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14/01/2024

EDITH STEIN, MAESTRA DEL NOSTRO TEMPO
di Antonia Flaminia Chiari

 

La vita di Edith Stein è intrinsecamente legata alla sua filosofia, e la spinge ad interrogarsi su un tema che si radica nella profondità del sentire umano: quello dell’empatia. La domanda fondamentale è: “cos’è il rendersi conto?”. Che si risalga alla radice greca patein – soffrire – o al corrispettivo tedesco che rimanda al verbo sudan – sentire – l’empatia pone di fronte ad un sentire che si qualifica per il movimento di unione e identificazione con il proprio oggetto. La Stein affronta l’empatia prescindendo dalle tradizioni storiche legate alla parola, e mira a chiarire l’essenza dell’atto che sta alla base di tutte le forme attraverso le quali ci accostiamo ad un altro. L’empatia è la risorsa radicata nella vita comune capace di rilanciare la potenzialità dell’esistenza umana. Parlare di empatia richiama infatti una serie di esperienze quotidiane che permettono di percepire l’esistenza dell’altro e di comprenderne la personalità, le motivazioni che lo muovono ad agire, e quindi entrare in un rapporto di scambio di comunicazione. L’empatia mette in contatto con l’emozione altrui, dolorosa o gioiosa che sia, ma allo stesso tempo non è identificabile con la partecipazione emotiva. Essa è piuttosto la via per accedere all’intera persona dell’altro e rappresenta quindi la condizione di possibilità di sentimenti di simpatia amore odio pietà compassione, nonché delle molteplici forme di comprensione degli altri.

Stein configura un nuovo schema della vita della coscienza non più fondato unicamente sul contatto dell’io con se stesso, bensì sulla relazione con gli altri e con ciò che è altro da sé. L’essenza della persona è piuttosto un momento di apertura, di partecipazione all’essere e quindi ospita in sé le varie esperienze del vivere nella comunità civile e politica.

L’empatia è un processo conoscitivo. È l’esperienza dell’alterità, del viversi in relazione. Empatia significa che io sono altro da me stesso, che dentro di me c’è una distanza tra ciò che sono adesso e ciò che sono chiamato ad essere. Dunque l’identità del mio IO è una identità aperta, in divenire, che racconta una storia: è un essere, ma al tempo stesso un dover essere. È necessario immergersi nella propria interiorità con umiltà e impegno, come un artista che intraprende la realizzazione di una meravigliosa opera d’arte. Il mio io non c’è ancora, ma fiorisce attraverso i mille incontri e le mille circostanze, belle e meno belle, della vita.

La donna è naturalmente portata all’empatia, a dare spazio all’alterità. Lo afferma la Stein, pensatrice della differenza uomo-donna, ma anche teorica dell’essenza femminile. Ella afferma che <<non esiste alcuna professione che non possa essere esercitata da una donna>>, e aggiunge <<in quanto donna>>. Non è solo il corpo dell’uomo e della donna, infatti, ad essere diversamente costruito; è diverso anche il rapporto tra corpo e anima, tra spirito e senso. La natura della donna è quella di essere moglie e madre, di curare proteggere e preservare.

Le indagini della Stein hanno consentito l’elaborazione di un’antropologia non disgiunta dalla teologia. Edith Stein ha affermato l’idea di essere umano e la pratica dell’umano come relazione personalistica all’essere. L’integralità del suo umanesimo ruota attorno alla nozione di formazione, che possiamo incardinare all’orizzonte dell’oggi: la centralità della dimensione personale, concreta, soggettiva, che si apre alla Trascendenza; l’elaborazione di una filosofia in prima persona che supera le derive della modernità, la frammentazione della contemporaneità e la liquidità della postmodernità, il legame di logos e testimonianza, di pensiero e azione; quelle istanze di filosofia morale e civile che denotano sensibilità rispetto ai legami sociali, dell’educazione dei giovani, dell’idea di popolo e comunità verso i processi di omologazione; l’idea centrale di sintesi proficua di fides et ratio in vista del sapere universale.

La grande forza etica e teoretica del concetto di empatia non smette di stimolarci: fonda l’agire solidale, educa ai valori etici e civili, testimonia la comunità come relazione personalistica dell’essere. L’empatia è il più potente antidoto al male che attanaglia l’Occidente e il mondo intero: l’ipertrofia dell’ego, il rifiuto di uscire da sé per andare verso l’altro. Per annullare distanza e distanze. Nel tempo e nello spazio.

Edith Stein. Una donna che nasce ebrea e muore in quanto ebrea; che diventa l’allieva prediletta di uno dei più grandi filosofi del Novecento, Edmund Husserl, e a cui verrà negata la carriera accademica; che si impegna per i diritti delle donne e si farà suora di clausura. Una vita sempre in prima linea: dalle aule universitarie agli ospedali da campo della Prima guerra mondiale, dalla scelta appassionata della conversione all’orrore di Auschwitz. Edith Stein è un luminoso enigma, una storia di chiarezza cristallina che getta ombre in molte direzioni, mutevoli. Che in qualche modo riassume il Novecento e parla di noi, al punto da essere diventata patrona d’Europa come Santa Benedetta della Croce.

Parlare di Edith Stein non è semplicemente raccontare una vita attraversata dalla sofferenza e insieme straordinaria e luminosa, quanto piuttosto narrare i contrasti interiori della donna: il confronto con le proprie origini; il conflitto con il nazismo e lo sguardo contrapposto tra il dentro e il fuori dal convento. Il percorso speculativo ed esistenziale della Stein, filosofa e religiosa tedesca, poco alla volta ha fatto di lei una grande donna che ha saputo dare testimonianza di come il cammino di santità passi dalla capacità di attraversare il mondo mettendo in pratica la parola evangelica, seguendo il tracciato di Cristo, vivendo il mondo al modo di Dio.

La Stein ci insegna che una vita coerente si fonda su quattro parole-chiave: responsabilità, cura, empatia, compassione. Parole che aiutano a restare umani. Oggi come ieri. La sua voce ancora ci parla: dell’Olocausto ancora possibile, della pace conquistata a caro prezzo, dell’accoglienza e del coraggio più che mai necessari.

È per tutto questo che ho scelto di parlare di Edith Stein: per il pensiero, nell’era dell’ignoranza; per le donne, nell’era della violenza e delle discriminazioni; per le appartenenze, che fondano e nutrono l’Europa nella tempesta delle crisi.

Raccontare il pensiero di Edith Stein oggi può servire, perché è il momento di riflettere su derive preoccupanti che ci riguardano da vicino.

Se la vita intera di Edith Stein è stata una battaglia, la sua morte è stata un paradosso. Aveva rifiutato per ben due volte la religione in cui era nata, prima con l’ateismo poi con la conversione. Ma aveva abbracciato con fervore la sua patria, ne aveva curato i feriti, galvanizzato le donne, arricchito il pensiero. Quella patria la uccise in quanto ebrea, lei, cattolica. Per questo, perché Edith Stein incarna l’insensatezza di ogni persecuzione, dobbiamo tenere la sua foto sul nostro metaforico comodino di europei. Tutti: cristiani, ebrei, musulmani, buddisti, atei.

La guerra di Edith fonda il nostro progetto di pace. Ed è straziante pensare che a farle compagnia non ci siano né una rosa, né un tulipano e nemmeno mille papaveri rossi. Per renderle omaggio possiamo solo tenere viva la sua memoria. E non posso non chiedermi: con quale nome si pensava, con quale nome chiamava se stessa, nelle sue molteplici identità? Se un nome equivale a raggiungere se stessi, soprattutto in quell’ultimo istante, all’ingresso della camera a gas, ad un passo dall’agonia: con quale nome si congedava dal mondo? Edith o Teresa? Poco importa. L’importante è che si sia compiutamente ritrovata.

La lezione di Edith Stein rimane ed è ancora attuale. Esorta all’assunzione di responsabilità, all’ascolto, alla compassione. Solamente chi ha il coraggio di interrogarsi entrando nel fondo più fondo di sé, può capire il qui e l’oggi.

Avvicinarsi ad Edith significa avvicinarsi a tutti coloro che, con molteplici talenti, hanno abitato, cambiato e cantato il mondo. Orientandosi, anche senza rotte e senza stelle. Perché senza conoscere il canto e il respiro giusto, non possiamo capire il mondo e ancor meno governarlo.
Forse potrebbe essere questo il modo per tracciare una nuova Europa: lasciar fare a figure come Edith, simbolo di libertà, dedizione, impegno, coerenza, senso del bene comune. Affrontare la solitudine. Saper essere eroi senza fare gli eroi. Essere consapevoli che la nostra storia può avere un senso, e un peso, solo se è costantemente in relazione con tutte le altre. Essere attenti ad ascoltare la voce fuori campo: quella dell’altra Edith del Novecento, così diversa e diversamente perduta, ma comunque indimenticabile.

Se la vita di Edith avesse avuto un lieto fine, una conclusione più giusta, oggi sapremmo orientarci meglio? La risposta dobbiamo trovarla noi, insieme, come europei, come cittadini del mondo, come esseri umani.

È possibile pensare il futuro cn Edith Stein? La Stein è maestra perché testimone. Noi, prima che maestri, dobbiamo essere testimoni.

                                                                                  Antonia Flaminia Chiari
                                                                                  Centro Studi Leone XIII


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