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15/07/2023

Al mio amico prof. Donato Martiello
di Pasquale Tucciariello

 

Il prof. Donato Martiello non è più tra noi. E’ deceduto all’età di 89 anni. Professore di filosofia e pedagogia all’Istituto Magistrale di Rionero. Politico democristiano. I miei interessi culturali e politici sono cominciati con lui: avevo quasi vent’anni.

     Provo a scrivere qualcosa, e non mi sarà facile, per via di rapporti di amicizia e politici molto stretti e molto intensi, pazientemente costruiti e sapientemente sviluppati soprattutto in poco più di un quinquennio, tra il 1969 ed il 1975. Poi, rapporti di amicizia meno intensi (il cemento politico aiuta molto le relazioni in presenza di coerenza tra progettualità ideali e concretezze fattuali) ma amicizia aperta, mai ostilità, raramente discutendo di fatti di politica, più spesso invece di autori, filosofi o letterati principalmente, o di fede. Lo ricordo perciò per quegli anni, e credo nessuno possa dire di averlo potuto conoscere meglio di me.

     Avevo abbandonato gli studi magistrali. Mio padre era in Germania per lavoro, io in giro un po’ sbandato tra Torino, Firenze, il litorale ligure, poi a Francoforte sul Meno da mio padre, anch’io impegnato in lavori diversi.

     Poi la cartolina per il servizio militare, il rientro a Rionero con mio padre, la partenza per Como, soldato.

     Dopo qualche settimana di naia, l’idea di riprendere gli studi. Mia sorella, già diplomata maestra di scuola elementare, mi ha mandato il numero di telefono del prof. Donato Martiello, che insegnava nell’Istituto Magistrale di Rionero. Lo avrei chiamato, gli avrei esposto il mio progetto di riprendere gli studi da privatista, avrei sostenuto gli esami per l’ammissione in quarta. Era il mese di ottobre, era di sera, mi ha subito risposto, non conosceva nulla di me o della mia famiglia, ma ha subito approvato il mio progetto apertamente dichiarando la sua disponibilità a sostenerlo anche a distanza, con lezioni e consigli sia telefonici che epistolari, “in forma gratuita”, mi ha assicurato. E già questo fa di un uomo un grand’uomo, e di un professore un grande professore. E già questo segna il dato fondamentale che caratterizza quell’uomo. Con gli altri non so, ma con me è stato generoso ed instancabile educatore e formatore. Mi ha dato molto, gli ho dato molto. Grazie a lui ho ripreso gli studi, che poi si sarebbero sviluppati dopo il diploma.

     E già frequentando l’ultimo anno, mi sono legato a lui, come professore di riferimento (non era il mio insegnante) e in politica, nella Democrazia Cristiana, che era anche il mio partito (a quel tempo dalla sacrestia di padre Carlo si passava nei gruppi giovanili democristiani).

     Veramente, a Trento, io militare nel 1970, mentre studiavo nelle ore libere (facevo il centralinista di comando – grazie, capitano Lassandro! -, ed ero impegnato solo in orario mattutino – e poi dicono che Dio non c’è -) frequentando una libreria nelle adiacenze di Piazza Dante dove la titolare mi aveva riservato in un angolo un tavolino da studio e un’ampia quantità di libri da consultare, avevo conosciuto gruppi di ragazzi forzanovisti, seguaci di Carlo Donat-Cattin, sinistra democristiana. Con loro si leggeva e si commentava un’enciclica di papa Leone XIII, “Rerum Novarum” del 1891. Divenni forzanovista grazie a Leone XIII e più convintamente democristiano, “né con la destra capitalista e né con la sinistra comunista”, si diceva.

     Tornato a Rionero, vicino al prof. Martiello e alle sue lezioni di pedagogia (i suoi autori più amati erano Pestalozzi e don Milani) e di filosofia (memorabili le sue lezioni su Marx, Bergson, Jaspers, Maritain!), c’era vita democristiana. Donato era basista io forzanovista, entrambe sinistra democristiana. Ubi maior, minor cessat. Mah, una locuzione latina per molto tempo ritenuta concreta utile necessaria, ma non di efficacia culturale e scientifica. Primo, perché metti tra parentesi te stesso e rischi la tua identità anzi spesso la perdi; secondo, perché non è detto che chi ha maggiore autorità od autorevolezza assecondi verità o certezze assolute.

     Sia come sia divenni basista, al seguito del prof. Martiello e del sen. Decio Scardaccione. Molto spesso di sabato o di domenica con Donato, nella sua 127 verde chiaro, si andava a Sant’Arcangelo, a casa del sen. Scardaccione – zio Decio – e lì, io presente, parlavano fittamente delle strategie politiche, dei rapporti con i “colombiani”, in vista delle elezioni regionali del 1975 alle quali il prof. Martiello sarebbe stato candidato. Ma io non lo sapevo. L’ho appeso lì. Donato non mi aveva mai parlato di una sua possibile candidatura alle regionali. E quando, al ritorno, gli ho chiesto i motivi per i quali mi aveva tenuto all’oscuro dei suoi progetti politici, caro amico/amica che seguiti a leggermi, sai cosa mi ha risposto? Più o meno così: ti devi anzitutto diplomare, poi c’è il concorso magistrale che devi fare e verrà bandito nel 1973, intanto ti iscrivi all’università, magari vai a Bari, ti prendi la laurea e poi io e te ragioneremo alla pari di politica. Mi disse più o meno così.

     Ma in auto, mica si stava in silenzio! Di pomeriggio, o di domenica, si andava in giro nei paesi.
In macchina?

     Si parlava di filosofia, di pedagogia, di letteratura italiana (amava Manzoni, Monti, Verga, Pirandello). Mi faceva lezioni in macchina, guidava e parlava. Non di politica, alla quale io ero maggiormente interessato. Mi parlava di autori e di correnti filosofiche e letterarie. Mi sono serviti per la maturità magistrale, mi sono serviti per il concorso da maestro che ho subito vinto e non finirò mai di essergli riconoscente, mi ha dato gusto per lo studio e per l’analisi del testo scritto. Ma in politica non mi ha aiutato a divenire scaltro, attento alle furbizie ed agli sgambetti, o a sapermi rialzare da eventuali inciampi, o a saper fiutare eventi e conoscerli in anticipo. Non mi ha parlato di programmi e programmazione del territorio, dei piani di sviluppo zonale e regionale, di alleanze politiche e di strategie e di negoziazione di posizioni politiche. E sì che conosceva assai bene i territori, e come articolare strategie, e come svincolarsi da situazioni politiche incerte o insidiose, e battersi invece con vigore e con la sua voce squillante che articolava sapientemente in argomentazioni ed efficaci metafore ad effetto, in sezione o nei comizi di piazza (lo cercavano tutti, in tutti i comuni). Con lui, nella sua macchina, siamo andati insieme forse in tutti i comuni della provincia. Anzitutto a Potenza al centro studi Nicola Pistelli su Gradinata IV Novembre. Forse siamo stati in tutti i comuni, Noepoli Gallicchio Missanello Senise Francavilla, nei comuni del Melandro e del Potentino, la Val d’Agri a tappeto, e nei comuni del Vulture, Melfese, Alto Bradano. Quante volte ad Acerenza, Oppido, Cancellara, Pietragalla. Su quelle strade strette, fondo incerto, spesso su scorciatoie. E si rientrava a sera inoltrata e in macchina, la sua bottiglia d’acqua, qualche mela, qualche panino. Retorica? Assolutamente no. “Allora Pasquale, dove siamo arrivati? Sì sì, Bergson, il tempo della scienza e il tempo della coscienza, concentrati”. Dopo i comizi che teneva dialogando, ma anche urlando, anche strappando applausi comunicando coraggio per infondere forza anzi passione e determinazione che sono condizioni propedeutiche per la vittoria, cosa faceva, il professore Martiello? Seguitava a fare il professore, l’educatore, il formatore.

     Dai i suoi comizi, dalle assemblee di sezione, o da incontri di pochi amici strettissimi (zio Iuccio Calice, Donato Nardozza, lui ed io), apprendevo qualcosa di Dc.

     Ecco cosa mi manca. La formazione politica. Solo formazione culturale, che non è poco. Forse, pensava, la formazione politica dopo la laurea.

     Mi ha dato tanto, gli ho dato tanto.
°°°

(…)

Pasquale Tucciariello



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