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26/07/2022

"Le Cose Nuove"
di Rosella Tirico

 

Rerum novarum, ovvero delle cose nuove, è considerato il primo documento sociale della Chiesa Cattolica.  Ed in effetti anche se sono trascorsi più di 130 anni dalla sua stesura, gli argomenti e le problematiche trattate nel documento sono attuali e cogenti.

Riflettere su aspetti sociali mai risolti e che ritornano alla ribalta anche nel nostro tempo ci procura un sentimento di frustrazione e mortificazione come generazione che ha sempre pensato che il futuro dovesse essere migliore, perché basato sul progresso e sullo sviluppo di una cultura dalle profonde radici illuministe e progressiste. Invece i limiti, i pregiudizi e lo spirito di prevaricazione sociale non sono stati scardinati né affievoliti dalle guerre del secolo scorso, dalle energie della Resistenza e della ricostruzione che invece hanno visto le forze sociali alleate nella speranza di un mondo diverso. 

Il tema del lavoro e del suo sfruttamento è ancora attuale in tutta la sua problematicità anche in questa epoca digitalizzata.  Il diritto alla giusta retribuzione, alla sicurezza, ad avere garantite condizioni consone alle proprie capacità e situazioni ed infine lo sviluppo della consapevolezza che il lavoro al di là della retribuzione debba superare l’obiettivo del contingente e della necessità, per consentire alle persone di realizzarsi e di gratificarsi per il contributo che possono dare alla società. Invece i tempi del lavoro si sono deformati e piegati alle necessità della produzione, delle pandemie, dell’economia mondiale. I tempi del lavoro e della vita si intrecciano senza soluzione di continuità insieme a quelli delle relazioni sociali sempre più virtuali ed opportunistiche. In una corsa folle alla ricerca di un tempo che ci sfugge. Spesso siamo fagocitati dalle scadenze e da attività sempre più incanalate in percorsi digitali, elettronici e meccatronici di cui siamo poco consapevoli e che ci governano.

La contrapposizione sociale che nel secolo XIX vedeva da un lato i proletari e dall’altro i proprietari sussiste oggi tra banchieri, mondo della Finanza e popolazione mondiale, tra i grandi organismi internazionali che governano equilibri e squilibri mondiali e coloro che sono sfruttati, sottopagati o i cui diritti vengono calpestati. E non solo diritti come lavoratori ma anche come cittadini, pazienti che si sottopongono a cure e trattamenti.

È infatti dibattito aperto sui social e sui media la questione del lavoro, come, per esempio nel settore della ristorazione, da cui emerge un disagio sempre più forte per quanto riguarda retribuzioni inadeguate e tempi di lavoro che schiacciano la vita dei lavoratori. È aperto il dibattito sulla questione se lo Stato debba dare più risorse agli imprenditori o sostegno alle categorie sociali che hanno un reddito basso e sono in difficoltà. Il lavoro c’è ma non si trova. Questo paradosso è alimentato dalle sperequazioni che a volte lo stesso Stato alimenta. Ma anche è dovuto a una mentalità che considera il guadagno e l’arricchimento l’unico vero obiettivo di vita e di regolazione dei rapporti in questa società.

Che fare allora? Non certo la rivoluzione, come anche lo stesso Leone XIII raccomandava di evitare. L’Enciclica infatti fa leva continuamente sullo spirito di fratellanza e di carità cristiana. Ma dovremmo aggiungere che nel nostro tempo sia importante coltivare ancora spirito di tolleranza e non solo verso il diverso, ma anche per chi e verso chi pensi diversamente.

Invece sui social imperversa l’ODIO, quello stesso odio di cui parla l’Enciclica e che teme possa riversarsi con tutta la sua forza e violenza nella società.  I contesti del secolo XIX ci portano alle lotte sociali a manifestazioni fisiche aggressive tese anche a contestare il diritto di proprietà. Ma è anche vero che si assiste ancora oggi a manifestazioni di violenza tra giovani e non, anche e soprattutto per motivi gratuiti e futili, si assiste ad aggressività verbali sui social che spesso annientano e distruggono, si pratica spesso l’insulto libero senza neanche conoscere fatti e persone direttamente. L’odio nutrito dall’ignoranza, dalla frustrazione e dall’intolleranza è ancora purtroppo presente e diffuso nella nostra società. L’odio può nascere da sentimenti di rivalsa e di rabbia, dalla frustrazione di non riuscire a condurre una vita dignitosa che soddisfi i bisogni primari e non solo, nasce quando il lavoro non ci rende liberi per cui si tende a considerare la proprietà altrui un furto sociale.

Ma il lavoro, l’esercizio di un’arte, il coltivare e curare beni e terreni fanno della proprietà un diritto naturale ed inalienabile e questo principio viene più volte ribadito nell’Enciclica. Ma quando lavoro, arte o cura dei beni non dovessero essere frutto di guadagni leciti e quando la proprietà privata si accresce smisuratamente a causa anche di speculazioni finanziarie, allora essa perde il suo valore di diritto naturale. Quindi al di là di eredità fortuite e vincite l’accumulo di grandi risorse nelle mani di pochi è da considerarsi origine di ingiustizia ed instabilità sociale.

Ma veramente dobbiamo credere che la disparità sociale sia naturale e che non si possa eliminare come il dolore? Oppure dopo 130 anni dall’Enciclica possiamo pensare che una armonizzazione tra le classi e le diverse istanze sociali non sia invece possibile? Una armonizzazione che già veniva vista possibile nel documento di Leone XIII che partendo dall’insegnamento cristiano intravedeva una via di pax sociale basata su principi di giustizia, carità e corretto uso dei beni. Fondata su rinnovamento sociale, opere dello Stato (a garanzia del salario minimo, di consone condizioni di lavoro, a difesa della proprietà ndr), e sulla nascita delle Associazioni come organizzazioni autonome e con fini specifici che possano accrescere lo spirito di collaborazione, la solidarietà umana. Associazioni e Cooperative possono indicare la strada per diminuire i divari sociali e stimolare quel senso del dovere e di corresponsabilità che solo la partecipazione attiva ed il coinvolgimento diretto tra imprenditore/datore di lavoro e lavoratori, possono realizzare in un’impresa che abbia successo.

Merita un momento di riflessione nel documento anche il passaggio sulla Famiglia considerata sacra nella sua autonomia, un nucleo indissolubile perché la prima responsabile dello sviluppo di ogni persona. L’Enciclica offre una visione statica del nucleo familiare in cui i ruoli sono rigidi ed univoci. Oggi questo tipo di famiglia esiste sempre meno fino ad essere considerata un limite per la libera espressione dei suoi componenti. La Famiglia del XXI secolo sempre più aperta e dinamica rischia di trasformarsi in una realtà indefinita e provvisoria, sempre più condizionata da umori sociali e mode.

Rileggendo l’Enciclica si ha la sensazione che 130 anni non siano trascorsi o che per qualche aspetto siano trascorsi perdendoci nella vacuità dell’apparire e del possedere, dimenticando in alcuni casi le nostre origini ed i nostri più validi costumi cristiani, credendo che virtù e morigeratezza non possano far parte del progresso. E con memoria corta lasciamo spesso che la tolleranza e gli insegnamenti di grandi pensatori rimangano nelle pagine dei libri come se non ci riguardassero. Abbiamo bisogno di credere e di avere una Fede, ma abbiamo anche necessità di cultura, sviluppo dello spirito critico difendendo e mantenendo desta la nostra mente. Solo così potremo realizzare quelle cose nuove che ci consentiranno di vivere in una società più giusta basata sul benessere e sicuramente meno globalizzata.

Rosella Tirico, Centro Studi Leone XIII

 


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