me l’amplificatore ideale da applicare alle mie esperienze più intense sul piano emotivo e sentimentale, la torcia per esplorare i meandri del mio essere, specie quelli più angusti e impervi, la draga per riportare in superficie tutto ciò che i meccanismi inconsci della mia psiche cercano di insabbiare. Quindi, io mi ritengo un convinto sostenitore dell’idea di una poesia usata più come mezzo che come fine.

Il fine sarebbe la vita stessa, che attraverso la poesia acquisisce un senso diverso, più profondo e anche più denso di significati. Ho sempre creduto che quello che viviamo assume davvero importanza solo se reca in sé il potenziale per diventare un ricordo. E i versi, con la loro grande forza evocativa, svolgono un ruolo preminente nell’arredamento della memoria riunendo i frammenti del vissuto in un quadro più ampio e dettagliato dove s’incontrano varie sfumature di quello che siamo stati e che siamo adesso. D’altra parte, il lavoro di un poeta non è poi tanto diverso da quello di un fotografo: così come il secondo usa immagini per esprimere il suo mondo interiore, il primo si avvale di parole per dare forma e concrezione a ciò che vede e ciò che sente. Il risultato è il medesimo: opere capaci di intercettare istanti, emozioni fugaci, vicissitudini che ci segnano, ed immortalarle attraverso immagini che vivono e vivranno per sempre perché ormai stanno lì e appartengono a noi e al mondo. Nella società contemporanea, la concezione di un tenore di vita improntato all’operosità a tutti i costi sta sfuggendo di mano, e trovare tempo da dedicare a noi, agli altri e a tutto ciò che ci circonda diventa sempre più difficile.

Eppure, se si avesse il coraggio di rivendicare questo sacrosanto diritto, ci si accorgerebbe di quanto la nostra quotidianità sia una fantastica fonte di soprese e di bellezza che non meritano affatto di essere trascurate. La poesia può darci un grande aiuto a mettere un freno a questa frenesia. Leggere ed emozionarsi, concedersi il privilegio di farsi attraversare da quella tensione che solo un verso sa generare, oggi, assume il valore di una vera e propria azione di riappropriazione di sé stessi. Un autentico atto di ribellione di notevole portata rivoluzionaria contro un sistema che ci costringe a declinare ogni aspetto della nostra esistenza ai fini della produzione e del consumo. Ma il tempo e la vita stessa, purtroppo, sono beni esauribili, né ripetibili né restituibili. Ed ecco che la poesia può presentarci un’opportunità imperdibile e gratuita per guardarsi intorno ed elaborare il presente attraverso le parole, l’occasione giusta per ricordarsi che siamo al mondo per viverlo appieno e per questo motivo ci meritiamo di raccontarcelo attraverso un linguaggio che sappia esprimere questa grande forza vitale insita in noi.

C’è un film di Paolo Sorrentino uscito qualche anno. Si chiama Youth – La giovinezza, e in una delle sue scene più emblematiche, attraverso un dialogo tra i personaggi interpretati da Harvey Keitel e Michael Caine, ci ricorda come le emozioni siano tutto quello che abbiamo. Perché, se così non fosse, saremmo solo corpi di carne ed ossa, con un’etichetta che riporta la nostra scadenza, nel banco frigo di un mondo gelido e senz’anima.

Michele Lacava
Centro Studi Leone XIII

 

 

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