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21/06/2025
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Israele e Palestina in breve |
di Pasquale Tucciariello |
Due popoli in lotta che non riescono a trovare le ragioni per vivere in pace e in accordo. E la cosiddetta comunità internazionale, che comunità non è, è incapace di imporre soluzioni seppur temporanee dopo averle proposte.
Vediamo di comprenderne le ragioni storiche, disarmando le parole.
Ogni popolo ha diritto ad un suo territorio, come sacra viene considerata ogni proprietà privata. Gli arabi palestinesi oggi non hanno una patria.
Divergenze territoriali e religiose si fanno risalire ad Abramo, padre delle tre grandi religioni: ebraica, islamica e cristiana. Gerusalemme è la città santa per Ebrei, per Musulmani e per Cristiani. Il controllo dei luoghi sacri è esercitato da Israele, che ha vinto le guerre arabo-israeliane dal 1948 ad oggi. Le Nazioni Unite avrebbero dovuto consigliare e imporre su Gerusalemme una propria amministrazione come modello di convivenza. Per risolvere un problema occorre partire dalle sue radici. Anche dalle guerre.
La terra che oggi chiamiamo Palestina era abitata fin dall'antichità sia da ebrei che da palestinesi. Essi hanno radici nel territorio e lo considerano parte integrante della loro identità.
Alla fine del 1800, con la nascita del concetto di sionismo (ne fu padre Theodor Herzl) e del concetto di nazionalismo palestinese, già sotto l’impero ottomano, le comunità ebraiche e arabe comunque convivevano nello stesso territorio, anche in presenza di tensioni. Tra famiglie palestinesi ed ebraiche la storia racconta legami di amicizia e di buon vicinato. La popolazione era prevalentemente araba e con significative presenze cristiane ed ebraiche.
Vero è che gli Ebrei sono stati per lunghi secoli popolo senza territorio. Verso il XIII sec. a.C. e per 430 anni sono ridotti in schiavitù sotto l’Egitto dei faraoni, di Ramses II, poi lasciati liberi con Mosè di ritornare nella terra dei padri, la Palestina. Alcuni storici raccontano di un altro esodo verso l’Egitto ancora tre secoli prima, per calamità naturali. Certo spesso si tratta di racconti biblici. Ma storici ed archeologi, anche per certezze non sempre evidenti, sono soliti considerare tali fatti come storici. Poi, nel 70 d. C. Gerusalemme viene distrutta dai Romani sotto l’imperatore Tito a conclusione della prima guerra giudaica e gli Ebrei si disperdono nel mondo per altri 2mila anni circa.
E’ la teoria del sionismo postulata da Herzl che favorisce il ritorno degli Ebrei in Palestina. Con la fine dell'impero ottomano nel 1917 e con il Mandato Britannico sulla Palestina, prende corpo l'immigrazione, spinta dal movimento sionista ai fini della creazione di uno Stato ebraico. Il fatto favorì tensioni con la popolazione araba palestinese.
Nel 1948, con la fine del Mandato Britannico e la successiva dichiarazione dello Stato di Israele, si scatenò la prima guerra arabo-israeliana, che portò a un massiccio esodo di palestinesi.
Alcune date significative.
1917, Dichiarazione Balfour (il Regno Unito favorisce la creazione di una Casa nazionale ebraica in Palestina).
1936-1939, Grande rivolta araba in Palestina contro il mandato britannico e l'immigrazione ebraica.
1947, Risoluzione 181 dell’Onu, spartizione della Palestina in due Stati, uno arabo e uno ebraico, Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Gli Ebrei accettano, gli arabi rifiutano.
(Il dramma dello sterminio di sei milioni di Ebrei, dal 1941 al 1945 ad opera della Germania di Hitler, la Shoah, tocca cuore e menti dei vincitori come dei vinti della Seconda Guerra. Quello sterminio (sei milioni su un totale ritenuto di nove milioni) era considerato dai tedeschi come la soluzione finale contro gli Ebrei. La Shoa dà il via definitivo alla formazione dello Stato di Israele).
1948, proclamazione dello Stato di Israele.
1948-1949, Guerra arabo-israeliana.
1956, crisi del canale di Suez e seconda guerra arabo-israeliana.
1967, Guerra dei 6 giorni e terza guerra arabo-israeliana. (E’ bene osservare che generalmente Israele ha subìto attacchi e guerre, ad eccezione della Guerra dei 6 Giorni. Israele attaccò per primo, ma un vasto schieramento di truppe, capofila l’Egitto, era ormai ammassato lungo i confini dello Stato Ebraico).
1973, guerra del Kippur e quarta guerra arabo-israeliana.
1978, accordi di Camp David e trattato di pace: l’Egitto riconosce lo Stato di Israele, Israele lascia le terre occupate del Sinai.
1982, Prima guerra del Libano.
1987-1993, Prima Intifada in Cisgiordania e a Gaza.
1994, la Giordania riconosce lo Stato di Israele in cambio di alcuni territori occupati.
2000-2005, Seconda Intifada.
2006, Seconda guerra del Libano tra Israele ed Hezbollah.
2008-2021, conflitti e operazioni militari a Gaza tra Israele e Hamas che nel frattempo aveva vinto le elezioni nella striscia. Hamas è sempre stata considerata da Israele organizzazione terroristica.
6 ottobre 2023, attacco di Hamas a Israele da Gaza. Dopo alcuni giorni Israele entra a Gaza e il resto è ancora cronaca di queste ore.
Ogni popolo ha diritto ad un suo territorio, come sacra viene considerata ogni proprietà privata. Gli Israeliani hanno uno Stato, i Palestinesi sì e no.
Lo Stato di Palestina esiste come entità, riconosciuta da 130 Paesi, ma tra questi non ci sono Italia, Francia, Germania e Regno Unito. I governi italiani mandano aiuti ai Palestinesi, auspicano due popoli due stati, ma l’atto formale di riconoscimento ancora non c’è da parte dell’Italia. Parta anche da Atella, dai Lucani, al pari di altre amministrazioni di comuni e regioni italiani, il pressante invito al Governo di riconoscere lo Stato di Palestina almeno nei territori di Gaza e di Cisgiordania nelle fasce dove l’Autorità Palestinese già esercita un controllo. Certo che non è semplice, perché Israele continua ad espandersi in aree territoriali sempre più vaste. Ma ogni Stato europeo, dico l’Italia, dia segnali forti. La tragedia che vivono Ebrei e Palestinesi, particolarmente dal 6 Ottobre ad oggi, impone scelte precise e coraggiose. La tragica situazione umanitaria non è più tollerabile da un Paese come l’Italia che ha una sua natura specifica in termini di carità e solidarietà per le radici cristiane del nostro popolo e per una Costituzione che le facilita.
I Palestinesi vivono come rifugiati a Gaza, in Giordania, Siria, Libano. Hanno diritto a ritornare nella terra d’origine, che è un territorio comune per Ebrei e per Palestinesi, da sempre, perché da sempre hanno vissuto come vicini in quel territorio che un tempo veniva chiamato Palestina. E nella Cisgiordania si segnalano le terre di Canaan e le città di Betlemme, Hebron, Nablus, Gerico che sono anche la tradizione del popolo ebreo. Perciò definire i confini tra i due stati è faccenda molto complicata per i negoziatori.
Bisogna rimuovere le ragioni del conflitto, occorre tornare alle radici del problema. Saper imporre ad Israele di lasciare Gaza nelle mani delle Nazioni Unite. Il Consiglio Comunale di Atella si riunisca in seduta urgente per proporre al Governo in maniera formale il riconoscimento dello Stato di Palestina.
Tornare alle radici del problema. La filosofia politica può tentare una strada: rimuovere le condizioni della guerra attraverso un riconoscimento reciproco perché esistono davvero ragioni di reciprocità. Ebraismo e Islamismo sono religioni di umanità, solidarietà, amicizia e rispetto. Tali condizioni positive vengono violate ma solo da gruppi radicalizzati. Anche il Vaticano può avvicinare le parti, forse può e deve osare di più.
Segnalo solo uno dei più importanti esperimenti culturali ed artistici. Il maestro pianista, compositore e direttore d’orchestra Daniel Barenboim, argentino (genitori russi di origini ebraiche), ha cittadinanza spagnola, israeliana e palestinese, promuove forme di comprensione reciproca ed esercizio di convivenza attraverso la musica. Ha messo in piedi, nel 1999, un’orchestra nota in tutto il mondo, la West-Eastern Divan Orchestra. Riunisce musicisti Ebrei e Iraniani, Palestinesi, Spagnoli, Turchi come promotore di comprensione, dialogo, coesistenza attraverso la musica. Il suo è un tentativo, molto riuscito da 25 anni, che ha reso possibile la convivenza e il lavoro tra persone i cui popoli sono ostili o in guerra tra loro. Dunque si può.
La filosofia politica, che indaga alle radici delle cose e si volge anche verso i fini ultimi, propone una soluzione: rimuovere gli ostacoli. Primo fra tutti, di considerare come postulato un proprio spazio vitale come condizione di coesistenza.
Abbiamo buona memoria di nozioni di spazio vitale già con la Germania di Hitler, “Lebensraum”, l’idea che la Germania avesse necessità di espandere i confini per la sua crescente popolazione. Ha portato verso l’ideologia razziale, cioè che altri gruppi etnici fossero di razza inferiore. E’ il postulato di Putin che si sentiva accerchiato dall’Europa e dalla Nato, lo è per Netanyahu che si sente minacciato da popoli che non lo riconoscono come popolo e come Stato. I popoli non si sottomettono con la forza. E disarmiamo le parole.
Purtroppo la storia ha cessato di essere maestra perché non ha più buoni allievi.
Purtroppo la filosofia non indica più una strada perché c’è gente che più non ragiona.
Purtroppo la fede e lo spirito sono deboli perché il nulla delle cose di facciata, e con esso danaro e tecnica, sono divenuti nuovi valori che hanno invalidato il significato di umanità.
Personalmente non sono hegeliano, ma storia, filosofia e spirito ritengo possono sottrarci alla disillusione sui tempi della contemporaneità. E papa Leone ci dà una mano.
Riconoscimento comune, coesistenza pacifica e politica come bene non sono utopia ma sogno a portata di mano. E non vedo alternative.
Atella, 21 giugno 2025
Pasquale Tucciariello, Centro Studi Leone XIII – www.tucciariello.it
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