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21/11/2023

Punire è meglio che prevenire:
l’Italia piange ancora sul latte versato
di Michele Lacava

 

L’Italia ha un gravissimo problema con i femmicidi. Lo confermano i numeri in maniera inequivocabile. L’ultimo è avvenuto pochi giorni fa nel profondo Nord, precisamente in Friuli-Venezia Giulia, e ha visto coinvolta Giulia Cecchettin, una ragazzina poco più che ventenne barbaramente assassinata dal suo ex fidanzato. La notizia ha suscitato sgomento nell’opinione pubblica, quasi fosse un’epifania. Eppure, non è la prima volta che accade: dall’inizio dell’anno, infatti, di episodi di ineffabile violenza come questo ne abbiamo avuti già un centinaio, contando solo quelli annoverati nelle statistiche ufficiali. Una cifra impressionante, specialmente se la si considera in rapporto ai mesi e alle settimane trascorsi fino ad oggi: 9 omicidi al mese che corrispondono a 2 alla settimana.

Dati come questi registrano un fenomeno dalla tendenza allarmante e dimostrano come dietro a un rapporto di coppia fondato su una possessività ammantata di premura esagerata, possano celarsi esseri abietti capaci di commettere delitti efferati sul proprio partner non appena capiscono di averne perso il controllo. Ogni volta che una donna viene assassinata da un uomo, è importante specificare che si tratti di femmicidio, perché, alla base di questi delitti ci sono sempre le stesse matrici: gelosia, ossessione, invidia, pretesa di dominare l’altro spacciata per eccesso d’amore. Tutti i personaggi pubblici nostrani, dai politici agli attori, passando per gli immancabili indignati occasionali, si sono spesi nella solita e stucchevole passerella per condannare l’accaduto e lanciare moniti affinché non accada mai più. Ma la voce più verace (e vorace) proviene, come al solito, dalla pancia del nostro Paese, che ruggisce e vuole vendetta. In molti, infatti, hanno espresso pubblicamente e senza alcun ritegno il desiderio di trascorrere almeno un po’ di tempo con l’omicida per fargli passare un brutto quarto d’ora. E altri si augurano che gli venga inflitto un contrappasso grave almeno quanto le sofferenze che ha perpetrato sulla vittima.

In pratica, c’è un’Italia giustizialista che ha digrignato i denti e, se potesse averlo tra le mani, punirebbe il colpevole in maniera esemplare perché, ormai si sa, della giustizia non si fida più nessuno; quindi, tanto vale sospendere lo stato di diritto e farsela da sé. Ma esiste anche un’altra Italia che in questi giorni ha deciso di entrare in silenzio nei profili social della ragazza andando alla ricerca di quei frammenti di vita da ricomporre e condividere con il pubblico, per ricordarci che dietro l’ennesimo nome che si aggiunge alle statistiche sui casi di femminicidio, c’era un’esistenza piena di amore, di sogni e di bene in cui, probabilmente, non c’era nessuno spazio per la violenza e il male che si trascina. Una vita vissuta col sorriso malgrado il dramma famigliare, sottratta a un mondo che, per un qualche diabolico scherzo del destino, pare stia perdendo proprio quelle persone che avevano tutti i requisiti adatti a renderlo un posto migliore.

Questa tragica vicenda si è verificata di nuovo in un Paese che nonostante la gravità del problema femminicidi, si mostra ancora riluttante ad introdurre l’educazione sessuale e all’affettività come materia di insegnamento obbligatoria nelle sue scuole, rimandando il cambiamento alla prossima vittima. Un famoso detto dice <<non si piange sul latte versato>>. Ma qui si parla di sangue, e per lavarlo serve molto di più di una semplice passata di straccio.

Michele Lacava
Centro Studi Leone XIII

 

 

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