blog
16/07/2025
![]() |
Il paradigma di Pennella. Note estetiche e morali |
di Pasquale Tucciariello |
La storia del generale Giuseppe Pennella (Rionero 1864 – Firenze 1925), il figlio del Vulture che bloccò, nella Battaglia del Solstizio del 1918, l'offensiva austro-ungarica sul Montello, non fu solo strategia militare o valori patriottici assunti a modello per le battaglie successive.
Da Rionero in Vulture, in giovanissima età frequentò la Scuola militare Nunziatella di Napoli, la Regia Accademia Militare di Modena e successivamente la Scuola di Guerra uscendone col brevetto di Capo di Stato Maggiore. Ragionò intensamente su piani di azione bellica anche attraverso sue pubblicazioni (“Saggi di tattica applicata per i minori reparti delle tre armi” in più volumi pubblicati a Roma tra il 1907 e 1908, “Dodici mesi al comando della Brigata Granatieri”), lezioni, conferenze. Amava le lettere, la musica, e naturalmente la formazione umana, oltre che tecnica, degli uomini che guidava, in funzione bellica per le sue eccezionali doti di stratega militare. Come comandante della brigata Granatieri di Sardegna risultò decisivo nelle battaglie di Oslavia, del Cengio, del Carso, del Montello (qui comandante dell’VIII Corpo d’Armata) e, quattro mesi dopo, tra i protagonisti di Vittorio Veneto. Ma già prima del 4 Novembre aveva liberato interi paesi ed evitato sofferenze ulteriori per quelle popolazioni. Oltre a medaglie e riconoscimenti formali, per il popolo e i suoi soldati era il Generale eroe. Mente ordinata tutto sapeva, tutto prevedeva, tutto guidava: per i suoi soldati era “un padre”, come si racconta ancora oggi nel Trevigiano.
In altri tempi, uomini di tanto onore venivano considerati “Pater Patriae”, Padri della Patria, così come vengono considerati tali Garibaldi, Mazzini, Cavour, Vittorio Emanuele II. In epoca romana il titolo Pater Patriae era stato assegnato a Romolo, Furio Camillo, Cicerone, Cesare, Ottaviano e in epoca rinascimentale, nel 1465, a Cosimo de’ Medici, dalla Repubblica di Firenze. Indipendentemente dal potere che lo assegna, il titolo Padre della Patria è veramente tale quando le popolazioni percepiscono e venerano il personaggio come tale: eroe, modello, paradigma per studio e applicazione, per sacrificio e dedizione, per solidi principi morali, per capacità di leader, per interpretazione di sofferenze-sogni-speranze, per profonda cultura umanistica tecnica artistica. Pater Patriae trascende le etichette imposte dal potere perché il Padre della Patria è il personaggio che viene così percepito dai sentimenti del popolo. Il generale Giuseppe Pennella era salutato dal popolo e dai soldati con applausi e ovazioni. Tutti i paesi e le città del Trevigiano hanno a lui intestato piazze e strade. E cent’anni dopo la sua morte ancora il popolo ne parla con estrema dolcezza, con qualche groppo emotivo in gola, piacevole sofferenza che ti colpisce nel profondo.
Per il generale Pennella il destino mosso dagli uomini fu invece isolamento.
La storia di Pennella si fa paradigma: consente studio dell’animo per la sua conclusione drammatica, indica un modello esemplare di uomo e di soldato in senso lato, offre riflessioni estetiche e morali.
Nei meriti unanimemente considerati e valutati dalla critica storica si eleva più ridondante la bellezza del suo destino, cioè si fa evidente il merito oscurato dal sospetto dell’invidia. Ma quel sospetto conduce più favorevole verso ogni certezza. Fu invidia, fu gelosia.
Quelle popolazioni del Trevigiano, ieri come oggi a cent’anni dalla morte, parlano di Pennella e lo ricordano anche attraverso i racconti che si tramandano di bocca in bocca perché il racconto è fatto proprio così. Il racconto è il linguaggio del popolo; i suoi umori e le sue sensazioni a pelle si declinano in luci, penombre e chiaroscuri; le vicende umane, se non proprio vere come fatti accertati, diventano verosimili e sicuramente più credibili. Il racconto è il respiro del popolo specie quando viene articolato anche con l’uso del dialetto. Il racconto è fascino, è bellezza, è insomma gusto estetico.
Vi è un'amara bellezza nel destino di Pennella. Non errori sul campo di battaglia hanno determinato l’allontanamento e poi l’oblio imposto dal potere, quanto meschini calcoli per risultare più visibili tanta era la luce del personaggio addirittura abbagliante fino a procurare fastidio. Ma la storia non trattiene nulla per se stessa, anzi generosa restituisce con gli interessi ciò che è dovuto per verità di cose. E l’arte si fa corona della verità. Pennella allontanato e messo da parte si è ritirato nella sua casa di Fiesole vicino a Firenze, e si è chiuso.
Sappiamo, qui da noi, cosa significhi quando un uomo – o una donna - si chiude. Morde il suo dolore, non parla e non elabora attraverso altre manifestazioni la sua condizione di esistente, non attacca e non si difende, non reclama legittimazione del sé. Si chiude e basta. E’ l’estetica della virtù silenziosa: subisce l’ingiustizia, resta integro e fedele, si lascia morire. Bellezza della resilienza, della dignità e dell’onore a fronte di avversità immotivate.
Pensiamo spesso che il nemico o semplicemente l’avversario si manifesti dall’altra parte della barricata. E se provassimo ad individuarlo tra le pieghe del potere, ossia nell’uomo che ne gestisce piccole o grandi quantità, nella sua insicurezza che genera gelosia e nell’ambizione che lo corrompe?
Il generale Giuseppe Pennella si è chiuso e si è lasciato morire nella sua casa di Fiesole. Ma l’Italia ha perduto un talento per l’egoismo di grandi personalità che ora, resi nudi da tanta ricerca storica del prof. Morao che restituisce giustizia, ci appaiono piccoli piccoli, persone insignificanti per poter elevarsi agli onori della storia ma piuttosto disonore, svestito di grado, nessuna considerazione verso chi preferisce beni personali immeritati a svantaggio del bene comune, della nazione Italia. L’Italia è stata privata di un bene, è stata derubata.
E’ proprio vero. L’invidia è un tarlo. Essa mina le fondamenta della giustizia e della verità. L’invidia, divenuta superbia, provoca danni immediati e danni futuri. L’invidia produce sfiducia nel popolo quando essa produce danni.
Ma il generale Pennella è vincente, ieri sul Montello nel Trevigiano, oggi indicato modello su piani estetici e su quelli morali: simbolo di lealtà e fedeltà all’Italia, la nozione di primato ideale su quello pragmatico, il silenzio dignitoso che trascende successo personale e persino carriera. Uomo di altri tempi, di personalità superiore. E non è retorica. Piuttosto, inno alla virtù. I destini più favorevoli dei popoli risiedono nella visione per un mondo migliore e più giusto.
La ricerca del prof. Lorenzo Morao, con il suo libro “Le retrovie del Montello nella Grande Guerra”, è un notevole tassello alla ritrovata verità delle cose, anzi la disvela e ne scopre i contenuti reali.
Più volte ci siamo domandati cosa e quali elementi possano avere contribuito a determinare il carattere di un personaggio di tanto valore come Pennella. La risposta possibile sembra andare in una direzione: Giustino Fortunato, faro e luce nel Vulture e nel Sud per la sua vita specchiata. Fortunato fu un faro per le generazioni che incontrò, direttamente od indirettamente. Tanti personaggi di ieri e di oggi ne sono debitori.
Pasquale Tucciariello, Centro Studi Leone XIII – www.tucciariello.it
Ritorna alla sezione BLOG per leggere altri contributi