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16/10/2022

CENTRO STUDI LEONE XIII
PRESENTAZIONE LIBRO “AVREI VOLUTO FARE LA PRESIDE” ED. SCHENA, DI ROSELLA TIRICO - 14 ottobre ’22

Scuola. Riflessioni e proposte
con Rosella Tirico, Anna Maria Bocchetti, Angela De Nicola

 

AVREI VOLUTO FARE LA PRESIDE:
IN DIALOGO SULLA SCUOLA
AL CENTRO STUDI LEONE XIII

 

Il lavoro di Rosella Tirico che sarà presentato il prossimo 14 ottobre 2022 presso il Centro Studi Leone XIII di Rionero in un dialogo aperto tra l’autrice ed il giornalista Pasquale Tucciariello, con letture di passi scelti a cura di Angela De Nicola, si snoda su domande e crocevia interpretativi delicatissimi, cruciali, su nodi fragilissimi e annosi inerenti il mondo della scuola e ancor più sulle questioni dell’educazione e della formazione dei nostri ragazzi, cui, come dice la stessa Tirico riprendendo le parole del grande Piero Angela, “le famiglie affidano in maniera inconsapevole o inconsapevole i propri figli, al fine di prepararli come futuri cittadini”.

Noi ci domandiamo il perché di questo titolo anche molto accattivante: la professoressa Tirico, di fatto e per mestiere, è stata per anni un bravissimo dirigente scolastico. E allora: “Avrei voluto fare la preside”, perché? Certamente per dare ancora una volta il proprio umile ma lungimirante contributo, frutto di anni di esperienza basata su precise competenze ma soprattutto su grande amore per la scuola, contributo verso una situazione che - diciamolo onestamente - soffre oggi più che mai di uno dei disallineamenti più forti degli ultimi decenni nel mondo della scuola e che vede, di fatto, una sovrapposizione (quando non una vera e propria confusione) dei ruoli all’interno delle gerarchie scolastiche: insegnanti che si ritrovano dover sconfinare in ruoli burocratici per cui certamente non sono stati assunti nella scuola e presidi alle prese con carichi decisionali effettivamente fuori dalle loro abitudini gestionali, carichi sempre nuovi se non addirittura spiazzanti. La questione, vastissima e passibile di analisi dal punto di vista delle più diverse angolazioni, viene osservata certamente attraverso uno sguardo “storico” di donna da anni in prima linea sul barcone-scuola, un barcone sempre più in balia di venti di troppo poco cambiamento ma di tanta tantissima contraddizione. Dunque, anche e soprattutto pedagogicamente parlando, chi è il preside oggi? e qual è il vero ruolo e il vero valore dell’insegnante?

C’è qualcosa in questo grande meccanismo – nato per la simultaneità e per l’armonia delle reciprocità - che forse si è a mano a mano come inceppato e che ha permesso questa non salutare distinzione di ruoli da un lato e tanta confusione interpretativa di normative dall’altro: la cura dello studente dovrebbe passare certo ancora dal dirigente scolastico (che se ne occuperebbe a livello gestionale senza l’inutile combattimento con mostruosi cavilli) finendo poi nell’ambito puramente formativo dell’insegnante che, appunto, dovrebbe quasi esclusivamente concentrare il suo tempo e i suoi preziosi sforzi nell’educazione nelle aule e tra i banchi. Basta burocrazie soffocanti, basta con gli inserimenti indiscriminati di personale che con il percorso della docenza ha in molti casi poco a che vedere, basta con tortuose trafile di crediti, accrediti, graduatorie o sottograduatorie inutili ed ingolfanti che permettono poi ingerenze accrediti, graduatorie o sottograduatorie inutili ed ingolfanti che permettono poi ingerenze anche fuori posto da parte di numerose e fuorvianti azioni sindacali: torni la centralità del valore della comunicazione, dell’empatia e della freschezza tra le mura scolastiche, affinchè i professori non si stanchino di insegnare e i presidi non si sentano sotto assedio, quasi immobilizzati da un ruolo che fa della loro naturale e comunque auspicabile multigestionalità, quel volo troppo spesso negato verso orizzonti di crescita e di bellezza in quell’universo scuola che è poi la grande finestra sul nostro domani.

Angela De Nicola

 

In vista del dibattito sulla scuola italiana, promosso dal Centro Studi Leone XIII, una nota critica della prof. Anna Maria Bocchetti

 

Ho insegnato scienze matematiche nella Scuola Secondaria di I grado dal 1978. Un arco di tempo abbastanza lungo per valutare i cambiamenti sociali avvenuti in questi anni. Da tempo si avvertiva, da parte del mondo scolastico, l’esigenza di aprire una riflessione sulla scuola e, fra tutti gli interventi legislativi effettuati dai vari Governi nell’ultimo decennio, solo la legge107/2015, per la sua rilevanza, ha avuto il merito di aver riportato al centro del dibattito nazionale i problemi legati all’istruzione e alla formazione. Ad essa farò riferimento per esprimere le criticità che, a mio modesto parere, ancora oggi, purtroppo, affliggono la Scuola.
Per brevità, mi soffermerò solo su tre punti critici.

FINALITA’ E FUNZIONI
La legge non è frutto di un serio dibattito fra le forze politiche, sociali e culturali del nostro paese, che ne delineasse le finalità, l’identità e la sua funzione in questo preciso momento storico. Anche ad una lettura sommaria, si evince che questa riforma manca di un’idea pedagogica esplicita di fondo che la ispiri. La Legge non entra nei problemi della didattica, non adegua l’insegnamento alle domande nuove che provengono da una società profondamente cambiata e in crisi come la nostra, ma si limita a modificazioni di ordine strutturale e organizzativo. La 107, a mio avviso, non evidenzia la necessità di sperimentare nuove forme di interazione fra giovani e scuola, utili a sconfiggere l’idea che il sapere è inutile. Le nuove generazioni sono considerate solo come strumento di produttività economica. Il loro orizzonte valoriale non viene analizzato e non sono focalizzati interventi educativi che mirino a sconfiggere il loro analfabetismo emotivo, il loro spaesamento, il loro nichilismo, in una società nella quale solo il mercato si interessa di loro.

STILI DI APPRENDIMENTO E NEUROSCIENZE
Nel comma n.1 della legge 107 si afferma che gli interventi didattici devono rispettare gli “stili di apprendimento” degli alunni. Nel comma n.56 viene istituito il Piano Nazionale per la Scuola digitale. Apparentemente questi due commi appaiono lontani e slegati fra loro, in realtà sono intimamente connessi. Da anni la tecnologia ha rivoluzionato profondamente le società dell’intero pianeta. L’uso degli strumenti digitali non sono solo alla base di stravolgimenti sociali, ma, ricerche condotte nel campo delle neuroscienze (biologia, medicina, psichiatria), hanno dimostrato che sono avvenuti cambiamenti anche nella struttura stessa del nostro cervello. Le neuroscienze hanno sperimentato che, in base al tipo di stimolo (digitale o alfabetico) al quale viene sottoposto il nostro cervello (la stessa cosa è avvenuta con l’avvento della scrittura), le sinapsi neuronali si modificano (Small e Vorgan, 2009) e danno origine a nuovi circuiti neuro-biologici, che stravolgono il modo di apprendere, le sfere cognitive e metacognitive del pensiero (Mac Luhan, De Kerkhove). I giovani nati 20 anni fa presentano quasi tutti queste caratteristiche (nativi digitali): il codice digitale è stato il primo col quale sono entrati in contatto sin dalla nascita e il libro e il codice alfabetico compaiono solo quando iniziano l’iter formativo scolastico. Ovviamente le abilità cognitive che hanno sviluppato (capacità razionali, memoria visiva e sonora, capacità di svolgere più attività contemporaneamente, etc) sono opposte a quelle richieste dalla scuola tradizionale e manifestano, anzi, difficoltà nella scrittura, nella lettura, nel linguaggio e nell’astrazione. Questi ragazzi dallo “stile di apprendimento” multimediale, varcano la soglia delle nostre classi ogni giorno, trovando un’offerta formativa incentrata sul codice alfabetico, inadeguata alle loro esigenze di apprendimento. Essi attraversano ogni giorno due mondi temporalmente diversi: da un lato, nelle loro case vivono ambienti ad alta interattività e connessione digitale, dall’altra, ambienti di apprendimento ancora legati in maniera preponderante al codice alfabetico. Nel percorso casa –scuola, compiono un viaggio indietro nel tempo di 30 anni. Una schizofrenia educativa che la legge 107 non affronta nel merito o, forse, sottovaluta. Quando l’uso della tecnologia si intreccia con l’alterazione di meccanismi biologici, neurologici e psicologici, la questione diventa davvero complicata e seria, non sono più giustificabili ritardi e inadempienze.
La legge, col comma 56, vara un Piano Nazionale per la Scuola digitale. Anche in questa scelta si avverte la mancanza di una idea di fondo della scuola, dibattuta e condivisa. Questa iniziativa avrebbe dovuto essere accompagnata da una riflessione e una valutazione collettiva di esperti scienziati e pedagogisti, per decidere se assecondare o contrastare nella scuola lo sviluppo di questi nuovi modelli cognitivi connessi all’uso di strumenti digitali. Altri paesi lo hanno fatto: negli Stati Uniti, per esempio, si sta discutendo di ridimensionare l’uso di questi strumenti informatici nelle scuole e potenziare le abilità tradizionali. In Finlandia, invece, si accelera e si introduce solo la scrittura digitale al posto del corsivo, si eliminano le classi, si aboliscono le materie e si insegna per argomenti. I tempi sono maturi per affrontare questa tematica: la letteratura scientifica a questo proposito è vasta, le ricerche in questo campo sono attendibili e verificate. In Italia siamo in forte ritardo nel dibattere questi problemi.

PRODUTTIVITA’ – COMPETIZIONE- LIBERTA’ D’INSEGNAMENTO
Il modello implicito di Scuola che delinea la legge 107 è quello aziendale. Il Preside, anziché essere un coordinatore e promotore didattico che dialoga, corregge, indirizza, ascolta, diventa un manager che deve dimostrare la produttività del proprio Istituto. I criteri alla base di questo modello sono la competitività a tutti i livelli: fra dirigenti, insegnanti e alunni. La necessità di rendere ogni sistema efficiente e razionale, è una necessità condivisa. Organizzare la scuola come un’impresa per raggiungere questo obiettivo è, a mio avviso, profondamente sbagliato nella forma e nel merito. La fabbrica si basa sulla competitività e sulla produttività di beni materiali. La scuola è un luogo collaborativo e solidale per definizione (Dewey), a cui non si possono applicare gli stessi criteri senza correre il rischio, fondato, di trasformarla completamente in un “progettificio” inconcludente e senza qualità.
In un clima così poco sereno è oggettivamente difficile operare con la dovuta serietà e mettere al centro del lavoro educativo la figura dell’alunno. L’autonomia del docente, la sua libertà di insegnamento, la sua voglia di sperimentare sono, così, compromesse e condizionate dal rapporto di dipendenza dal Preside e dalla necessità di seguire le sue indicazioni per mantenere il “posto di lavoro”. In questo modo l’educazione diviene sempre più un fatto quantitativo, un libero mercato in cui offrire un prodotto di consumo, dove si mira solo alla soddisfazione della clientela. Se Don Milani e Maria Montessori avessero operato in queste condizioni, non avrebbero avuto vita facile!
In conclusione, ritengo che oggi la Scuola, travolta dalla tecnologia e da una caduta generale di “senso”, abbia bisogno di una urgente riflessione teorica sul suo ruolo e sulle sue finalità, che, alla luce dei cambiamenti radicali di questi anni, dia struttura pedagogica, didattica, metodologica e contenutistica al suo impianto educativo. Solo così sarà possibile costruire intorno ad essa un progetto di rinascita complessivo del nostro Paese, utile all’economia, al nostro grado di civiltà e alla democrazia.

Anna Maria Bocchetti, 14 Ottobre 2022

 

“PER UN NUOVO SISTEMA FORMATIVO IN ITALIA”

 

Per una scuola “lenta” e meno burocratizzata.
Per favorire i processi di apprendimento nel rispetto di tutti e di ciascuno .

Tutti parlano della scuola che vorremmo ma pochi a mio avviso conoscono effettivamente i processi che ne hanno determinato il cambiamento negli ultimi decenni.
La politica è sempre entrata nella scuola in modo improprio, condizionata da ideologie e pregiudizi.
Hanno chiesto alla Scuola di mediare tra le esigenze universali di standard europei di apprendimento e di esercitare l’Autonomia per favorire lo sviluppo dei territori locali ed in questa nuova esigenza di “glocale” la scuola non ha avuto la forza né la spinta per poter diventare protagonista di un cambiamento efficace.
Si, perché la scuola è cambiata ma non sempre in modo efficace.

Partendo dalla didattica, che poi dovrebbe essere il fulcro del lavoro scolastico, si è puntato tutto sulle metodologie innovative a carattere digitale e sugli standard europei di apprendimento. Nel primo caso dimenticando le “buone pratiche” del passato, come la lettura ad alta voce ed il lavoro manuale (tanto per fare gli esempi più conosciuti) e nel secondo caso dimenticandosi che i test nazionali ed internazionali ignorano cultura e linguaggi legati ai contesti regionali. Un altro aspetto, che ha generato dispersione di energie nella didattica, è l’estesa ed infinita progettualità che viene richiesta dalle scuole e quindi dai docenti. Progettualità che spesso non è dettata da bisogni interni ma dalla necessità di soddisfare gli stakeolder, ovvero i diversi portatori di interessi che ruotano intorno alle scuole. È quella che io ho definito “trasversalità che porta alla frammentarietà e di cui ho scritto in un articolo da me pubblicato nel 2020 su un giornale on-line.
E questo ci fa collegare al problema delle risorse che distinguiamo in risorse materiali/economiche e risorse umane. Sia le prime che le seconde sono sempre vincolate e su esse la scuola non può esercitare che illusorie forme di autonomia. Spesso si sono fatti progetti per spendere le risorse mentre doveva accadere il contrario. Le stesse risorse sono state poi quasi sempre finalizzate verso spese per ampliare strumenti digitali, per consulenti e formatori, quasi mai per mettere in sicurezza le strutture o costruire scuole nuove e più adatte anche alle esigenze della nuova didattica. Le risorse umane sono state sempre un punto debole e controverso nelle nostre scuole. Gli organici sempre insufficienti e mai completi con l’avvio dell’anno scolastico hanno portato in sofferenza perenne famiglie e segreterie. Gli organici sono stati spesso terreno di scontro politico e sindacale e richiamano il problema della formazione del personale docente ed A.T.A., della loro valutazione e perfomance insieme a quella del dirigente scolastico.

Altro aspetto che ha generato confusione, nel lavoro scolastico degli ultimi anni, è quello dei programmi dei diversi ordini di scuola, insieme alla questione del come valutare. Era certo necessaria una revisione, ma i programmi sono stati continuamente rimaneggiati, insieme ai criteri di valutazione. Questi ultimi non sono omogenei neanche nel primo ciclo di istruzione e mancano per diverse discipline gli indicatori nazionali che possano dare una sufficiente autorevolezza e trasparenza soprattutto nei casi di contestazione e di controversie giudiziarie. La revisione dei programmi legata alle nuove esigenze di apprendimento per competenze non è spesso stata compresa dai docenti e dalle famiglie.
Strutture, problemi di sicurezza, formazione del personale, ampliamento degli organici, processo di autonomia ancora incompleto e contradditorio, ruolo e funzioni del dirigente scolastico ci conducono verso la domanda fondamentale: che tipo di scuola vogliamo per il futuro delle nostre generazioni una scuola prevalentemente di carattere assistenzialista e di servizio per i diversi bisogni dei cittadini o una scuola che prevalentemente crei cultura?
E quindi, quale di queste impostazioni ci porterebbe maggiormente verso la realizzazione di un paese democratico?

 

https://didatticapersuasiva.com/didattica/che-cosa-e-la-pedagogia-della-lumaca tratto dal testo di Gianfranco Zavalloni , indica delle strategie didattiche di rallentamento utili per far vivere ad ogni bambino la scuola come un luogo in cui si cresce in modo naturale e tranquillo.

Si richiama al concetto di “Cura educativa” La nuova Paideia, proposta da Agazzi nel testo: Paideia verità educazione, Ed La scuola Brescia 1999,  muove dal  discorso sul ripensamento pedagogico,  dove il contesto della  ricerca ha per oggetto il concetto di "cura", intesa come centralità della persona. Cfr anche L. Mortari, Aver cura della vita della mente, La Nuova  Italia Firenze 1999.

Crf widenews, La trasversalità che crea frammentarietà, di Rosella Tirico.

 

 

 

 

 


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