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24/03/2023

Presenza e azione dei cristiani nel mondo
di Don Cesare Mariano

 

          § 1. Dio e Cesare

“Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Con questa frase lapidaria, riportata dai tre evangelisti sinottici (cf. Mt 22,21; Mc 12,17; Lc 20,25), Gesù risponde ai farisei che, gli inviarono alcuni loro discepoli con gli erodiani (quelli che, tra i Giudei del tempo, erano i migliori amici dei Romani).
Dopo un preambolo di carattere adulatorio («Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno») scagliarono il loro dardo infuocato: «Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
La domanda era insidiosissima. Apparentemente Gesù non aveva scelta: rispondendo di no, si sarebbe attirato l’ira dei Romani che tenevano moltissimo ai tributi dei popoli loro sottomessi; dicendo di sì, sarebbe stato additato dai suoi connazionali ebrei come un traditore della patria, un collaborazionista dei Romani.
Dopo aver smascherato la maliziosità dei suoi avversari («Ipocriti, perché volete mettermi alla prova?»), Gesù chiede che gli sia mostrata una moneta e chiede: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Alla risposta «Di Cesare», Gesù risponde: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
La risposta lapidaria di Gesù costituisce una delle frasi che hanno maggiormente inciso sulla storia del Cristianesimo e dell’Occidente.
Rispondendo “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, Gesù afferma che è giusto obbedire alle leggi, rispettare i legittimi rappresentanti dell’autorità, pagare le tasse all’imperatore (a Cesare), la cui effigie era incisa sulle monete.
Ma aggiungendo subito dopo e a Dio quello che è di Dio”, Gesù indica che vi per l’uomo un’appartenenza più radicale di quella che lo lega a qualsiasi potere politico. Dal momento che è creato ad immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27), l’uomo porta iscritta nel profondo del cuore la vocazione ad offrire non semplicemente qualcosa di suo ma proprio sé stesso, la sua stessa persona a Dio. È così che l’uomo porta a compimento il desiderio di bene e di felicità che porta in sé.
Ciò che vale sul piano individuale si riverbera sul piano dei principi che fondano l’umana società: è solo costruendo la città dell’uomo secondo il disegno di Dio che le comunità umane possono crescere bene e trovare la via della vera libertà e della pace.
De civ. Dei XIV,28: Fecerunt itaque civitates duas amores duo: terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, coelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui - Due amori fecero due città: la città terrena l'amore di sé fino al disprezzo di Dio, la città celeste l'amore di Dio fino al disprezzo di sé.

È su questi presupposti che si fonda quella che può essere definita una laicità positiva, la quale, da una parte, afferma la legittima distinzione tra la sfera politica e quella religiosa, tra Stato e Chiesa, dall’altra è aperta a riconoscere ed accogliere il primato di Dio, origine e fondamento della vita dell’uomo e di ogni società autenticamente umana.
Nel viaggio apostolico in Francia, nel suo discorso all’Eliseo del 12 settembre 2008, Benedetto XVI disse: «In verità, sul problema delle relazioni tra sfera politica e sfera religiosa Cristo aveva già offerto il criterio di fondo in base al quale trovare una giusta soluzione. Lo fece quando, rispondendo ad una domanda che gli era stata posta, affermò: “Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12,17). (…) In questo momento storico in cui le culture si incrociano tra loro sempre di più, sono profondamente convinto che una nuova riflessione sul vero significato e sull’importanza della laicità è divenuta necessaria. È fondamentale infatti, da una parte, insistere sulla distinzione tra l’ambito politico e quello religioso al fine di tutelare sia la libertà religiosa dei cittadini che la responsabilità dello Stato verso di essi e, dall’altra parte, prendere una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo che essa può apportare, insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo nella società».
Le parole di Gesù, affermando la distinzione e l’interrelazione gerarchica la città di Dio e la città dell’uomo suonano come kerygma, come lieto annuncio della presenza nel mondo, nella città dell’uomo, di una prensenza che libera integralmente l’uomo e la società affrancandolo da ogni potere umano che pretenda di prendere il posto di Dio.
Sono inoltre parole che affidano una missione ai credenti: abitare con passione la città dell’uomo affinché, grazie anche al loro leale e generoso impegno, assomigli sempre di più alla città di Dio e sia, perciò stesso, una città veramente per l’uomo.

§ 2. Il contesto attuale

          Crisi dell’etica e della politica        
- antipolitica, populismo, sovranismi che mettono in discussione la casa comune europea
- attacco all’Occidente da parte dell'ideologia teocratica del Russkij Mir dall'altra, che discende dalle concezioni totalitariste del ’900, per le quali le ideologie sono superiori alla persona
- in Italia crisi della presenza pubblica dei cattolici e crisi dello stesso CENTRO.
A) Il senso e il significato del centro in sé (e rispetto alla dialettica dxt/sin come dialettica tra concezione verticale e orizzontale della realtà e della società), come affermazione del primato della persona sullo stato, come ricerca sempre in tensione di equilibrio tra conservazione e progressismo, come economia sociale di mercato (rispetto agli estremisti liberista e socialista), come valorizzazione dell’identità nazionale nel contesto della fraternità di tutti i popoli e della concezione dell’unica famiglia umana (posizione alternativa rispetto a nazionalismo e internazionalismo), come memoria creativa che contemperi presenza, memoria e attesa (rispetto a pulsioni conservatrici e utopistiche).
B) Cenni sulla storia del centrismo italiano
Centrismo 1860-1918 (non expedit)
Il popolarismo sturziano 1919-22 / 1922/45
D.C. (1943-1992): costituente, fase degasperiana, centro-sinistra, compromesso storico, la crisi post-1989 e quella del 1992
P.P.I. (1994) 
Margherita (2002)
P.D. (2007)
- relativismo etico, nichilismo, individualismo, cinismo, crisi delle democrazie (tra regimi tirannici e “democrature” solo il 20% degli stati sono autenticamente democratici).

Nel contesto attuale si rende evidenza una corrispondenza tra crisi della politica e crisi dell’etica.
Essa non sorprende affatto.
Infatti, tra etica (ethos = mos) e politica (da pólis) vi sono dei nessi strettissimi, sin dai tempi di Platone e di Aristostele.
Nella filosofia greca la politica è concepita come ramo dell’etica, sia come teoria, cioè come Staatwissenschaft (riflessione sull’etica della pólis, e dunque dottrina, scienza del governo, dell’organizzazione e amministrazione della vita pubblica) sia come prassi, come esercizio del potere a beneficio della polis, ovverosia come Staatkunst (arte del governo, politica e politiche).
La diversità tra Platone e Aristotele corrisponde ad una divaricazione che rimane in tutti gli sviluppi successivi del pensiero
Per Platone lo Stato (concepito in modo ideale, utopistico) è superiore all’individuo. Il grave limite dell’ideale platonico è l’assenza di un vero concetto di libertà: il singolo è fagocitato dallo Stato. Lo Stato etico hegeliano, da cui discendono i totalitarismi di destra e di sinistra, si pone in questo solco. Ovviamente, Platone non è responsabile di queste estremizzazioni
Secondo Aristotele la politica è un dato naturale che tocca l’essenza stessa dell’uomo (uomo animale sociale e politico) e che ha come fine la ricerca del bonum commune. Su questa linea, sviluppandola, si muove S. Tommaso d’Aquino che afferma che lo Stato (come ordine, gerarchia, finalità) ci sarebbe stato anche senza il peccato. Lo Stato è espressione della natura guidata dalla ragione ed esiste per i seguenti fini: la giustizia, la pace, il bene comune. È su questo solco che si pone la dottrina sociale della Chiesa, raccogliendo l’eredità della rivelazione biblica e della tradizione patristica, che permise di porre, con l’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma le premesse stesse dell’Europa.
A documentazione di ciò vorrei richiamare tre testi.

Il primo è l’Epistola a Diogneto, uno testo cristiano in greco di autore anonimo, precostantiniano (II sec.). È uno dei testi più belli della patristica greca, “la cosa più scintillante che sia stata scritta in greco dai cristiani” (Norden). Lo scritto, di genere apologetico-filosofico, è in forma di lettera diretta a un tal Diogneto, da alcuni identificato con lo stoico che fu uno dei maestri di Marco Aurelio. Vi è chi ipotizza che Διόγνητος (“generato da Giove”), anziché un nome proprio, sia l’appellativo di qualche imperatore (Adriano?) al quale lo scritto sarebbe indirizzato.
L’Epistola a Diogneto (Cap. 5-6; Funk 1, 317-321):
I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano. 
Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto. 
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno dei bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio. 
Insomma, per parlar chiaro, i cristiani rappresentano nel mondo ciò che l’anima è nel corpo. L’anima si trova in ogni membro del corpo; ed anche i cristiani sono sparpagliati nelle città del mondo. L’anima poi dimora nel corpo, ma non proviene da esso; ed anche i cristiani abitano in questo mondo, ma non sono del mondo. L’anima invisibile è racchiusa in un corpo che si vede; anche i cristiani li vediamo abitare nel mondo, ma la loro pietà è invisibile. La carne, anche se non ha ricevuto alcuna ingiuria, si accanisce con odio e fa’ la guerra all’anima, perché questa non le permette di godere dei piaceri sensuali; allo stesso modo anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto nessuna ingiuria, per il solo motivo che questi sono contrari ai piaceri. 
L’anima ama la carne, che però la odia, e le membra; e così pure i cristiani amano chi li odia. L’anima è rinchiusa nel corpo, ma essa sostiene il corpo; anche i cristiani sono detenuti nel mondo come in una prigione, ma sono loro a sostenere il mondo. L’anima immortale risiede in un corpo mortale; anche i cristiani sono come dei pellegrini che viaggiano tra cose corruttibili, ma attendono l’incorruttibilità celeste. L’anima, maltrattata nelle bevande e nei cibi, diventa migliore; anche i cristiani, sottoposti ai supplizi, aumentano di numero ogni giorno più. Dio li ha posti in un luogo tanto elevato, che non e loro permesso di abbandonarlo”. 

          Il secondo documento che vorrei richiamare è il discorso di Benedetto XVI al Bundestag il 22 settembre 2011 Benedetto XVI:
“Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza. La cultura dell’Europa è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito in questo momento storico”.

          Nel suo discorso al Bundestag del 2011, J. Ratzinger, e siamo al terzo documento, riprese i temi che aveva esposto da par suo nella lectio magistralis tenuta nella Biblioteca del Senato della Repubblica italiana il 13 maggio 2004 su invito del presidente del Senato Marcello Pera con tema “Radici spirituali dell’Europa”, l’allora cardinale J. Ratzinger riprese e sviluppò l’impostazione al problema europeo proposta dal gesuita polacco Erich Przywara (1889-1972), il geniale filosofo e teologo, maestro di H.U. von Balthasar e di K Rahner, che nel suo “Idee Europa” (Nürberg 1956), letteralmente “l’idea Europa”, indica l’Europa come un continente culturale e spirituale prima ancora che geografico (trad. it. L’idea d’Europa, Ed. Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2013).
Nel suo intervento al Senato, Ratzinger affrontò la domanda “cos’è l’Europa?” e, dopo aver messo in luce la fluidità geografica e storica dei confini del “vecchio continente”, indicò nella teologia biblica della storia il centro dell’idea stessa di Europa:
“L’Europa – Cos’è essa propriamente? [...] Perché ad esempio la Siberia non appartiene all’Europa, sebbene essa sia abitata anche da europei, la cui modalità di pensare e di vivere è inoltre del tutto europea? E dove si perdono i confini dell’Europa nel sud della comunità di popoli della Russia? Dove corre il suo confine nell’Atlantico? Quali isole sono Europa, e quali invece non lo sono, e perché non lo sono? In questi incontri divenne perfettamente chiaro che Europa solo in maniera del tutto secondaria è un concetto geografico: l’Europa non è un continente nettamente afferrabile in termini geografici, ma è invece un concetto culturale e storico. [...] Chi parla dell’origine dell’Europa, rinvia solitamente ad Erodoto (ca. 484- 425 a. C.), il quale certamente è il primo a conoscere l’Europa come concetto geografico, e la definisce così: «i Persiani considerano come cosa di loro proprietà l’Asia e i popoli barbari che vi abitano, mentre ritengono che l’Europa e il mondo greco siano un paese a parte». I confini dell’Europa stessa non vengono addotti, ma è chiaro che terre che oggi sono il nucleo dell’Europa odierna giacevano completamente al di fuori del campo visivo dell’antico storico. Di fatto con la formazione degli stati ellenistici e dell’Impero Romano si era formato un continente che divenne la base della successiva Europa, ma che esibiva tutt’altri confini: erano le terre tutt’attorno al Mediterraneo, le quali in virtù dei loro legami culturali, in virtù dei traffici e dei commerci, in virtù del comune sistema politico formavano le une insieme alle altre un vero e proprio continente. Solo l’avanzata trionfale dell’Islam nel VII e all’inizio dell’VIII secolo ha tracciato un confine attraverso il Mediterraneo, lo ha per così dire tagliato a metà, cosicché tutto ciò che fino ad allora era stato un continente si suddivideva adesso oramai in tre continenti: Asia, Africa, Europa. In Oriente la trasformazione del mondo antico si compì più lentamente che in Occidente: l’Impero Romano con Costantinopoli come punto centrale resistette laggiù – anche se sempre più spinto ai margini – fino al XV secolo. Mentre la parte meridionale del Mediterraneo attorno all’anno 700 è completamente caduta fuori di quello che fino ad allora era un continente culturale, si verifica nel medesimo tempo una sempre più forte estensione verso il nord. Il limes, che sino ad allora era stato un confine continentale, scompare e si apre verso un nuovo spazio storico, che ora abbraccia la Gallia, la Germania, la Britannia come terre-nucleo vere e proprie, e si protende in maniera crescente verso la Scandinavia. In questo processo di spostamento dei confini la continuità ideale con il precedente continente mediterraneo, misurato geograficamente in termini differenti, venne garantita da una costruzione di teologia della storia: in collegamento con il libro di Daniele, si considerava l’Impero Romano rinnovato e trasformato dalla fede cristiana come l’ultimo e permanente regno della storia del mondo in generale, e si definiva perciò la compagine di popoli e di Stati che era in via di formazione come il permanente Sacrum Imperium Romanum .

 

§ 3. Prospettive di riflessione e di impegno

Il cristianesimo nasce dall’avvenimento dell’incarnazione del Verbo.
Di conseguenza, ogni prospettiva di riflessione e di lavoro non può prendere le mosse dal “soggetto in genere” (Kant) né da una dialettica astratta (Hegel) ma dal soggetto umano nella sua verità ontologica e storica, cioè dal cuore dell’uomo, dalla sua struttura nativa, originale, incancellabile.
Il cuore dell’uomo è fatto per la verità e per la libertà.
Quando vi fu l’incontro tra Nikita Kruscev e Amintore Fanfani in occasione del viaggio in URSS per i colloqui italo-sovietici al Cremlino tra Fanfani, Segni e Kruscev (2-3 agosto 1961), Fanfani presagì la caduta del comunismo citando a Kruscev l’assioma del filosofo napoletano G.B. Vico (1668-1744): “le cose fuori del loro stato naturale né vi si adagiano né vi durano” (Principi di scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, I,II,8).
Dallo stesso Vico apprendiamo che la storia umana non si sviluppa secondo un processo lineare proprio perché l’uomo è stato creato da Dio nella libertà ed è sempre esposto al pericolo, come singolo e come membro di un popolo, di fare un uso distorto e malvagio della propria libertà. E, tuttavia, l’infinita sapienza di Dio sovasta e domina, con i suoi misteriosi disegni, i fini particolari perseguiti dagli uomini, tanto che lo stesso Vico dà alla “scienza nuova” la configurazione di “teologia civile ragionata della provvidenza”.
“Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” esclama S. Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (3,17): “Dominus autem Spiritus; ubi autem Spiritus Domini, ibi libertas”.
Ubi Spiritus libertas.
Libertas campeggiava sullo scudo della Democrazia Cristiana, che è stato il baluardo in difesa della inviolabilità della persona e delle istituzioni democratiche contro la minaccia del totalitarismo sovietico in cui la persona è fagocitata dallo stato. Mai dimenticarlo: l’homo sovieticus come il prodotto di ogni ideologia totalitaria è, nella teoria, una non-persona, cioè un uomo che è privato della sua dignità di persona dalla pretesa totalitaria (idolatrica) dello Stato.
È proprio invece dalla passione per la persona umana che la passione politica nasce e sempre rinasce, come impegno per la custodia della persona, del suo valore sacro, del suo bene nel contesto della promozione del bene comune: “La politica è vita nel senso più completo della parola” (Luigi Sturzo). Non solo la società nel suo complesso ma l’uomo, ogni singolo uomo ha bisogno della politica, perché l’uomo è strutturalmente essere-in-relazione.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1913:
La persona umana ha bisogno della vita sociale. Questa non è per l’uomo qualcosa di aggiunto, ma un’esigenza della sua natura. Attraverso il rapporto con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli, l’uomo sviluppa le proprie virtualità, e così risponde alla propria vocazione», che è quella di divenire partecipe della vita stessa di Dio che è Comunione di Persone. La vita sociale, la comunione è, dunque, coessenziale all’uomo. L’uomo è stato creato, progettato per la relazione, la comunione con Dio e con gli altri. Senza entrare in comunione con l’altro, senza occuparsi della vita pubblica, senza prendersi cura della polis, senza fare “politica” in questo senso largo, l’uomo si impoverisce, si accartoccia, si rattrappisce. Nessuno può, infatti, ragionevolmente sperare di raggiungere autenticamente il bene per sé, senza che questo sia anche un bene per gli altri, senza che questo non sia bene comune. La cura e la promozione del bene comune spetta in primo luogo all’autorità, secondo i suoi ordini ed i suoi gradi, ma è un compito che riguarda tutti, e non in forza di qualche concessione dall’alto ma in quanto si tratta di un dovere «inerente alla dignità della persona umana”.

          Dal magistero, dalla riflessione e dalla vita della Chiesa, dal suo cammino di due millenni nasce la dottrina sociale della Chiesa, i cui principi fondamentali sono:
1. sacralità della persona umana;
2. la famiglia, nucleo fondamentale della società
3. educazione e cultura, libertà e verità
4. lavoro come diritto e come dovere
5. primato dell’etica sulla tecnica, dell’uomo sui manufatti;
6. il rispetto e custodia del creato;
7. Tre nessi inscindibili: etica-politica; etica-economia; locale-globale;
8. Il trinomio della dottrina sociale della Chiesa: giustizia, solidarietà e sussidiarietà
Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa del 2004 elaborato dal Pontificio Consiglio per la giustizia e per la pace su incarico di S. Giovanni Paolo II, abbiamo in maniera sintetica ma esauriente l’insegnamento sociale della Chiesa.
Richiamo i numeri 567-568
567 Nel contesto dell'impegno politico del fedele laico, richiede una precisa cura la preparazione all'esercizio del potere, che i credenti devono assumersi, specialmente quando sono chiamati a tale incarico dalla fiducia dei concittadini, secondo le regole democratiche. Essi devono apprezzare il sistema della democrazia, « in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno», e respingere gruppi occulti di potere che mirano a condizionare o a sovvertire il funzionamento delle legittime istituzioni. L'esercizio dell'autorità deve assumere il carattere del servizio, da svolgere sempre nell'ambito della legge morale per il conseguimento del bene comune: chi esercita l'autorità politica deve far convergere le energie di tutti i cittadini verso tale obiettivo, non in forma autoritaria, ma avvalendosi della forza morale alimentata dalla libertà.
568 Il fedele laico è chiamato a individuare, nelle concrete situazioni politiche, i passi realisticamente possibili per dare attuazione ai principi e ai valori morali propri della vita sociale. Ciò esige un metodo di discernimento, personale e comunitario, articolato attorno ad alcuni punti nodali: la conoscenza delle situazioni, analizzate con l'aiuto delle scienze sociali e degli strumenti adeguati; la riflessione sistematica sulle realtà, alla luce del messaggio immutabile del Vangelo e dell'insegnamento sociale della Chiesa; l'individuazione delle scelte orientate a far evolvere in senso positivo la situazione presente. Dalla profondità dell'ascolto e dell'interpretazione della realtà possono nascere scelte operative concrete ed efficaci; ad esse, tuttavia, non si deve mai attribuire un valore assoluto, perché nessun problema può essere risolto in modo definitivo: « la fede non ha mai preteso di imbrigliare in un rigido schema i contenuti socio-politici, consapevole che la dimensione storica in cui l'uomo vive impone di verificare la presenza di situazioni non perfette e spesso rapidamente mutevoli»”.

Da questi passaggi del Compendio emergono quattro esigenze, che costituiscono anche dei “contravveleni” a guasti e minacce del nostro tempo:
a) necessità di un’accurata preparazione all’impegno politico e alla prassi di rappresentanza e di governo;
b) stima per il sistema democratico (riconoscendone i limiti e le potenzialità);
c) spirito di servizio, di ministero nel senso etimologico di servo (minister), derivante da minor (aggettivo) e minus (avverbio);
d) applicazione del metodo del discernimento.
Ciò che il Papa ha proposto a tutta la Chiesa nell’EAPS Evangelii gaudium
- mettendo in luce la dimensione pubblica e politica della fede
EG 183: Di conseguenza, nessuno può esigere da noi che releghiamo la religione alla segreta intimità delle persone, senza alcuna influenza sulla vita sociale e nazionale, senza preoccuparci per la salute delle istituzioni della società civile, senza esprimersi sugli avvenimenti che interessano i cittadini. Chi oserebbe rinchiudere in un tempio e far tacere il messaggio di san Francesco di Assisi e della beata Teresa di Calcutta? Essi non potrebbero accettarlo. Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene «il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica», la Chiesa «non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia». Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce «il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico».
EG 221: Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina Sociale della Chiesa, i quali costituiscono «il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali». Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero:

- e proponendo quattro principi di orientamento nell’impegno politico e sociale dei cristiani:

1) Il tempo è superiore allo spazio [EG 222-225]
2) L’unità prevale sul conflitto [EG 226-230]
3) La realtà è più importante dell’idea [EG 231-233]
4) Il tutto è superiore alla parte [EG 234-237].


Cfr. J. Ratzinger, “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani”, Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio, Ed. Marchesi, Roma 2018, pp. 43-44.


 

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