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19/08/2021

CONVEGNO RUVO DEL MONTE
“ARTE E DISABILITA’”
OLTRE LE BARRIERE, IL RISCATTO DELLA BELLEZZA.
L’ARTE COME AMPIORAGGIO NELLA "STANZA NUOVA" DI UN ORIZZONTE SEMPRE MOBILE E SORPRENDENTE

 

La mia vuole essere una semplice lettura trasversale e credo anche generale, cassa di risonanza di molte altre simili letture: un puntare al tema delle origini ma anche a quello degli effetti della comunicazione artistica fautrice della Bellezza, nonché a tutta la valenza di una tale comunicazione che ha come oggetto la materia artistica, prescindendo, com’è giusto che sia – attenzione - dall’ontologia, quindi dal valore o dall’identikit personale dell’artista/fautore/creatore, prendendo ad esame esattamente il suo compito di puro emittente della comunicazione (sia essa pittura, scultura, musica, arte scritta) non tralasciando infine il compito altrettanto fondamentale che è quello del pubblico, ovverosia il destinatario della comunicazione artistica. Sgombrato dunque il campo da qualsiasi equivoco che metta al centro non il celebratore (ossia l’artista) ma l’oggetto celebrato (la materia artistica, il craft) siamo pronti non solo a parlare oggettivamente di comunicazione artistica ma indirettamente siamo pronti ad equiparare, a mettere sullo stesso piano, ogni artista a prescindere -e questo è il punto- dalle sue diverse abilità o presunte disabilità.

I Girasoli di Van Gogh

Prescindere quindi dall’identità valoriale dell’artista (che ovviamente pure ammettiamo) e valorizzare solo ed esclusivamente l’essenza ultima dell’arte che è ovviamente la BELLEZZA, è un dovere scientifico: è il dovere scientifico, direi, di qualsiasi operatore culturale ma anche di qualsiasi ammiratore dell’arte tout-court. Questo perché molto semplicemente, come credo sia giusto fare, il posto d’onore vada dato al contenuto del messaggio che passa da emittente a destinatario, ovvero all’opera artistica così com’è e così come si presenta.

E’ di questa che maggiormente dobbiamo parlare ed è questa che dobbiamo celebrare.

Lo facciamo appunto per dovere ontologico. Stiamo analizzando la Bellezza come carattere e quindi è doveroso prescindere da ogni altra caratterizzazione di natura oggettiva, o peggio, soggettiva e soggettivante.
Lo facciamo provocatoriamente? Forse sì. Mettere al centro solo l’Arte e il suo messaggio che è appunto la Bellezza significa dire molto semplicemente che tutti gli artisti sono uguali, mentre ogni arte - e solo ogni arte - è diversa. Da questa semplice e forse solo apparentemente scontata osservazione di rilievo, nasce un duplice sentimento di rispetto che ovviamente va sia al prodotto artistico che all’artista che lo crea, rispetto indiretto ma altrettanto preciso.

E se partiamo dall’assunto che quando si parla di disabilità si pensa classicamente (anche se forse ciò accadeva più nel passato) a tutta una serie di catalogazioni (il disabile come infausto castigo degli dei, come giullare di corte medievale, l’incurabile nell’800 e l’indesiderato dei lager) o anche a tutta una serie di restrizioni delle abilità quotidiane di una persona o, ancora, ad uno svantaggio oggettivo in quelle che sono le interazioni normali con l’ambiente sociale, possiamo per contro definire in una sola parola quella che chiameremmo disabilità artistica come una serie di abilità inedite ma non peculiarmente legate ad una categorizzazione sociale, culturale o medico-diagnostica.
L’abilità è abilità a prescindere e questo maggiormente e - direi democraticamente - nell’arte e nell’arte legata al discorso delle persone con diversa abilità.

L’abilità, a maggior ragione se diversa e diversificata, fa scaturire la Bellezza. Nella “disabilità artistica” che non è ovviamente un disvalore ma una differente abilità, noi scorgiamo i semi della possibilità di una Bellezza inedita e proprio per questo maggiormente eclatante. Ma, attenzione, questa stessa possibilità la si può scorgere in una maniera identica e con la stessa identica forza e prospettiva nella cosiddetta normodotazione artistica. Questo, sembrerà scontato ma è sempre utile dirlo, è vera uguaglianza.

Tutto sta - e questo è il tratto distintivo e solo apparentemente banale- nella volontà di sfruttare di volta in volta sia le abilità che le disabilità.
Essere tutti sullo stesso piano è la vera conquista.
E da lì partire con le capacità peculiari, ogni artista incontro all’arte col suo specifico messaggio.

Per questo davvero non c’è nulla di più democratico dell’arte e tutte le mostre e gli eventi artistici, sia come punto di partenza (cioè l’artista) sia come punto di incontro (cioè il pubblico) ce lo dimostrano ampliamente.

Un "Modì" (Amedeo Modigliani)

Se partissimo da due tematiche uguali ed afferenti e riuscissimo con un ragionamento matematico insiemistico di tipo cartesiano a parlare di due campi di ragionamento simili e in un certo qual modo congruenti ed intersecanti, visualizzeremmo da un lato l’idea trasversale che gravita sulla VALENZA DELL’ARTE (l’arte è la misura oggettiva entro cui l’umano esce dal suo vivere quotidiano e proietta i sogni e la forza propulsiva del super-io) dall’altro l’idea trasversale e in realtà necessariamente semplificata di cosa sia L’UOMO IN RELAZIONE ALLE SUE COSIDDETTE ABILITA’ E DISABILITA’ (l’uomo è essere relativamente capace o incapace -e quindi abile o inabile- di azioni peculiari rispetto alla sua gamma di competenze, esperienze, età, educazione maturate in condizioni geografiche e socioeconomiche diverse). Ebbene, se intersecassimo l’insiemistica delle due definizioni, cosa verrebbe fuori? Semplicemente che NON ESISTE CAPACITA’ UNICA E UNIFICANTE IN CUI INCANALARE LA VALENZA DELL’ARTE.

Altrimenti detto: le capacità umane sono tutte relative, anche nell’arte e forse soprattutto in essa. In altre parole ancora, l’arte risplende delle più diverse abilità e disabilità perché i concetti di abilità e disabilità e soprattutto il concetto stesso di cosa sia e cosa non sia l’arte, è valore molto ma molto relativo. E, ciò che paradossalmente poteva apparire “inabile” o “non autorizzato” dai canoni artistici di un tempo, oggi è canone stesso, capolavoro.

Un esempio per tutti: “l’inaccettabile lirismo coloristico” di Van Gogh, disvalore e distorsione artistica a suo tempo, metro e riferimento assoluto di ogni modernità oggi. E tra i cosiddetti normodotati, un Modigliani, un Picasso, ieri scandalo oggi riferimento.

Perché ragionare su tutto questo? Sull’arte come categoria prescindendo quanto più possibile dalla “personalità coloristico-biografica” dell’artista? Perché l’arte non si cura, anzi direi con una certa incisività, se ne infischia - quando è autentica - del proprio autore e delle sua provenienze, delle cosiddette abilità e disabilità…detto altrimenti se ne infischia addirittura dei suoi stessi canoni ovvero del senso e delle misure che essa stessa si era data nel progresso di qualche decennio o quinquennio o addirittura di qualche anno o mese prima … detto ancora diversamente? nella sua irregolarità poetica, l’arte, non avendo un paradigma fisso, non ha nemmeno un dove, né un “nome” più importante dell’oggetto artistico che essa stessa crea … l’arte smette in qualunque parallelo geografico, temporale, autoriale, di anteporre la firma alla creazione.

Gustave è la Torre e la Torre è Gustave

La TOUR EIFFEL diventa personificazione anagrafica del suo autore, laddove poco importa sapere se Gustave sia nato effettivamente a Parigi o a Digione, quando sia nato o se sia passato alla storia per altre opere ingegneristiche più o meno importanti … Gustave è la Torre e la Torre è Gustave, alla stessa maniera di come rivoluzione sono quei “Girasoli” che chiamiamo comunemente “un Van Gogh” pur non conoscendo perfettamente le fattezze del suo autore (se non fosse tra l’altro per il suo famoso autoritratto).

Capiamo bene a questo punto almeno due cose. La prima: è importante e direi necessario non rimanere ancorati, quando si tenta di spiegare l’arte, al solo e riduttivo tema della catarsi, della cura, dell’arteterapia o della salvezza o anche solo dell’ambito socioeducativo, poiché, specie quando si parla della cosiddetta “disabilità artistica”, questi concetti restano abbastanza riduttivi e limitanti. La seconda: cerchiamo sempre di capire che ogni processo artistico non è mai un atto solipsistico, narcisistico e fine a se stesso ma è sempre, sempre un atto comunicativo di tipo affiliativo e corale: laddove finisce l’opera in quanto creata, subito inizia la creazione in quanto letta, interpretatae qui si insinuano - direi con un certo fascino- tutte le teorie della filosofia del linguaggio e della fruizione comunicativa che, a partire da Jacobson finendo per Barthes, fanno anche - e soprattutto - del prodotto artistico un atto comunicativo imprescindibile dal protagonismo di almeno due soggetti, ovvero l’emittente e ancor più il destinatario.

E’ vero quindi che specialmente nel caso della disabilità artistica, l’arte nasce come catarsi, ma è ancor più vero che la catarsi non si completa se non con l’appropriazione finale da parte del ricevente, ovvero del pubblico, del destinatario.

Ed è desiderio universale di ogni artista essere compreso, quindi incluso, “digerito” metaforicamente parlando. E questo vale ancor più se un artista viene all’inizio incontrovertibilmente ma anche – ripeto – erroneamente, classificato come diverso dal cosiddetto normodotato.

Per quale motivo l’arte, di qualunque origine e provenienza essa sia, per essere capita e completata ha bisogno di affiliazione ed inclusione e quindi ha bisogno dell’abbraccio imprescindibile del destinatario? Non di certo per un atto di ammissione forzata alla società e alla cultura, lo abbiamo detto. L’Arte acquista il suo status massimo e la sua massima valenza, nella misura in cui essa è candidata ad essere e diventare segno compreso, universale, unificante, simbolico e trasversale. E la disabilità artistica fa di questa comprensione universale, simbolica e trasversale, un tassello in più nella gamma delle comunicazioni artisticamente possibili: la sua ambizione massima, in questo senso, è quella di non essere considerata né tassello privilegiato, né tassello eccentricamente diverso, bensì atto semplicemente unico tra gli unici … un contrasto armonico tra i contrasti, una cromia tra le cromie, così come appare la gamma delle sfumature di una palette o delle iridi di un arcobaleno.

Le "Muse Inquietanti" di De Chirico

Voci che si accostano, stimoli divergenti, convergenze parallele, mutua inclusione e, perché no, anche esclusione, a ragione di una scelta a volte semplicemente estetico - preferenziale: questo il sogno di ogni artista, sia esso abile o diversamente tale. E questo perché le disabilità o le diverse abilità non sono solo quelle che si percepiscono ad occhio nudo, ovvero quelle medicalmente diagnosticate: se per un attimo abbattessimo le barriere architettoniche di tipo mentale, scopriremmo – una volta abbattuto l’ultimo stereotipo degli imbarazzi, del senso di colpa e del pietismo che spesso ci tenta nel rapporto quotidiano medio con chi è “diverso” – che siamo tutti diversamente abili o se vogliamo disabili in qualcosa, perché tutti abbiamo fragilità nascoste che invece  potrebbero diventare un potenziale artistico. E specialmente in questo tempo di Resilienza che ci accomuna tutti in termini di precarietà e di vulnerabilità, siamo tutti nudi, tutti messi alla prova e perciò stesso votati perennemente alla ricerca di nuovi equilibri possibili che possono diventare arte o altrimenti detto “via maestra risolutiva e scannerizzante del mondo in maniera sublime” e privilegiata.
Ecco perché l’arte normalizza e democraticizza ogni artista, ecco perché l’arte semplicizza e rende paradigmatico il mondo: essa toglie dallo stereotipo dell’artista e dell’arte stessa quel “surplus” inservibile e impolverato, dando forma primaria ai possibili significati del mondo ed in particolare facendo dell’artista e dell’arte diversamente abile una delle tante forme sorprendenti in cui incanalare la definizione del mondo.

L’arte “diversamente abile” perciò non pretende di essere provocazione e rivoluzione fine a se’ stessa … essa non esiste per creare autorità o autoreferenzialità: semmai è semplice tentativo di strada nuova, in mezzo a tanti altri tentativi, di nuovi linguaggi possibili. Essa è, nel suo non-limite, una semplice, eppure sorprendente “sfumatura in più”, una prospettiva di originalità indiscutibile e nuova, come nuove ce ne sono state, ce ne sono e ce ne saranno.

Picasso e la sua Dora (Maar)

Il punto è capire che non siamo più di fronte allo straordinario, ma alla quotidiana straordinarietà dell’arte che si riempie di una sfumatura e di una voce in più.

Infatti cosa sarebbe oggi il mondo artistico senza un Emile Toulouse-Lautrec, una Frida Khalo, un Michel Petrucciani? Sono stati, i loro, tutti contesti artistici in cui si è superato lo stato di disabilità come evento funesto e limitante, lo si è azzerato fino alla consegna del diamante stesso, purificato e sublimato, che è il prodotto artistico finale: tant’è vero che noi ricordiamo di questi artisti innanzitutto la radiosa bellezza delle loro opere e solo dopo la loro sfortunata quotidianità.
L’arte come mezzo democraticissimo è forse l’unico canale capace di riportare l’uomo alla Bellezza ideale di se’ stesso, al di là del proprio limite contingente.

Nel suo stato di perfetta immanenza, l’Arte sublima, in un “qui e ora” infiniti (quasi come in uno spicchio di Paradiso) tutta l’umanità, ovvero chiunque si accosti ad essa, sia come emittente (il creatore) sia come destinatario (il pubblico, l’osservatore) sia esso abile, diversamente abile, abbiente o meno abbiente, ateo o credente, acculturato o meno tale.

L’ Arte ci democraticizza e ci sublima perché lo stato emotivo che caratterizza e precede la dinamica ispirativa e fattuale è sempre lo stesso: anzi, sublimazione è sia la fattualità, la creazione dell’oggetto artistico, sia la sua ricezione, la sua osservazione. Va da se’ dunque che sono proprio questi due processi “ante operam” e “post operam” ad accomunare e rendere possibile quel punto di incontro fatidico tra emittente e destinatario e quindi anche tra le diverse abilità e disabilità che individuano il mezzo artistico come materia universale di comunicazione tra tutti gli esseri umani. Sia essa pittura, scultura, cinema, arte testuale, l’opera ci ricorda le infinite possibilità non solo di uguaglianza sociale, ma anche di sviluppo di quella interiorità e noblesse dello spirito e del cuore che esistono al di là di apparenze formalmente limitanti.

Ogni tentativo autentico di arte assolve perciò all’oneroso ed immane compito di elevazione dell’emittente e del destinatario al fine di SUBLIMARE il mondo ANCHE MOSTRANDO A VOLTE CIO’ CHE IL MONDO FINGE DI NON VEDERE O NEGA CHE ESISTA O NON SI SFORZA DI COMPRENDERE, DI CAPIRE, DI ACCOGLIERE.

Dunque, superando ampliamente il punto zero della teoria salvifica dell’arte, quello che ci è chiesto di innescare quando si parla di “arte dell’inclusione” è nient’altro se non un percorso qualitativo di conoscenza, una coscienza, direi, di tipo superiore che, proprio perché mette al centro l’unica possibilità di protagonismo attivo che è il prodotto artistico e non l’artista, azzera immediatamente ogni responsabilità autoriale, affrancandola così com’è da sospetti di abilità, disabilità, normodotazione o anche pluridotazione … tutto questo per il progresso e per l’accrescimento del senso critico fruitivo dell’arte e quindi nella prospettiva di un arricchimento intellettuale e artistico di tutto il nostro sistema sociale.

L’arte è il cosiddetto ampio raggio: un concetto così fluido, armonico, sinergico e visionario che non ammette disuguaglianze, ne’ in partenza né all’arrivo … la sola differenza ammissibile è quella tra i prodotti che svelano sì le diverse intimità di partenza, ma come a ritroso, su un gioco di specchi e di falsi piani che tutto fluidifica, tutto ricompone e tutto valorizza … questo perché, da qualunque parte provenga la forza propulsiva della sua ispirazione, indipendentemente dalle diverse abilità o disabilità, l’arte ha il fine di arricchire e sublimare il mondo con il gesto ultimo di riscattarne appunto la Bellezza.

Sentiamoci tutti, creatori e fruitori, come spinti in una stanza nuova a sbirciare da una serratura un orizzonte mai visto che ontologicamente è sempre spostato e stagliato un po' più in là e reso sempre un po' più fascinoso ed irraggiungibile a mano a mano che gli obbiettivi e i canoni artistici cambiano, si affinano o si specificano nel tempo. L’”orizzonte” è una sfida di evoluzione e di conquista sempre mobile e sempre nuova che fa dell’arte una delle più grandi avventure inclusive della nostra vita.

Angela De Nicola
Centro Studi Leone XIII, Rionero

 


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