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19/08/2021

Le buone notizie quando arrivano, volano alto: Dino Frambati e il bello della cronaca

 

Ti può capitare anche questo nella vita: una bella persona la riconosci anche solo da una telefonata. Un’altra piccola verità che si dispiega, subito. Su Dino Frambati non ho avuto alcun dubbio. Sono bastate le prime parole di un’unica lunga e bella telefonata a rivelarmi chi avessi davanti, seppur virtualmente. Spesso si ha bisogno di guardare qualcuno negli occhi per intuirne bellezza d’animo e caratura e - ancora più spesso - la levatura di spirito te la dà un solo, unico, piccolo gesto. Ma questa telefonata “commissionatami” dagli amici del Blog “Genova 2000” per parlare dell’ultimo libro di uno dei giornalisti-simbolo della carta stampata ligure e non solo, sebbene nei limiti di un contatto telefonico classico (evitando una videochiamata ci si concentra forse anche meglio su ciò che la nuda voce riesce a comunicare attraverso le sue sfumature di colore) si è presto rivelata un incontro umano, motivante, una chiacchierata ricca di scorci colorati di vita e di cifre interpretative dell’essere che conserverò a lungo tra i ricordi più incisivi e belli di questo mio amore per la scrittura che incrocia volti e storie per capire di più chi siamo.

In quella che è la filosofia di vita di Dino Frambati ultimamente mi ci ritrovo senza indugio. “When you find your limit, get over it”, dicono gli inglesi. Certo non andrò forse a mille come sopra un idrovolante, ma sento di dovermi proiettare anch’io su una scia di “volo”. E se ancora ce ne fosse bisogno, la vita di Dino Stefano Frambati me ne ha dato conferma. Perché vivere non è nient’altro che prendere una lezione di volo, unica, lunga, in assoluto planare, il più possibile verso orizzonti vasti e privi di nuvole, o meglio, con le nuvole da attraversare così, più o meno da indenni.

Ex imprenditore di successo, designer e progettista di arredamenti per la centenaria azienda familiare, giornalista di lunga data e pilota per passione, viaggiatore e scrittore dell’aria nell’aria e per l’aria sulla carta, dalle collaborazioni con Repubblica e Famiglia Cristiana, passando da Il Piccolo di Alessandria all’ Eco di Bergamo a Il Caffè di Lugano, fino al Gazzettino Sampierdanese, Telegenova e Telecity, Radio Lanterna, Radio Genova 3000, Antenna Blu, Radio 103, addetto stampa per l’Aeroclub di Genova e responsabile per le comunicazioni di Unicef Liguria (sono solo alcune delle tappe più importanti della sua carriera giornalistica) in una vita dove la passione si è unita al rigore lavorativo e dove il senso estetico e immaginativo ha fatto leva sull’amore per la razionalità del produrre e produrre bene, Dino Frambati, classe 1948, è una di quelle persone che la vita non ha stancato e che, non stanca della vita, ti mostra subito quella forte e chiara curiosità per l’esistere coinvolgente tanto quanto quella di un ragazzo di appena vent’anni. Un tono di voce energico, squillante, che ho riconosciuto presto come quelli tra i più noti del GR Radio Vaticana, mi proietta subito, in una generosa conversazione durata più di un’ora, un arcobaleno di idee in fieri man mano che il dialogo avanza: e si passa con disinvoltura dall’ultima fatica letteraria, l’Ebook “Io volo” (2020,Termanini, Genova) al punto di vista sulla Pandemia, agli aneddoti di gioventù (il liceo da quei Gesuiti che, con ardore quasi profetico su quella che sarebbe stata la svolta della sua carriera giornalistica, amava intervistare) accennando anche alla musica, alla complessa realtà del capoluogo ligure, passando per la politica nazionale, o per l’amico e mentore Indro Montanelli che tanto ha segnato la sua strada e il suo modo di operare come cronista, il passaggio e l’ultratrentennale collaborazione in Avvenire che ha meritato una targa-riconoscimento come collaboratore veterano (il G8, Donato Bilancia, il suicidio della Contessa Vacca Augusta a Portofino, il sequestro dell’Achille Lauro, sono solo alcuni degli argomenti trattati con successo da Frambati per il giornale dei cattolici italiani) e la stessa Lucania che quest’estate non mancherà di visitare avendo sposato – il mondo è veramente piccolo - una potentina di origine. E pur parlandomi in un momento personale molto difficile (recente è la perdita della suocera e di suo fratello, lutti piombati improvvisamente a dare una spinta verso riflessioni altre sulla vita) in realtà il senso di quell’alto che si rivela salvifico, Frambati sembra non averlo mai perso: la vita è fatta di piccole e belle cose tutte da riconoscere ed assaporare” afferma “e vivere è anche aver voglia di viaggiare, magari gustando il mondo dall’alto di un bimotore, avere buon gusto per il vestire, avere voglia di scrivere, senza dimenticare di confermare quotidianamente l’intento di voler stare con le persone che più amiamo.”

E come gioco di volo, la vita va calibrata su ali leggere di deltaplano e in questo gioco di parole che è il giornalismo quasi come “ut pictura poesis” della vita, in tutti questi anni la sfida di Frambati è stata, così come mi sembra, proprio quella del non lasciarsi appesantire da anni ed anni di cronaca nera redatti per Il Giornale di Montanelli, laddove un esordio casuale proprio nell’epoca degli anni di piombo avrebbe finito a lungo andare col fare del cronista un assuefatto ai colori della cronaca da condanna, colori che invece sono sempre riemersi profondamente chiari e belli, autoeducato com’era - da inguaribile giornalista ottimista - a non vedere sempre e solo il “nero” della vita.

Dopo anni di Scoop confezionati anche grazie ai tanti contatti che da imprenditore ogni volta intessevo, lavorando di taccuini e telefoni a gettoni, posso dire che non solo oggi il giornalismo ne ha macinata di strada, ma anche che il colore della vita e delle sue cronache non può e non deve essere né tutto bianco e né tutto nero. La gente ha imparato dal giornalismo, complici senza dubbio gli stessi cronisti, ad osservare della vita solo i colori estremi, cosicché la vera notizia o è estremamente buona da fare notizia o è estremamente brutta da farla altrettanto … vie di mezzo non ce ne sono più o forse, a ben guardare, non ce ne sono mai state … e si finisce così per dimenticare erroneamente quale vasta gamma di splendidi colori nasconde la notizia di ogni giorno, quella goccia nel mare delle informazioni quotidiane che di per sé ‘non fa notizia’ ma che di fatto costituisce il bel mare nostrum del mondo . Le notizie esistono sempre: è l’occhio, la mente e forse anche il cuore del giornalista a costituirle come tali. Perché non è sempre e solo l’ora della nera” incalza Frambati “E, come nella vita è bello andarsene un po' a cercare quelle casualità di incontri fatti da tante belle persone che ci formano e ci indicano in qualche modo delle ‘direzioni’, allo stesso modo vale la pena di dare voce e spazio a quelle notizie dai colori magari più tenui ma certamente incoraggianti, di cui l’essere umano ha, a ben vedere, diritto di cibarsi come valido carburante del suo esistere. Mi viene in mente Montanelli: senso delle persone, quindi senso della notizia; curiosità per ogni persona, quindi curiosità per ogni notizia; umiltà per la persona, quindi umiltà per la notizia. Erano le tre regole del suo giornalismo che da sempre ho cercato di fare mie con altrettanta umiltà e con quella voglia di guardarmi sempre intorno che mai deve mancare perché anche quando la notizia non c’è, in realtà … c’è sempre.”

Ed è per questo che “Io volo” così come “Quando la notizia è buona” (2019, Termanini, Genova) sembrano due lavori indissolubilmente legati: Poiché il mondo dell’aeronautica mi ha dato la capacità di guardare la notizia come dall’alto e quindi molto probabilmente con una prospettiva diversa rispetto al normale, ho imparato quella che del giornalismo è sfumatura inattesa: la notizia sedimenta anzitutto nel tuo modo di guardare e di ‘farti occhio e mente’ … la notizia prima di ogni cosa vive in te … sei tu per primo a sceglierla e quasi a plasmarla. ‘Ogni mattina prendo l’autobus per recarmi a lavoro: non fa notizia. Il Bus tampona: ecco la notizia; e salta all’occhio di tutti perché cattiva notizia. Eppure, ogni giorno il bus passa puntuale, non ha mai arrecato disagi sull’orario. A farci caso, di questa notizia non ne ha mai parlato nessuno’. In ‘Quando la notizia è buona’ ho ritenuto necessario parlare un po' a me stesso e un pò agli altri di tutto ciò che, scontato, non fa notizia eppure fa funzionare e dà colore al mondo: volontariato, ecologia, la guarigione da una malattia, la donna ecuadoriana scappata dalla prostituzione e diventata imprenditrice nel settore alimentare tanto da dare lavoro ad altre persone. Perché la maggioranza della gente infondo si è sempre comportata bene, eppure tutto questo è stato sempre erroneamente tralasciato … oggi più che mai, in una società fragile e ancora più martoriata nelle sue contraddizioni dopo lo scoppio della Pandemia, occorre educarsi al fatto positivo che poi è il Bello sepolto in ciascuno di noi. Questo ho imparato vivendo e scrivendo, volando e viaggiando, ricordando con affetto chi amo e che ora non c’è più: la vita è orribile e meravigliosa insieme e mai il bene prevarrà oggettivamente sul male né viceversa. Un fatto però è certo: è nostro dovere autoeducativo e poi educativo nei confronti degli altri, far in modo che il bene sia reso il più possibilmente visibile.”

E la Pandemia appunto, la Pandemia. Ci vuole coraggio un po' per tutti a voler guardare il buono e il bello in tutto questo orrore.  Posso risponderle a tal proposito con un altro mio lavoro scritto di getto, quasi come ad usare parole e spiegazioni che potessero fungermi da ancoraggio salvifico nella fase del primo Lockdown: si intitola ‘Il Virus e il Direttore’, sempre con il mio amico curatore Stefano Termanini di Genova, dove in novanta pagine scritte con stile emozionale, da presa diretta, vivo da un lato come essere umano la paura del momento, mentre dall’altro, come giornalista, resto di fatto costretto a raccontare cosa mai stesse accadendo in quel tragico Marzo 2020 e con un unico interlocutore, un Pc muto dentro il mio studio, io, abituato ai miei numerosissimi contatti (tanto che a volte le notizie mi arrivano da sole sulla scrivania senza bisogno che le rincorra) mi ritrovavo in quel momento senza parole a chiedermi che cosa mai stessimo vivendo ed affrontando come italiani prima di tutto e come umani poi. Erano i giorni in cui in tutta fretta rientravo di corsa a Genova da Roma da dove mi trovavo per ragioni di lavoro ad un isolato dall’albergo Palatino dove i due cinesi avevano soggiornato … ma il mio mestiere mi chiamava a non tacere, eppure -e questo è il punto- nemmeno ad allarmare. Ebbene: in un momento storico come questo cosa diventa la parola? Magari strumento non strumentalizzante. Da lì, l’idea di non speculare sulle vendite del libro che abbiamo pensato in quel particolare momento con Termanini di far uscire gratuitamente al fine di raccogliere, per chi lo volesse, un contributo veramente strategico per l’Ospedale Galliera di Genova.”

In mezzo alla più disperata delle notizie, quando la parola non basta, la parola stessa può trasformarsi in fatto concreto e, meglio, in fatto buono, perché - quasi come a planare leggeri sull’irreparabile - ritorni possibile un piccolo volo, il volo di una piccola e bella speranza che ci lasci ripartire in mezzo al caos, rendendoci umanamente credibili e quindi umanamente possibili. E così, anche davanti all’ancora notevole ed inclassificabile, anche davanti allo “sconosciuto” di una Pandemia, anche di fronte ad una notizia infinitamente cattiva e ancora non del tutto ascrivibile in campo medico-scientifico, anche di fronte a quell’indecente spettacolo dato dal nostro parlare politichese dai più o meno politici e da noi italiani, popolo eternamente delegante, una parola che vola e atterra sul concreto del bene può fare esperienza e coltivare speranza a partire dalla “base” che è quasi sempre prima di tutto un fare e poi un dire sul fare: anche poco, ma fare. Non ne faccio una questione di colore, ma la mia disistima nei confronti dell’attuale classe dirigente politica e non di questo paese, mi porta a pensare ancora una volta che c’è più esperienza e capacità in un camionista che in un laureato in poltrona e questo può scriverlo a chiare lettere. Si legifera su cose che non si conoscono nemmeno e probabilmente siamo a bordo di un transatlantico guidato da chi ha poco meno che un’esperienza di guida da gommone. Abbiamo un costo della vita tra i più alti d’Europa e siamo quasi fanalino di coda per quanto riguarda gli stipendi: evidentemente qualcosa non torna. Forse in Italia c’è davvero quella paura di volare in alto che i veri piloti di un buon aereo dovrebbero saper affrontare per superare.”

Per staccarsi dalle visioni “terra terra” aggiungerei, dott. Frambati.
Per capire che non è il solo stare con i piedi ancorati ad un terreno - magari anche cretoso e sabbioso - che ci si salva, o meglio, che si salva il salvabile, ma è solo staccandosi dalla comfort zone del “suolo” che si può forse prendere coscienza del fatto che i piloti di quella complessa macchina che è la società, e quindi la vita, siamo noi e non certo quella ipotetica e fin troppo fantasiosa “provvidenza all’italiana” , delegante e più o meno inesistente: forza di gravità, velivolo ed istruttore di volo siamo noi , una società stratificata da complesse regole e dinamiche di ascesa e salita del nostro esistere. L’ordine mentale dell’aerodinamica dovrebbe essere la bussola e il pilota stesso dei nostri giorni e questo in ciascun settore delle responsabilità umane. La vita, come lungo volo e planare è fascino e paura, è impatto ma anche calibratura estrema, continua. Vivere davvero non è sempre stare ancorati, piedi per terra a “volare basso”, ma rischiare, puntare sempre in alto, sebbene con la razionalità del bravo pilota, delicato eppure presente a se’ stesso: forte, deciso ma amante del suo compito, della sua sfida.

E una volta guadagnata la meta più alta, ti accorgi di quanto tutto è piccolo e lontano: non perché risibile o indegno ma perché davvero inserito in una scia a lungo termine, quella che va verso un orizzonte onnicomprensivo che tutti siamo chiamati con buona volontà a seguire.
Il fatto buono l’ho trovato anche io oggi, in questo piacevole e costruttivo incontro, ma il bello risiede ancor più nel fatto che lo stesso Frambati ha trovato in questo dialogo la sua bella notizia da collocare nella giornata. Il mondo dovrebbe riprendere a funzionare proprio in questo modo … ed è cosa semplice ma complessa proprio perché la semplicità l’abbiamo dimenticata. E se alla fine di questa intervista avrete avuto modo di fare vostra qualche bella riflessione, piccola, anche solo una, ebbene oggi la buona notizia è anche vostra. Portatela in giro, leggetela, diffondetela. Impareremo tutti a volare.

Angela De Nicola
Centro Studi Leone XIII

 


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